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Una famiglia che prega assieme è più unita e vive meglio, lo dicono gli studi

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Unione Cristiani Cattolici Razionali - pubblicato il 03/05/16
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Numerose ricerche sono state dedicate al rapporto tra religione e psicologia e i risultati sono pressoché identici: la fede è una forza di benessere psico-fisico personale ed un collante sociale.

Avere una vita religiosa attiva migliora la salute mentale, aumenta il successo scolastico, rende più felici, migliora l’autocontrollo, diminuisce il tasso di dipendenze e aumenta la prospettiva di vita, riduce la delinquenza, l’ansia e la depressione. Sono alcuni dei risultati di numerosi studi scientifici elencati nel nostro apposito dossier.

Ma i benefici sono anche a livello sociale, un’alta frequenza ai sacramenti è legata ad una migliore relazione di coppia, sentimentale e sessuale, nonché alla diminuzione dei tassi di divorzio, ed influisce sulla fedeltà di coppia. Un sondaggio del 2015 ha rilevato che il 50% delle coppie non prega assieme al di fuori dei pasti in famiglia, l’altro 50% lo fa almeno una volta all’anno, di cui l’11% tutti i giorni e un terzo, nel complesso, almeno una volta al mese.

Clay Routledge, professore di Psicologia presso la North Dakota State University, ha elencato i risultati della letteratura scientifica che dimostrano come la preghiera migliora l’autocontrollo, aiuta ad essere pazienti, rende più indulgenti verso le persone che ci sono vicine e porta vantaggi per quanto riguarda la salute e gli effetti dello stress. «Vi è una crescente mole di prove», ha spiegato, «che indica che la preghiera, un comportamento spesso associato con la religione, può essere utile per gli individui e la società».

Ovviamente, l’indagine scientifica non entra nel campo teologico, nel rapporto tra la persona e Dio, nei motivi della preghiera e nell’eventuale risposta di Dio, ma si limita a valutare le conseguenze che è in grado di percepire tramite i suoi metodi di ricerca. Tuttavia, chiunque comprende facilmente che il tempo che le famiglie passano pregando assieme è tempo sottratto alla televisione e agli smartphone, impiegato invece in un rapporto profondo e di qualità. Uno studio ha infatti scoperto che i bambini, figli di genitori che pregano più di una volta al giorno, vivono un migliore rapporto con i loro genitori anche se non sono coinvolti nei momenti di preghiera. Un secondo studio ha trovato una correlazione positiva tra l’aumento di fiducia reciproca e il tempo che la coppia dedica alla preghiera.

Il medico e biologo francese Alexis Carrell, premio Nobel per la medicina nel 1912, scrisse nel 1941 un bel libro intitolato, per l’appunto, La preghiera, in cui mise in guardia dal non paragonare «la preghiera con la morfina. Poiché essa determina una specie di fioritura della personalità, solleva gli uomini al di sopra della statura mentale loro propria per eredità o per educazione. La preghiera fortifica nello stesso tempoil senso sacro e il senso morale. Gli ambienti nei quali si prega sono caratterizzati da una certa persistenza del senso del dovere e della responsabilità, da una minor gelosia e malvagità, da qualche bontà nei rapporti col prossimo. Quando la preghiera è abituale e veramente fervente, la sua influenza si fa chiarissima. Si direbbe che nella profondità della coscienza s’accenda una fiamma». Insomma, conclude il Nobel per la medicina, «tutto accade come se Dio ascoltasse l’uomo e gli rispondesse. Gli effetti della preghiera non sono un’illusione. Non bisogna ridurre il senso sacro all’angoscia dell’uomo davanti ai pericoli che lo circondano e davanti al mistero dell’universo. Né bisogna fare unicamente della preghiera una pozione calmante, un rimedio contro la nostra paura della sofferenza, della malattie della morte. Il senso sacro sembra essere un impulso proveniente dal più profondo della nostra natura, un’attività fondamentale, per mezzo della preghiera l’uomo va a Dio e Dio entra in lui»(A. Carrel, La Preghiera, Morcelliana 1986, pp. 28-44).

 

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In altre due occasioni ci siamo occupati della preghiera, nella prima rispondendo alla classica domanda: “Perché pregare se Dio conosce già i nostri pensieri?”, nella seconda, spiegando che la preghiera non serve per istruire Dio, ma semmai per disporre noi ad accogliere il Suo aiuto. Resta comunque insuperabile la riflessione di Benedetto XVI: «Nell’esperienza della preghiera la creatura umana esprime tutta la consapevolezza di sé, tutto ciò che riesce a cogliere della propria esistenza e, contemporaneamente, rivolge tutta se stessa verso l’Essere di fronte al quale sta, orienta la propria anima a quel Mistero da cui si attende il compimento dei desideri più profondi e l’aiuto per superare l’indigenza della propria vita. In questo guardare ad un Altro, in questo dirigersi “oltre” sta l’essenza della preghiera, come esperienza di una realtà che supera il sensibile e il contingente».

QUI L’ARTICOLO ORIGINALE

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