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Il libro della giungla e la Teologia del Corpo

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Kathleen Torrey - pubblicato il 07/05/16
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Nella nuova versione del film, Mowgli fa un errore moderno: non riesce a capire che essere umani richiede essere partecipi in una comunità di umaniIl libro della giungla, film Disney d’avventura del 1967, mi ha entusiasmata già dalla prima volta in cui l’ho visto, a quattro anni. Amavo gli animali da impazzire! Forse perché ero timida di natura, gli animali mi sembravano in molti modi superiori alle persone, ed infinitamente affascinanti.

Come gli altri bambini, anche io mi sono immedesimata in Mowgli e ho invidiato soprattutto la sua amicizia con Baloo.

Il finale è stato un boccone amaro da mandare giù. Mi è dispiaciuto che Mowgli lasciasse i suoi amici animali, dopo che questi gli avevano salvato la vita sconfiggendo il suo nemico Shere Khan. A me, una ragazzina preadolescente, è sembrato un vero tradimento. Ho pianto ininterrottamente e mi sono lamentato con mia madre: “Come hai potuto permettermi di guardare quella cosa? Lo sapevi?” Credevo che Mowgli fosse un privilegiato a vivere all’infuori dei doveri e delle brutture delle comunità umane, e lui ha abbandonato tutto questo così facilmente.

È stato a 20 anni, quanto ho letto la Teologia del Corpo di Giovanni Paolo II, che ho compreso la bellezza delle gesta di Mowgli. Rendendo tutto semplice agli occhi dei bambini, ha tracciato il viaggio che porta l’uomo dalla solitudine originale e dall’innocenza, re tra le bestie, fino alla relazione con il suo partner complementare e a lui uguale: la donna.

La Disney è stata oggetto di molte critiche, negli ultimi anni, a causa della loro precedente fissazione con lo schema: “Una ragazza incontra un ragazzo, lui salva lei, e poi si sposano”. Forse questo ha portato alla decisione di cambiare il finale, anche se probabilmente è stato un errore che ha indebolito la storia.

Il film d’animazione del 1967 è un classico: il viaggio finisce quando gli innamorati si incontrano. Da ragazza ho pensato che a innamorarsi sarebbero dovuti essere Baloo e Mowgli. Nei momenti successivi alla battaglia con Shere Khan, Mowgli e Bagheera hanno pensato che Baloo fosse morto. Per consolare il ragazzino, che si è sentito in colpa, Bagheera ha citato Giovanni 15:13: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”.

In Baloo, Mowgli ha trovato un vero amico. L’orso antropomorfe ha amato genuinamente il ragazzino. Eppure soltanto la saggia Bagheera sapeva che, nonostante il reciproco affetto, Mowgli non appartenesse al loro gruppo. La questione di fondo non è l’affezione, ma la natura. Mowgli non poteva essere un orso più di quanto potesse essere un lupo o una scimmia, e questa fatto ha tessuto lo svolgimento delle sue azioni.

Servendosi in battaglia del “fiore rosso”, cioè del fuoco, non rivela a Mowgli la sua natura, né lo fa alcuno degli altri animali. La ragazzina invece sì. Mowgli è combattuto dalla sua somiglianza e la segue, senza salutare i suoi amici come si deve. Il pianto di Baloo continua a spezzarmi il cuore, quando lo vedo. Ma il finale ha senso. Ogni uomo deve lasciare la giungla per la sua vocazione, se non per il matrimonio, allora per la comunità umana e i suoi doveri, le sue difficoltà, i suoi amori. Quando si riconosce una vocazione non dovrebbero esserci rinvii né procrastinazioni.

L’ultima azione di Mowgli è costruttiva, piuttosto che distruttiva. Recupera la brocca della ragazzina. Ci scommetto che l’ha fatta cadere di proposito, per dargli l’opportunità di riempirla e rimetterla a posto. Il fuoco riscalda l’acqua per lavarsi, l’acqua spegne il fuoco. C’è bisogno di entrambi.

Cinquant’anni dopo, dimentichiamoci della ragazza. Mowgli ha cose più importanti da fare. Sebbene  l’inclusione dell’intraprendenza di Mowgli è un gesto di accoglienza dell’idea completa che Kipling ha avuto riguardo a Mowgli, e rende Mowgli più avvincente del ragazzo cupo del 1967, il personaggio finisce nella sterilità. Questo Mowgli è certamente impegnato e creativo; nelle sue azioni si contraddistingue quale unificatore delle specie, colui che annulla le differenze contro il nemico comune, Shere Khan.

E quindi Mowgli cresce. Sfida i lupi e li batte in una gara grazie alla sua umanità, ma non sembra mai comprendere davvero che essere uomo richiede ben più della padronanza dell’ambiente che lo circonda. Richiede la partecipazione in una comunità umana, e più spesso di quanto non lo faccia, di unirsi a una donna in matrimonio.

In Amoris Laetitia, Papa Francesco nota che il nostro estremo individualismo è dannoso ai matrimoni, alle famiglie, e quindi alla vita di comunità. Vediamo questo estremizzazione nel finale del nuovo Libro della giungla. Mowgli si stende su un ramo tra i suoi amici Bagheera e Baloo, sopra i Seeonee. Nella nostra cultura del “creare se stessi”, non è obbligato a unirsi al villaggio degli umani. Ha dimostrato a se stesso di essere letteralmente al di sopra di tali doveri.

Questo è il finale che avrebbe esaudito i desideri di me stessa a quattro anni, ma in quel cinema ho sentito tutta la sua vuotezza. Con tutto quel parlare sulla legge della giungla nel nuovo film, la legge naturale è stata bruciata insieme a Shere Khan. Il messaggio ai nostri ragazzi è di giocare o di costruire a seconda dei capricci del cuore, lasciando che le ragazze che vanno a prendere l’acqua aspettino per molto, moltissimo tempo.

Se sei attirata dal Libro della giungla come lo sono io, faresti meglio a chiuderti con i bambini davanti al film del 1967, oppure a provare a leggere l’opera originale di Kipling a voce alta.

Kathleen Torrey vive in Virginia con suo marito. Per la prima volta in dolce attesa, scrive di cattolicesimo, mitologia, sofferenza ed educazione. Sta anche scrivendo un romanzo fantastico e un libro di poesie.

 

[Traduzione dall’inglese a cura di Valerio Evangelista]

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