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Mio marito è dipendente dai videogiochi

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Sarah Fadian - pubblicato il 03/05/16
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Quasi subito dopo la nostra luna di miele, ho scoperto un uomo che era costantemente e compulsivamente collegato alla sua Xbox o al computerSono sposata con un uomo dipendente dai videogiochi. Non sono mai riuscita a dirlo ad alta voce, e ora che l’ho scritto sto lottando per non premere il tasto per cancellare tutto. No, non sono sposata con un adolescente, ma con un uomo di mezza età, e durante il nostro matrimonio di quindici anni ho tenuto questo segreto ben nascosto.

Quando eravamo fidanzati non mi sono accorta di questa dipendenza. Lo conoscevo da anni, e non c’erano indizi del fatto che trascurasse il suo lavoro o la vita sociale. Quasi subito dopo la nostra luna di miele, però, mi sono trovata davanti a un uomo che era collegato in modo costante e compulsivo alla sua Xbox o al computer. Quando gli chiedevo di accompagnarmi a letto mi ignorava, continuando a giocare tutta la notte, e io ero annientata mentre la mia emozione per il fatto di vivere finalmente con la mia anima gemella veniva sostituita da solitudine, confusione e isolamento. Non sorprende che durante i primi mesi di matrimonio fossi tormentata dagli incubi notturni, con un’ansia che non avevo mai sperimentato prima, e che abbia sviluppato una difficoltà ad addormentarmi.

So che ci sono degli scettici che non credono alla dipendenza dai videogiochi, ma molti studi paragonano le caratteristiche delle persone dipendenti da altre cose a quelle di chi gioca troppo con i videogiochi: compulsione, necessità di sfuggire dalla realtà, isolamento, lavori e matrimoni falliti, problemi di salute, depressione.

So di non essere sola. Non posso esserlo. Secondo un articolo pubblicato sull’American Journal of Preventive Medicine nel 2009, il fan principale dei videogiochi ha 35 anni. Internet pullula di chat per persone con questo problema e di programmi in 12 passi per uscirne.

La realtà è che vivo nello stesso circolo di vergogna e follia di una persona sposata con un alcolista. Se dobbiamo recarci a eventi sociali o a incontri di famiglia, come i compleanni o delle uscite, e si prolungano troppo, mio marito diventa irritabile e ansioso, e vuole disperatamente tornare sul suo “campo da gioco”. Trovo costantemente scuse per spiegare perché è venuto da solo e deve andare via presto, o – più di frequente – perché non si è presentato affatto.

Devo svolgere tutti i compiti domestici da sola, e sono l’unica responsabile del momento del bagnetto, di quello di andare a letto, della merenda, di quello di vestirsi, di quello di spogliarsi, di quello delle coccole e di quello delle correzioni che derivano dal fatto di avere una casa piena di bambini. Quando i mie figli erano più piccoli mi sentivo a disagio a uscire perché sapevo che tornando li avrei trovati senza supervisione, mentre mio marito, con le cuffie nelle orecchie, era ammaliato dalla sua ennesima missione. Ho pregato, ho implorato, ho negoziato. Siamo andati da consulenti separatamente e insieme. Ma la situazione non è cambiata.

Qualcuno potrebbe chiedermi perché resto con lui. Resto perché ho detto che lo avrei fatto. Sull’altare ho detto “in salute e in malattia”. Non sono diversa da voi. Potete vivere con una persona che dipende dal lavoro, dall’alcool, con un inguaribile egoista o qualcuno che non vi calcola proprio. Tutti noi abbiamo la nostra croce.

E questo è il mio test: rialzerò la testa o verrò risucchiata dal desiderio che la mia vita sia diversa, facendo continuamente paragoni e cadendo nella disperazione?

A metà strada tra la follia e il vivere nella negazione, ho scelto di accettare la mia situazione e di non permettere che il problema di mio marito rovini anche la mia vita. Ho assunto il controllo di quello che riesco a controllare: la mia felicità. Ho trovato nuovi interessi, ho iniziato a correre e a giocare a calcio e mi diverto a programmare uscite divertenti per i miei figli, per cui non mi perdo quello che si perde lui – i tanti piccoli e semplici momenti che rendono la vita favolosa. E con questo, ho scoperto che ho l’arma più grande contro l’infelicità e il dubitare di se stessi: la mia fede.

Perché con la fede viene la speranza. Speranza di cambiamento, speranza di rinascita. Ogni mattina offro la mia famiglia alla Beata Vergine e chiedo a Santa Monica di darmi forza e perseveranza. Anche se spesso viene vista solo in funzione del suo ruolo nella conversione del suo figlio ribelle, Sant’Agostino, Santa Monica ha vissuto con un marito eccentrico, infedele e violento a livello verbale. Le sue preghiere per lui sono state incessanti, e alla fine hanno avuto buon esito, perché si è convertito sul letto di morte. Per questo la Chiesa ce l’ha donata come santa patrona dei matrimoni difficili e degli alcolisti. È anche la santa patrona del mio matrimonio.

Amo mio marito. La mia vita non è priva di momenti splendidi. Attraverso la fedeltà e la preghiera, Dio continua a benedirmi con barlumi della persona che ho sposato e promemoria di quello che potrebbe essere. Il mio messaggio per quante di voi affrontano situazioni simili, spesso nascoste, è la speranza. Perché il nostro Dio è un Dio buono e fedele, che può cambiare il cure più duro e non può mai essere superato in generosità.

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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