Una visita guidata virtuale in uno dei più famosi tesori culturali e artistici della Città del Vaticanodi Daniel Prieto
Oggi ti invitiamo in un tour virtuale della Cappella Sistina, spiegandoti alcune cose molto interessanti sul Giudizio Universale e su ciò che questo ha a che fare con la nostra vita cristiana.
Perché è necessario affrontare il problema del Giudizio Universale?
Davanti alle continue ondate di male e di ingiustizie nel corso della storia, ogni generazione si trova ad affrontare una serie di complicati dilemmi, soprattutto di carattere filosofico e teologico, che se non risposti adeguatamente possono condurre a un grave pessimismo oppure a un ottimismo empio ed egoista. Su questo la Commissione Teologica Internazionale ha notato come, ultimamente, si è costituita una sorta di “penombra teologica”, perché, tra le altre cose, “dopo l’immensa crudeltà mostrata dagli uomini del nostro secolo nella seconda guerra mondiale, vi era in genere la diffusa speranza che essi, ammaestrati dalla dura esperienza, avrebbero instaurato un ordine migliore, di libertà e di giustizia. Ciò nonostante, in un breve spazio di tempo, sopraggiunse un’amara delusione” (Problemi attuali di escatologia, 1990).
La «penombra teologica» ha inoltre aumentato la polarizzazione tra due gruppi di persone. Da un lato, ci sono coloro che, nel mezzo delle loro disgrazie, aspettano (e anche invocano) il Giudizio Finale in quanto castigo; coloro che chiedono cioè, una volta per tutte, la giustizia che tutti desideriamo e che non riusciamo a ottenere con le nostre mani, arrivando a punire chi non ha fatto nulla. Da un altro lato ci sono invece coloro che, al contrario, vivendo una vita di benessere (almeno a livello materiale), non si interessano al problema e se ne allontanano; non confidano in niente e in nessuno, non credono neanche che la giustizia sia possibile. Questi ultimi sono rassegnati e pieni di cinismo. Tornando all’indifferentismo, mettono in dubbio la portata della figura di Cristo, al quale non si possono chiedere risposte efficaci. A questi due approcci bisognerebbe aggiungerne un terzo che faccia confluire i due gruppi di persone sotto una stessa e unica causa. Mi riferisco a coloro che, indignati per le sofferenze e i mali del mondo (che siano personali o collettivi), non si accontentano di una giustizia futura né si lasciano andare all’indifferenza, ma decidono di lottare per stabilire una giustizia qui ed ora con le sue proprie mani, a qualsiasi costo.
Che approccio deve avere il cristiano di fronte a tutto questo? Per rispondere a questa domanda e superare i precedenti estremismi, può essere utile meditare sul Giudizio Universale, purificandoci dalle visioni sbagliate che abbiamo e rinnovando quelle verità che forse abbiamo smarrito. Attraverso una visita guidata nella Cappella Sistina (potete ammirarla qui), mediteremo questi aspetti centrali del Credo.
1. Un po’ di storia per contestualizzare il tutto
Papa Clemente VII ha commissionato a Michelangelo di dipingere una Cappella conosciuta allora come Magna, forse a causa della sua dimensione, chiamata successivamente Sistina in onore di Papa Sisto IV che ha ordinato la sua restaurazione (tra il 1473 e il 1481). Alla morte di Clemente VII muere, il suo successore Paolo III ha confermato a Michelangelo la titanica impresa. Questa volta il pittore ha accettato l’incarico (inizialmente rifiutato) che ha completato, con devozione, tra il 1536 e il 1541. Cioè soltanto pochi anni dopo il violento e disastroso sacco di Roma (che ha sicuramente influito sulla drammaticità della composizione, perché in seguito a tale tragico evento sono state messe in dubbio l’idealizzazione e l’armonia umanista). L’opera è monumentale, ben 13,70 x 12,20 metri e 400 figure. Su di essa, nel corso della storia, saranno scritti chilometri di libri da parte di persone ben più esperte di noi. Per questo motivo, con tutta la modestia, ci concentreremo soltanto su una parte, non poco importante. Ci riferiamo alla parete dietro l’altare, dove è rappresentato il Giudizio Finale.
