Toccando il fatto di essere figli di Dio“Il demonio è intelligente e ci dice: ‘Non pregare, nasconditi, non puoi presentarti così davanti a Dio’…”
Le riflessioni di Jacques Philippe, sacerdote della Comunità delle Beatitudini, fanno venir voglia di pregare, vivendo ogni istante nella certezza che il Signore è con noi e sostenendo la nostra inesauribile sete di Lui, unico Dio.
“La libertà interiore”, “Chiamati alla vita” o “Tempo per Dio” sono alcuni dei libri di riferimento necessari per conoscere la spiritualità che ha modellato l’anima di Jacques Philippe, che il 30 aprile scorso ha guidato un ritiro e ha pronunciato un intervento a Barcellona (Spagna).
“Anche se forse non si vede”, ha affermato, “molta gente sente oggi la chiamata dello Spirito alla preghiera, e quando si entra in questo cammino – un cammino di fedeltà non sempre facile – le conseguenze sono molto positive”.
Che tipo di conseguenze?
Mi riferisco ai frutti… Se restiamo fedeli alla preghiera, a poco a poco diventiamo più tranquilli, più delicati, più attenti agli altri: comunichiamo la pace di Dio. Poi ci sono i santi, che grazie alla preghiera sono riusciti a realizzare grandi opere d’amore all’inizio impensabili.
Qual è una “buona preghiera”?
Quella che ci fa trovare Dio e a poco a poco ci trasforma interiormente. Gli atteggiamenti essenziali sono tre: la preghiera dev’essere un atto di fede, di speranza e d’amore.
Una volta stabilito questo primo contatto cosa sente?
Grazia alla preghiera si può arrivare a sentire – a percepire a livello sensibile – la presenza di Dio, la sua tenerezza e la sua gioia. Non capita sempre, ma è bello quando succede. Anche se la preghiera non è ovviamente una semplice esperienza sensoriale, è vero che spesso non valorizziamo i sentimenti e restiamo su un piano più freddo, più intellettuale.
Si può entrare in contatto con Dio anche in questo modo?
Sì, a volte, ma bisogna tener presente che la preghiera come atto di fede non si basa né sui sentimenti né sull’intelletto.
E su cosa, allora?
Ci sono momenti in cui cerchiamo sinceramente Dio, pieni di buona volontà, ma Dio non risponde a tutte le domande. In ogni vita cristiana ci sono momenti di grande luce e momenti di siccità. In questi momenti bisogna ricordare sempre una cosa.
Cosa?
Che né la sensibilità né l’intelligenza sono la base del rapporto con Dio: è la fede, dirgli “Signore, non sento molto e vorrei comprendere tutto, ma anche così credo con tutto il cuore che tu sia qui”… Con il tempo si vedranno i frutti.
Parlava anche del fatto che la preghiera dev’essere un atto di speranza. In che senso?
Se prego è perché so di aver bisogno di Dio, spero da Lui la salvezza che non posso darmi da solo, spero da Lui la sua grazia, il suo amore e la sua misericordia… Questo è importante, perché paradossalmente la preghiera a volte è un cammino di povertà.
Quale?
Più entriamo nella luce di Dio, più vediamo la nostra miseria, i nostri limiti, la nostra durezza di cuore… Non è piacevole, ma è positivo per essere umili, perché solo quando conosciamo una malattia possiamo curarla.
Ma allora la preghiera diventa scomoda, no?
Appare tutto il negativo che c’è nella nostra vita, e per questo molta gente ha paura della preghiera, paura del silenzio, della solitudine. Abbiamo paura di trovare noi stessi. È lì che è importante la pratica della speranza.
Come si pratica la speranza?
È molto semplice: ti metti davanti a Lui e gli dici: “Signore, sono davanti a te come un povero, vedo tutti i miei peccati e la mia fragilità, ma non è un problema perché Tu sei la mia speranza. È da te che attendo la mia salvezza, Signore. È da te che attendo la grazia che potrà curarmi, purificarmi e trasformarmi”. È un atto di speranza, un atto di umiltà in cui smetti di metterti al centro, riconosci i tuoi limiti e li accetti riponendo la tua fiducia in Dio. Lasci che Egli sia la tua roccia.
Non sembra facile…
Si dice che Gesù disse al re San Luigi: “Vorresti pregare come un santo? Ti invito a pregare come un povero”. Se entriamo in questo atteggiamento di umiltà e speranza, Dio verrà rapidamente a consolarci e ci darà la pace. A volte tarda un po’, ma Dio è fedele: come dice la Sacra Scrittura, “un povero ha gridato e Dio ascolta”. È una cosa che vediamo spesso nella Bibbia: la preghiera che Dio ascolta – quella tocca il Suo cuore e trasforma chi la compie – non è quella del fariseo, ma quella del povero che grida al Signore dal profondo, come il pubblicano inginocchiato in fondo al tempio. È la potenza che c’è nella speranza; se speriamo tutto da Dio, anche se dobbiamo passare per la porta stretta, Egli ci darà tutto, perché è sempre fedele.
Il terzo punto che menzionava era la preghiera come atto d’amore…
Sì. Dare a Dio ogni giorno mezz’ora – il tempo ovviamente è importante perché è la nostra vita – è un autentico atto d’amore.
Ma non tutti hanno mezz’ora al giorno per Dio…
Si tratta di riservare un momento della giornata e di consacrarlo a Dio.
Ci sono momenti in cui, però, si può dubitare di Dio. Qual è il motivo, secondo lei? Il peccato?
Non credo che il peccato ci allontani sempre dalla preghiera. Spesso è il contrario: ci obbliga a pregare. Dio si serve di tutto: quale direbbe che sia il peccato più grave?
Non lo so…
Non è il fatto di essere peccatore che mi allontana da Dio. Se io piango per il mio peccato e mi getto tra le braccia di Dio, quello che era un peccato diventa una grazia. Più sono peccatore, più devo pregare. Il demonio è molto intelligente, a volte cadiamo e ci dice: “Non pregare, nasconditi, non puoi presentarti così davanti a Dio, sei troppo orribile”. E proprio per questo dobbiamo pregare. Dove posso curarmi se non tra le braccia di Dio?
Dev’essere sempre meno una preghiera di pensiero, di testa, e sempre più una preghiera di cuore, che si apre a Dio, in un’apertura e in un abbandono che fanno sì che la preghiera sia profonda.
[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]