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Immigrati, così la Polonia “seppellisce” Giovanni Paolo II

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Andrea Tornielli - Vatican Insider - pubblicato il 10/05/16
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l governo di Szydlo allineato con l’ungherese Orban nella chiusura delle frontiere ai profughi. Vescovi e teologi attingono a piene mani ai suoi documenti sulla famiglia, ma c’è molto del magistero di san Giovanni Paolo II che oggi appare caduto nell’oblio, innanzitutto nel suo Paese natale. La chiusura nei confronti dei migranti e dei rifugiati manifestata dal governo di Beata Szydlo, ammiratrice del cristiano ungherese Viktor Orban e appartenente al partito di Jaroslaw Kaczynski, dimostra quanto l’eredità del primo Pontefice proveniente dall’Est Europa sia stata frettolosamente archiviata e dimenticata. Proprio Papa Wojtyla, infatti, nel corso degli anni ha scritto pagine importanti riguardanti il fenomeno delle migrazioni e le sue cause.

Libertà di integrazione  

Nel messaggio per la Giornata mondiale delle migrazioni del 1985, Giovanni Paolo II scriveva: «Nell’ambito dell’emigrazione ogni tentativo inteso ad accelerare o ritardare l’integrazione, o comunque l’inserimento specie se ispirato da una supremazia nazionalistica, politica e sociale, non può che soffocare o pregiudicare quell’auspicabile pluralità di voci, la quale scaturisce dal diritto alla libertà d’integrazione». L’anno successivo, Papa Wojtyla affermava che «La Chiesa ribadisce con insistenza che, per uno Stato di diritto, la tutela delle famiglie, e in particolare di quelle dei migranti e dei rifugiati aggravate da ulteriori difficoltà, costituisce un progetto prioritario inderogabile». Progetto da attuare «evitando ogni forma di discriminazione nella sfera del lavoro, dell’abitazione, della sanità, dell’educazione e cultura».

Lotta contro le ingiustizie  

Nel 1987, san Giovanni Paolo II ricordava che «Gesù ha voluto prolungare la sua presenza fra noi nella precaria condizione dei bisognosi, tra i quali egli annovera esplicitamente i migranti». I Paesi «ricchi non possono disinteressarsi del problema migratorio e ancor meno chiudere le frontiere o inasprire le leggi, tanto più se lo scarto tra i Paesi ricchi e quelli poveri, dal quale le migrazioni sono originate, diventa sempre più grande». La lotta «del laico cattolico contro le ingiustizie e per la promozione dell’uomo, deve essere più forte di quella degli altri».

Migranti e profughi come la famiglia di Nazaret  

Nel 1988, Papa Wojtyla insiste sul fatto che la sacra famiglia di Nazaret ha fatto l’esperienza dell’emigrazione e dell’esilio, «costretta dalla minaccia che incombeva sulla vita di Gesù». Un aspetto particolare delle migrazioni «è oggi costituito dai milioni di rifugiati, a cui guerre, calamità naturali, persecuzioni e discriminazioni di ogni tipo hanno sottratto la casa, il lavoro, la famiglia e la patria», scriveva il Pontefice polacco, invitando «tutti a riflettere e ad impegnarsi attivamente per la rimozione delle cause che sono all’origine dello sradicamento di tanti milioni di persone dalle loro terre di origine; ciascuno, per quanto da lui dipende, eserciti l’accoglienza cristiana verso i rifugiati e i migranti».

Accogliere i non cristiani  

L’anno successivo, quello della caduta del Muro di Berlino, Giovanni Paolo II chiedeva che gli emigrati appartenenti a religioni non cristiane trovassero «sempre nei cristiani una chiara testimonianza dell’amore di Dio in Cristo. L’accoglienza, ad essi riservata, deve essere così cordiale e disinteressata da indurre questi ospiti a riflettere sulla religione cristiana e sulle motivazioni di tale esemplare carità». Wojtyla osservava che «Non poche frontiere tendono a chiudersi; le società di arrivo sono rigidamente strutturate e come stratificate, lasciando poco spazio di inserimento ai nuovi migranti e riservando loro i lavori più umili, più faticosi e meno retribuiti. In queste condizioni essi, anche quando abbiano risolto il problema economico, rimangono sempre poveri dal punto di vista dell’accoglienza, dei diritti, della sicurezza, della possibilità di avanzamento sociale e professionale per sé e per i propri figli». Una condizione che «nel suo senso di giustizia e di doverosa solidarietà, il credente rifiuta e combatte».

Varietà etnica e culturale appartiene alla creazione  

Nel 1991 il Papa chiedeva di non dimenticare che «la varietà culturale, etnica e linguistica rientra nell’ordine costitutivo della creazione e che come tale, non può essere eliminata». E ricordava che «ogni persona deve essere riconosciuta nella sua dignità e rispettata nella sua identità culturale. Principio, questo, che trova una singolare e specifica applicazione nel campo delle migrazioni. Il migrante va considerato non semplicemente come strumento di produzione, ma quale soggetto dotato di piena dignità umana».