2. L’importanza del Giudizio Universale per la vita cristiana e alcune precisazioni
Nell’enciclica Spe Salvi l’allora Papa Benedetto XVI ha insegnato che:
«Nel grande Credo della Chiesa la parte centrale, che tratta del mistero di Cristo a partire dalla nascita eterna dal Padre e dalla nascita temporale dalla Vergine Maria per giungere attraverso la croce e la risurrezione fino al suo ritorno, si conclude con le parole: « …di nuovo verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti ». La prospettiva del Giudizio, già dai primissimi tempi, ha influenzato i cristiani fin nella loro vita quotidiana come criterio secondo cui ordinare la vita presente, come richiamo alla loro coscienza e, al contempo, come speranza nella giustizia di Dio. La fede in Cristo non ha mai guardato solo indietro né mai solo verso l’alto, ma sempre anche in avanti verso l’ora della giustizia che il Signore aveva ripetutamente preannunciato. Questo sguardo in avanti ha conferito al cristianesimo la sua importanza per il presente. Nella conformazione degli edifici sacri cristiani, che volevano rendere visibile la vastità storica e cosmica della fede in Cristo, diventò abituale rappresentare sul lato orientale il Signore che ritorna come re – l’immagine della speranza –, sul lato occidentale, invece, il Giudizio finale come immagine della responsabilità per la nostra vita, una raffigurazione che guardava ed accompagnava i fedeli proprio nel loro cammino verso la quotidianità. Nello sviluppo dell’iconografia, però, è poi stato dato sempre più risalto all’aspetto minaccioso e lugubre del Giudizio, che ovviamente affascinava gli artisti più dello splendore della speranza, che spesso veniva eccessivamente nascosto sotto la minaccia.» (Spe Salvi 41-42).
Si potrebbe dunque affermare che l’opera di Michelangelo si possa situare più in quest’ultimo gruppo, poiché se osserviamo con attenzione, anche quando si mantiene l’armonia classica e quasi formale dell’arte rinascimentale (almeno nelle proporzioni e nei corpi), la scena è carica di tensione e pregna di drammaticità, così come lo sono alcune espressioni dei personaggi.
3. Il centro di tutto
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Al centro vediamo Cristo, attorno al quale convergono i personaggi con tutta la scena. Discende con le sembianze di una potente divinità greca. Non sembra il mansueto e umile figlio del falegname, né il Cristo Pantocratore delle icone bizantine che tendono a essere simili all’uomo storico. No. Qui siamo lontani da questa “condizione di servo” di cui parla San Paolo nel suo inno cristologico ai Filippesi. Siamo piuttosto di fronte a una sorte di grande Zeus che, pur riflettendo una profonda calma, con la sua mano alzata sembra essere sul punto di lanciare contro il mondo una delle sue saette. Si può fare una sana critica a tal proposito, nel senso che la commistione tra rivelazione cristiana (Michelangelo si è ispirato all’Apocalisse) e l’arte del mondo classico con le sue figure mitologiche, affermatasi in questo periodo, può in alcuni punti alterare il messaggio cristiano. Infatti se per il mondo greco la perfezione è ideale, per il cristianesimo l’ideale – il Logos dal quale, per il quale e nel quale tutto è stato creato – non si deve cercare all’infuori, come se si trattasse di un Dio statico (come sono le statue greche). No, al contrario, questa “condizione ideale” si è fatta carne per noi ed è venuta ad abitare in mezzo a noi. Sì, il nostro Dio è pieno di passione e di amore ed estende la sua Parola fino ai confini della nostra “caverna” (come simboleggiano così meravigliosamente le icone della nascita di Gesù), assumendo i limiti della nostra materia in tutta la sua radicalità. A mio parere il Giudizio Universale deve essere sempre purificato delle sue terrificanti esagerazioni attraverso il crogiolo del profondo mistero che è la passione e la morte di Gesù.
