Il regista Fabrizio Maria Cortese: “Qui il centro è l’amore. Ero io disabile e con loro sono diventato normale”Cos’è il paradiso? “Qualche mese fa il mio compagno di stanza è stato male. Per sei volte gli hanno cambiato le lenzuola, durante la notte. Non è poco. Quando cambi sei volte una persona di notte vuole dire: non mi stanchi mai, stai tranquillo”. Succede al Centro di riabilitazione dell’Opera don Guanella di Roma, che ospita 350 disabili mentali e fisici. A raccontare questo “angolo di paradiso” è Rocco, 63 anni, da trenta in sedia a rotelle. E a raccontarlo è anche il film “Ho amici in paradiso”, in corso di realizzazione, uscita prevista in autunno. Il set è proprio l’Opera don Guanella e al cast partecipano otto disabili ospiti del Centro. Un film “in agrodolce” ama definirlo il regista Fabrizio Maria Cortese, lunga esperienza di attore teatrale, autore di numerosi format di programmi tv e di diversi corti per il cinema. Il film (prodotto da Golden Hour Films) racconta la storia di Felice, un faccendiere affidato ai servizi sociali. E si trova catapultato al don Guanella. “Ho cercato di raccontare l’impatto con questo mondo. Per me è stato uno shock” dice il regista.
Fino a qualche anno fa, Cortese non sapeva nemmeno dell’esistenza dell’Opera don Guanella. Poi l’incidente di un amico e la vita cambia direzione: “Probabilmente ero disabile io e con loro sono diventato normale”. L’arrivo al don Guanella per il regista è stato “varcare una soglia di mistero. Nel dolore e nel ‘non senso’ ho sentito aprirsi orizzonti impensati”. Continua: “Qui la parola fondamentale è amore, tutto ruota intorno a questo. Cambia qualcosa quando si entra qui, qui è il paradiso: un mondo diverso, una situazione di felicità, una dimensione nuova. È qualcosa che non ho visto da nessun’altra parte al mondo”. E come succede al protagonista del film “loro gli fanno cambiare la vita perché hanno tanti valori, hanno tutto, sono completi”.
L’idea è dell’estate 2014, ma la realizzazione è stata più lunga del previsto. Da due anni Cortese fa teatro con i disabili del don Guanella. Fanno improvvisazione, “così si sono sciolti”. E hanno mostrato la loro realtà. “Finora sono io che ho imparato: la loro capacità di ascolto, trovarli sempre ad aspettarmi col copione per fare le prove”. Una sorta di stage prolungato, che “è anche terapeutico, una riabilitazione vera e propria” sottolinea don Pino Venerito, direttore del Centro di Riabilitazione. A lui l’idea è piaciuta subito: “nel 2015 abbiamo celebrato il centenario della morte di don Guanella e mi sembrava il modo migliore per raccontare la sua vita: mostrare il suo spirito e il suo carisma incarnato in uno dei Centri, uno spaccato di vita. Don Guanella chi è? È questo, questa vita, questo mondo, queste relazioni, questi ragazzi e questa gente che lavora”.
Michele, 58 anni e disabile mentale, è uno degli attori. Sarà lui, nel film, ad accogliere Felice: “Cerchiamo di farlo ambientare, di fargli capire che è tra veri amici”. Come nella realtà: “Qui siamo come fratelli. Quando qualcuno sta male lo curano, lo fanno visitare, o lo andiamo a trovare in ospedale. Quando qualcuno è di cattivo umore gli operatori cercano spronarlo, di coccolarlo, anche di trattarlo severamente per il suo bene”. E così anche nel film il protagonista “trova degli amici, come se ci fosse il paradiso in terra. Spesso la terra è più un inferno, ma qui si sta bene, possiamo chiamarlo un inizio di paradiso”. Rocco è un altro degli attori: “Ho passato tanti terremoti nella vita e ho incontrato tanta gente che mi ha voluto bene”. Viene dall’Albania, dove era insegnante, ed è arrivato in Italia grazie all’interessamento di Madre Teresa, per essere operato dopo un incidente. Ma le sue gambe sono rimaste paralizzate.
Dopo varie vicissitudini, Rocco è arrivato al don Guanella. “Qui ho imparato ad amare gli altri. Era la prima volta che vedevo persone con disabilità così gravi e i primi giorni ero in difficoltà. Dopo due giorni hanno iniziato a nascere in me delle domande: ma chi sei tu davanti a tutte queste persone che fanno fatica a mangiare, a vestirsi, a lavarsi? Dopo due giorni ero a mangiare con loro, anzi ho cominciato a imboccare io chi non ci riusciva”. Quanto al film, “è un regalo per noi, ma anche per la società. Da una parte noi siamo un peso perché abbiamo tanti problemi e tante richieste, ma siamo anche un regalo perché quando qui vedi ragazzi con tanti problemi, i problemi della società non sono niente davanti a questo, si ridimensionano”. E comunque, “il cancello qui è sempre aperto, abbiamo il cuore tenero e chi vuole entrare lo aspettiamo”.