Paesi ricchi non pensate solo al vostro benessere  

Un anno dopo, citando le notizie di cronaca riguardanti i «movimenti di popoli poveri verso paesi ricchi» e i «drammi di profughi respinti alle frontiere», Wojtyla affermava: «Con la propria sollecitudine i cristiani testimoniano che la comunità, presso la quale i migranti arrivano, è una comunità che ama e accoglie anche lo straniero con l’atteggiamento gioioso di chi sa riconoscere in lui il volto di Cristo». Il Pontefice, con realismo, faceva inoltre notare come «una volta si emigrava per crearsi migliori prospettive di vita: da molti Paesi oggi si emigra semplicemente per sopravvivere. Una tale situazione tende ad erodere anche la distinzione fra il concetto di rifugiato e quello di migrante, fino a far confluire le due categorie sotto il comune denominatore della necessità». Affermando che per i Paesi sviluppati «il criterio per determinare la soglia della sopportabilità non può essere solo quello della semplice difesa del proprio benessere, senza tener conto delle necessità di chi è drammaticamente costretto a chiedere ospitalità. Le migrazioni oggi crescono perché si distanziano le risorse economiche, sociali e politiche fra Paesi ricchi e Paesi poveri, e si restringe il gruppo dei primi, mentre si allarga quello dei secondi».

L’essere clandestino non diminuisce dignità e diritti  

Nel 1995 il Papa invitava in modo «pressante» le comunità cristiane ad accogliere le famiglie dei migranti, e l’anno successivo precisava: «La condizione di irregolarità legale non consente sconti sulla dignità del migrante, il quale è dotato di diritti inalienabili, che non possono essere violati né ignorati». E chiedeva anche di «vigilare contro l’insorgere di forme di neorazzismo o di comportamento xenofobo, che tentano di fare di questi nostri fratelli dei capri espiatori di eventuali difficili situazioni locali». Nel 1997, di fronte ai «problemi complessi e di non facile soluzione» legati all’immigrazione, ribadiva che la Chiesa, «per parte sua, sente il dovere di farsi accanto, come il buon samaritano, al clandestino e al rifugiato, icona contemporanea del viandante derubato, percosso ed abbandonato sul ciglio della strada di Gerico».

Nel migrante incontriamo Gesù  

Nel 1998 Papa Wojtyla affermava che «accogliere l’altro non è per il credente soltanto filantropia o naturale attenzione al proprio simile. È molto di più, perché in ogni essere umano egli sa di incontrare Cristo, che attende di essere amato e servito nei fratelli, specialmente nei più poveri e bisognosi». Un anno dopo faceva notare come «la Chiesa è per sua natura solidale con il mondo dei migranti, i quali con la loro varietà di lingue, razze, culture e costumi, le ricordano la sua condizione di popolo pellegrinante da ogni parte della terra verso la Patria definitiva. Questa prospettiva aiuta i cristiani ad abbandonare ogni logica nazionalistica ed a sottrarsi agli angusti schematismi ideologici». Infatti, «la cattolicità non si manifesta solamente nella comunione fraterna dei battezzati, ma si esprime anche nell’ospitalità assicurata allo straniero, quale che sia la sua appartenenza religiosa».

No a chiusure e xenofobia  

Nell’anno del Giubileo del 2000, l’invito all’ospitalità diventava «attuale e urgente». «Come potranno i battezzati pretendere di accogliere Cristo, se chiudono la porta allo straniero che si presenta loro?». Nel 2003 Giovanni Paolo II spiegava che «la solidarietà non è cosa spontanea. Essa richiede formazione e allontanamento da atteggiamenti di chiusura, che in molte società di oggi sono divenuti più sottili e diffusi. Per far fronte a questo fenomeno, la Chiesa possiede vaste risorse educative e formative a ogni livello. Mi rivolgo quindi a genitori e insegnanti, affinché combattano il razzismo e la xenofobia inculcando atteggiamenti positivi fondati sulla Dottrina sociale cattolica».

Il diritto a non emigrare  

Infine, nel 2004 Papa Wojtyla, oltre al diritto ad emigrare, parlava del diritto a «non emigrare, a vivere cioè in pace e dignità nella propria Patria. Grazie a un’oculata amministrazione locale e nazionale, a un più equo commercio e a una solidale cooperazione internazionale, ogni Paese deve essere posto in grado di assicurare ai propri abitanti, oltre alla libertà di espressione e di movimento, la possibilità di soddisfare necessità fondamentali quali il cibo, la salute, il lavoro, l’alloggio, l’educazione, la cui frustrazione pone molta gente nella condizione di dover emigrare per forza».

Non siate insensibili  

Nessuno, era l’appello del Pontefice, «resti insensibile dinanzi alle condizioni in cui versano schiere di migranti!». Prese di posizione oggi dimenticate proprio nella patria di Karol Wojtyla. Talvolta interessatamente dimenticate, da quanti anche dentro la Chiesa vorrebbero far passare le parole del successore Francesco come un’assoluta novità.

 

QUI L’ARTICOLO ORIGINALE

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