Detto questo, torniamo all’affresco.
4. Gli angeli e i santi
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Angeli: Sopra Cristo (nelle lunette) incontriamo angeli che recano i simboli della Passione, che richiamano il Suo sacrificio per la salvezza dell’umanità attraverso dei movimenti di grande intensità con la corona di spine, la croce e la colonna dove Gesù è stato flagellato.
In basso invece c’è un gruppo di angeli che suonano la tromba, accompagnati da altri che reggono un libro. Entrambi annunciano la venuta del Giudizio Finale. Il libro piccolo si riferisce al Libro della Vita (in cui sono inscritti i nomi degli eletti e dei salvati), il libro grande a quello della morte (dove ci sono i condannati).
Santi: Vediamo alcuni dei santi. Sul fianco di Cristo, la prima e più importante di tutti è la Madonna, che si avvicina a suo Figlio con un sottile gesto di timore di fronte al potente verdetto che giudica i vivi e i morti.
Ai piedi di Cristo occupano un posto speciale due martiri: San Lorenzo diacono e martire di Roma (con la graticola con cui è stato bruciato), e San Bartolomeo, che tiene in mano l’attributo della sua pelle, nel quale si è riconosciuto un autoritratto dell’artista.
Sulla nostra destra vediamo San Pietro che ha in mano una chiave d’oro e un’altra d’argento con le quali è possibile aprire le porte del paradiso e che ora, così sembrerebbe suggerire il suo gesto, vuole restituire a Cristo. Al suo fianco c’è San Paolo che con la mano compie un lieve gesto che traspare timore. Sul lato opposto, vicino alla Madonna, vediamo Sant’Andrea che porta una croce a forma di X, sopra la quale ha predicato legato, soffrendo per tre giorni. Sul fianco di Sant’Andrea incontriamo un personaggio che alcuni identificano con San Giovanni Battista, anche se altri ipotizzano essere Adamo.
Ai piedi di Pietro, dall’altra parte, incontriamo un gruppo di martiri che portano con loro gli strumenti del martirio: in primo luogo c’è Simone Zelota con la sega, al cui fianco c’è Disma, il buon ladrone, con la sua croce. Chi ha una sorta di ruota tra le mani è Santa Caterina d’Alessandria. San Biagio, vescovo armeno, regge i rastrelli da cardatore e il soldato romano San Sebastiano regge delle frecce. Si nota anche il cireneo che regge la croce.
5. Ascensione e discesa, cielo e inferno
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Possiamo notare che la scena è composta seguendo un movimento rotatorio, secondo l’immagine del pastore che separa le pecore dalle capre usata per descrivere la seconda venuta del Signore, quando Lui giudicherà tutti gli esseri umani, vivi e morti (cfr. Mt 25,31-46).
Le pecore a destra: Guardando l’affresco alla nostra sinistra (che corrisponde alla destra di Cristo), possiamo osservare un moto ascensionale degli uomini che salgono al cielo per unirsi ai santi. Alcuni, con espressione di stupore o di estasi, esplorano lo spazio come se non stessero comprendendo quanto stia succedendo loro. Altri, più coscienti, vengono aiutati a salire oppure si aggrappano alle nuvole. Più in basso, vicino alla Terra, vediamo i morti che risorti si levano dalle proprie tombe per assistere, ancora confusi, al Giudizio Finale. Attorno a loro si affacciano alcuni demoni che provano a impedirli di salire al paradiso. Un po’ più al centro si può notare la caverna che simboleggia l’ingresso per l’inferno.
