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La famiglia secondo il Papa? Come il calcio di Zeman…

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Fabio Bartoli - La Fontana del Villaggio - pubblicato il 04/05/16
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Se il papa fosse il presidente di una squadra di calcio, sono certo che come allenatore ingaggerebbe Zeman. Come il boemo infatti ha una “filosofia di gioco” totalmente offensiva: non si preoccupa affatto di difendere ed ha una strategia interamente finalizzata “all’attacco”, si potrebbe ben dire che l’allenatore più discusso della storia del calcio ed il papa più discusso della storia recente della Chiesa fanno entrambi giocare la loro squadra “in uscita”.

Come il boemo il Santo Padre pretende dai suoi un rigoroso giuoco di squadra e una formidabile preparazione atletica (santità personale, nel caso della squadra del Papa) ed entrambi devono subire accanite resistenze e piccole e grandi ribellioni nello spogliatoio. È una filosofia di vita, uno stile che probabilmente non fa vincere i campionati, ma fa innamorare i tifosi. E se per una squadra di calcio vincere il campionato è tutto, l’obbiettivo della Chiesa non può che essere quello di conquistare le anime, ovvero innamorare i tifosi.

Mi è venuto in mente questo parallelismo leggendo il secondo capitolo della AL, dedicato alle sfide che il nostro tempo pone alla famiglia. Non a caso il papa usa la parola sfida e non la parola minaccia (“Le realtà che ci preoccupano sono sfide. Non cadiamo nella trappola di esaurirci in lamenti autodifensivi, invece di suscitare una creatività missionaria” – AL 57). Egli parte da una affermazione di fede incrollabile: la famiglia è una istituzione divina, voluta direttamente dal Creatore, ed in quanto tale non può seriamente essere minacciata. Proprio perché è radicalmente scritto nell’essenza stessa dell’uomo, il bisogno di famiglia resta insopprimibile nel suo cuore e non può esserne sradicato: ci saranno sempre padri e madri, ci saranno sempre uomini e donne innamorati che raccoglieranno l’invito del Creatore a collaborare con Lui nella generazione della vita, per questo vanno decisamente ridimensionati certi toni apocalittici che non fanno che creare una “sindrome di Fort Apache”, che è l’esatto contrario della Chiesa “in uscita” auspicata del resto anche dai suoi predecessori (o non è Giovanni Paolo II che ha coniato l’espressione “Nuova Evangelizzazione”? Non è Benedetto XVI che ha insistito tanto sulla necessità di rievangelizzare l’Europa?).

Tutta la logica zemaniana del Papa è espressa in questo paragrafo: “Non ha senso fermarsi a una denuncia retorica dei mali attuali, come se con ciò potessimo cambiare qualcosa. Neppure serve pretendere di imporre norme con la forza dell’autorità. Ci è chiesto uno sforzo più responsabile e generoso, che consiste nel presentare le ragioni e le motivazioni per optare in favore del matrimonio e della famiglia, così che le persone siano più disposte a rispondere alla grazia che Dio offre loro” (AL 35).

E ancora: “Molte volte abbiamo agito con atteggiamento difensivo e sprechiamo le energie pastorali moltiplicando gli attacchi al mondo decadente con poca capacità propositiva per indicar strade di felicità” (AL 38)

Evidentemente però il nostro è un tempo problematico, essere padre e madre è davvero difficile, sia nel senso di una difficoltà pratica crescente, posta da una società sempre più individualista, sia per una domanda di senso che turba i cuori. Dobbiamo anche fare una seria autocritica, se infatti il senso del matrimonio è oggi eclissato nel cuore di tante coppie cristiane è in parte anche colpa nostra, intendo di noi pastori, che troppo spesso abbiamo presentato la dottrina cristiana sull’amore e sul matrimonio in un modo tale che ha di fatto “aiutato a provocare ciò di cui oggi ci lamentiamo”. Oscillando tra l’idealismo e il moralismo non abbiamo reso il matrimonio “più desiderabile e attraente, ma tutto il contrario” (Cfr. AL 36). Al contrario “Abbiamo bisogno di trovare le parole, le motivazioni e le testimonianze che ci aiutino a toccare le fibre più intime dei giovani, là dove sono più capaci di generosità, di impegno, di amore e anche di eroismo, per invitarli ad accettare con entusiasmo e coraggio la sfida del matrimonio” (AL 40). Le problematiche della famiglia sono quindi, in ultima analisi, un caso specifico, per quanto vistoso, di un problema più vasto: la generale mancanza di umanità, l’eclisse del senso, che caratterizza il nostro tempo.

Segue una lunga analisi delle maggiori criticità di fronte a cui oggi si trova l’istituzione familiare, che non si discosta di molto da quello che la Santa Sede ha sempre detto, anche se ci sono una paio di “new entry”, come l’attenzione dedicata al fenomeno delle migrazioni che “appaiono particolarmente drammatiche e devastanti per le famiglie” (AL 46) e un discorso analogo si potrebbe fare guardando all’Europa, che attraverso i meccanismi della precarietà e della mobilità del lavoro sottopone le famiglie a stress simili.

Nella lunga analisi della situazione però colpisce lo sforzo continuo del Santo Padre di sottolineare il positivo, egli non si limita mai a una pura denuncia del male, ma al contrario valorizza i semi di bene già presenti, indica vie di soluzione, possibilità alternative… è evidentemente preoccupato più di suscitare processi virtuosi che di compattare la Chiesa dietro una trincea.

Così ad esempio c’è un giudizio carico di simpatia sul movimento femminista, sebbene si affermi chiaramente che alcune sue forme “non possiamo considerare adeguate” (AL 54), ed al tempo stesso si sottolinea come decisivo il recupero della figura paterna (AL 55). Non è cerchiobottismo questo, ma evidentemente l’indicazione di un femminismo da declinare non in forma antimaschile. Per quanto riguarda le questioni legate al gender e all’omosessualità questo sguardo di simpatia si declina innanzitutto nell’affermazione chiara della verità creaturale dell’uomo: “Una cosa è comprendere la fragilità umana o la complessità della vita, altra cosa è accettare ideologie che pretendono di dividere in due gli aspetti inseparabili della realtà (sesso e generazione). Non cadiamo nel peccato di sostituirci al Creatore. Siamo creature, non siamo onnipotenti. Il creato ci precede e dev’essere ricevuto come dono” (AL 56). Non è infatti vera simpatia né benevolenza permettere a qualcuno di distruggere se stesso, rifiutando la propria realtà, e ancor meno lo sarebbe accettare che questo rifiuto della realtà creaturale si coniugasse come ideologia, arrivando fino a coinvolgere l’educazione dei bambini.

Le mille difficoltà che avverte chi cerca di costruire una famiglia sono quindi da interpretare non come minacce, ma come “un invito a liberare in noi le energie della speranza, traducendole in sogni profetici, azioni trasformatrici e immaginazione della Carità” (AL 57). Come questo si possa tradurre in azioni concrete sarà l’argomento dei capitoli successivi.

 

QUI L’ARTICOLO ORIGINALE

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