Le capre a sinistra: Mentre alla nostra destra (a sinistra di Cristo), in una dinamica opposta, incontriamo gli uomini condannati che scendono verso gli inferi. Scendono come grappoli, formando un turbine carico di forza. Gli angeli e i demoni si sforzano di fare precipitare i condannati. I corpi sono titanici e trasmettono una forza straordinaria. Di sono alcuni simboli, come la figura dell’avaro che porta una chiave e una borsa piena di denaro, ed espressioni di desolazione e angoscia di coloro che devono affrontare ed accettare la verità sulla propria vita e sul proprio destino, come per esempio la figura dell’uomo che si copre il volto con grande grande drammaticità e compunzione (questa immagine ha impressionato e ispirato Rodin nel realizzare la famosa scultura del pensatore).
En la parte de más abajo a la derecha, vemos en la Laguna de Estigia a Caronte, barquero encargado de trasladar a los muertos al reino del Hades (según la mitología griega), que en la parte izquierda de su barca, amenaza con un remo a los condenados que se demoran o no quieren bajar, una vez llegados a su terrible destino. También esta él rey Minos el juez de los infiernos, al que Miguel Ángel retrató con el rostro de Biaggio de Cesea, un gran maestre de ceremonias del Vaticano que se oponía, pues le parecía indecente, a la idea de representar una escena tan sagrada con cuerpos desnudos. Cuentan por ahí que después de ir a quejarse ante el papa (Pablo III) y a implorarle que lo «sacaran del infierno», a lo que este le respondió: «hijo mío, si te hubieran colocado en el Purgatorio, yo todavía hubiera podido hacer algo, pero en el infierno no puedo; no tengo autoridad».
Nella parte in basso a destra, nella Laguna dello Stige, vediamo Caronte, traghettatore responsabile del trasporto dei morti nel regno di Ade (nella mitologia greca), che sul lato sinistro della sua barca, minaccia con un remo i condannati in ritardo. C’è anche re Minosse giudice dell’Inferno, che Michelangelo ha raffigurato con il volto di Biaggio di Cesea, un grande maestro di cerimonie del Vaticano che si è opposto, perché sembrava indecente, all’idea di rappresentare in una scena sacra dei corpi nudi. Si racconta di lui che dopo essere andato a lamentarsi al papa (Paolo III) e a implorarlo che lo “portassero all’inferno”, questo è quello che lui ha risposto: “Figlio mio, se fosse al purgatorio avrei ancora potuto fare qualcosa, ma all’inferno non posso; là non ho alcuna autorità”.
6. Che cosa possiamo concludere da tutto questo per la nostra vita cristiana?
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Qui c’è una magnifica risposta che l’allora Papa Benedetto XVI ha dato in un incontro con il clero, tenutosi a Roma il 7 febbraio 2008.
Santo Padre, lavoro in un oratorio e in un centro di accoglienza per minori a rischio. Le volevo chiedere: il 25 marzo 2007 Lei ha fatto un discorso a braccio, lamentandosi come oggi si parli poco dei Novissimi. In effetti, nei catechismi della Cei usati per l’insegnamento della nostra fede ai ragazzi di confessione, comunione e cresima, mi sembra che siano omesse alcune verità di fede. Non si parla mai di inferno, mai di purgatorio, una sola volta di paradiso, una sola volta di peccato, soltanto il peccato originale. Mancando queste parti essenziali del credo, non Le sembra che crolli il sistema logico che porta a vedere la redenzione di Cristo? Mancando il peccato, non parlando di inferno, anche la redenzione di Cristo viene a essere sminuita. Non Le sembra che sia favorita la perdita del senso del peccato e quindi del sacramento della riconciliazione e la stessa figura salvifica, sacramentale del sacerdote che ha il potere di assolvere e di celebrare in nome di Cristo? Oggi purtroppo anche noi sacerdoti, quando nel Vangelo si parla di inferno, dribbliamo il Vangelo stesso. Non se ne parla. O non sappiamo parlare di paradiso. Non sappiamo parlare di vita eterna. Rischiamo di dare alla fede una dimensione soltanto orizzontale oppure troppo distaccata, l’orizzontale dal verticale. E questo purtroppo nella catechesi ai ragazzi, se non nell’iniziativa dei parroci, nella struttura portante, viene a mancare. Se non sbaglio, quest’anno ricorre anche il venticinquesimo anniversario della consacrazione della Russia al Cuore immacolato di Maria. Per l’occasione non si può pensare di rinnovare solennemente questa consacrazione per il mondo intero? È crollato il muro di Berlino, ma vi sono tanti muri di peccato che devono crollare ancora: l’odio, lo sfruttamento, il capitalismo selvaggio. Muri che devono crollare e ancora aspettiamo che trionfi il Cuore immacolato di Maria per poter realizzare anche questa dimensione. Volevo anche notare come la Madonna non ha avuto paura di parlare dell’inferno e del paradiso ai bambini di Fátima, che, guarda caso, avevano l’età dei catechismo: sette, nove e dodici anni. E noi tante volte invece omettiamo questo. Può dirci qualche cosa in più su questo?
Lei ha parlato giustamente su temi fondamentali della fede, che purtroppo appaiono raramente nella nostra predicazione. Nell’Enciclica Spe salvi ho voluto proprio parlare anche del giudizio ultimo, del giudizio in generale, e in questo contesto anche su purgatorio, inferno e paradiso. Penso che noi tutti siamo ancora sempre colpiti dall’obiezione dei marxisti, secondo cui i cristiani hanno solo parlato dell’aldilà e hanno trascurato la terra. Così noi vogliamo dimostrare che realmente ci impegniamo per la terra e non siamo persone che parlano di realtà lontane, che non aiutano la terra. Ora, benché sia giusto mostrare che i cristiani lavorano per la terra — e noi tutti siamo chiamati a lavorare perché questa terra sia realmente una città per Dio e di Dio — non dobbiamo dimenticare l’altra dimensione. Senza tenerne conto, non lavoriamo bene per la terra. Mostrare questo è stato uno degli scopi fondamentali per me nello scrivere l’Enciclica. Quando non si conosce il giudizio di Dio, non si conosce la possibilità dell’inferno, del fallimento radicale e definitivo della vita, non si conosce la possibilità e la necessità della purificazione. Allora l’uomo non lavora bene per la terra perché perde alla fine i criteri, non conosce più se stesso, non conoscendo Dio, e distrugge la terra. Tutte le grandi ideologie hanno promesso: noi prenderemo in mano le cose, non trascureremo più la terra, creeremo il mondo nuovo, giusto, corretto, fraterno. Invece, hanno distrutto il mondo. Lo vediamo con il nazismo, lo vediamo anche con il comunismo, che hanno promesso di costruire il mondo così come avrebbe dovuto essere e, invece, hanno distrutto il mondo.
Nelle visite ad limina dei Vescovi di Paesi ex comunisti, vedo sempre di nuovo come in quelle terre siano rimasti distrutti non solo il pianeta, l’ecologia, ma soprattutto e più gravemente le anime. Ritrovare la coscienza veramente umana, illuminata dalla presenza di Dio, è il primo lavoro di riedificazione della terra. Questa è l’esperienza comune di quei Paesi. La riedificazione della terra, rispettando il grido di sofferenza di questo pianeta, si può realizzare soltanto ritrovando nell’anima Dio, con gli occhi aperti verso Dio.
Perciò Lei ha ragione: dobbiamo parlare di tutto questo proprio per responsabilità verso la terra, verso gli uomini che oggi vivono. Dobbiamo parlare anche e proprio del peccato come possibilità di distruggere se stessi e così anche altre parti della terra. Nell’Enciclica ho cercato di dimostrare che proprio il giudizio ultimo di Dio garantisce la giustizia. Tutti vogliamo un mondo giusto. Ma non possiamo riparare tutte le distruzioni del passato, tutte le persone ingiustamente tormentate e uccise. Solo Dio stesso può creare la giustizia, che deve essere giustizia per tutti, anche per i morti. E come dice Adorno, un grande marxista, solo la risurrezione della carne, che lui ritiene irreale, potrebbe creare giustizia. Noi crediamo in questa risurrezione della carne, nella quale non tutti saranno uguali. Oggi si è abituati a pensare: che cosa è il peccato, Dio è grande, ci conosce, quindi il peccato non conta, alla fine Dio sarà buono con tutti. È una bella speranza. Ma c’è la giustizia e c’è la vera colpa. Coloro che hanno distrutto l’uomo e la terra non possono sedere subito alla tavola di Dio insieme con le loro vittime. Dio crea giustizia. Dobbiamo tenerlo presente. Perciò mi sembrava importante scrivere questo testo anche sul purgatorio, che per me è una verità così ovvia, così evidente e anche così necessaria e consolante, che non può mancare. Ho cercato di dire: forse non sono tanti coloro che si sono distrutti così, che sono insanabili per sempre, che non hanno più alcun elemento sul quale possa poggiare l’amore di Dio, non hanno più in se stessi un minimo di capacità di amare. Questo sarebbe l’inferno. D’altra parte, sono certamente pochi — o comunque non troppi — coloro che sono così puri da poter entrare immediatamente nella comunione di Dio. Moltissimi di noi sperano che ci sia qualcosa di sanabile in noi, che ci sia una finale volontà di servire Dio e di servire gli uomini, di vivere secondo Dio. Ma ci sono tante e tante ferite, tanta sporcizia. Abbiamo bisogno di essere preparati, di essere purificati. Questa è la nostra speranza: anche con tante sporcizie nella nostra anima, alla fine il Signore ci dà la possibilità, ci lava finalmente con la sua bontà che viene dalla sua croce. Ci rende così capaci di essere in eterno per Lui. E così il paradiso è la speranza, è la giustizia finalmente realizzata. E ci dà anche i criteri per vivere, perché questo tempo sia in qualche modo paradiso, sia una prima luce del paradiso. Dove gli uomini vivono secondo questi criteri, appare un po’ di paradiso nel mondo, e questo è visibile. Mi sembra anche una dimostrazione della verità della fede, della necessità di seguire la strada dei comandamenti, di cui dobbiamo parlare di più. Questi sono realmente indicatori di strada e ci mostrano come vivere bene, come scegliere la vita. Perciò dobbiamo anche parlare del peccato e del sacramento del perdono e della riconciliazione. Un uomo sincero sa che è colpevole, che dovrebbe ricominciare, che dovrebbe essere purificato. E questa è la meravigliosa realtà che ci offre il Signore: c’è una possibilità di rinnovamento, di essere nuovi. Il Signore comincia con noi di nuovo e noi possiamo ricominciare così anche con gli altri nella nostra vita.
Questo aspetto del rinnovamento, della restituzione del nostro essere dopo tante cose sbagliate, dopo tanti peccati, è la grande promessa, il grande dono che la Chiesa offre. E che, per esempio, la psicoterapia non può offrire. La psicoterapia oggi è così diffusa e anche necessaria di fronte a tante psichi distrutte o gravemente ferite. Ma le possibilità della psicoterapia sono molto limitate: può solo cercare un po’ di riequilibrare un’anima squilibrata. Ma non può dare un vero rinnovamento, un superamento di queste gravi malattie dell’anima. E perciò rimane sempre provvisoria e mai definitiva. Il sacramento della penitenza ci dà l’occasione di rinnovarci fino in fondo con la potenza di Dio — ego te absolvo — che è possibile perché Cristo ha preso su di sé questi peccati, queste colpe. Mi sembra che questa sia proprio oggi una grande necessità. Possiamo essere risanati. Le anime che sono ferite e malate, come è l’esperienza di tutti, hanno bisogno non solo di consigli ma di un vero rinnovamento, che può venire solo dal potere di Dio, dal potere dell’Amore crocifisso. Mi sembra questo il grande nesso dei misteri che alla fine incidono realmente nella nostra vita. Dobbiamo noi stessi rimeditarli e così farli arrivare di nuovo alla nostra gente.
[Traduzione dallo spagnolo a cura di Valerio Evangelista]