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Dibattito sulla Amoris Laetitia: chi è a favore e chi è contro

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Lucandrea Massaro - Aleteia - pubblicato il 12/04/16
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…alcune opinioni a confronto. E voi cosa pensate? L’avete già finita di leggere?L’Esortazione apostolica post sinodale “Amoris Laetitia” è uscita venerdì, noi di Aleteia abbiamo dedicato ad essa una serie di approfondimenti per iniziare a scavare dentro ad un testo molto denso e lungo quasi trecento pagine cercando di dare una prima – seppur parziale – lettura di questo testo di Papa Francesco. Ma come è stato accolto, in generale, dai commentatori cattolici italiani, questa esortazione? Qui una breve rassegna tra “entusiasti” e “critici”, più o meno apocalittici. A ciascuno di voi lettori, il compito della sintesi tra qualche “innovazione” e la continuità nel Magistero della Chiesa…

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Per il giornalista Marco Tosatti, osservatore di lungo corso delle cose ecclesiali e blogger di Vatican Insider, il testo di Bergoglio non contiene nessuna reale rottura:

Sui temi scottanti che hanno appassionato giornali e monsignori negli ultimi due Sinodi, quello del 2014 e quello del 2015, abbiamo l’impressione che l’imponente e dettagliatissima esortazione post-sinodale abbia in buona sostanza lasciato le cose come stavano prima del clamore della battaglia.

Non così “tranquillizzato” è il giudizio dello storico della Scuola di Bologna, Alberto Melloni, studioso del Concilio Vaticano II e dunque profondo estimatore di Bergoglio, che su Repubblica avverte che una rivoluzione c’è, ed è nel linguaggio e nel punto di vista:

Per spostare l’asse attorno al quale ruotava da cinque secoli la storia del matrimonio bisognava ripensare una parola: “amore”. La parola con cui inizia l’esortazione post-sinodale di papa Francesco da ieri affidata ai suoi tre destinatari: il tempo, i vescovi e le chiese locali che entrano così in uno stato sinodale. “Amoris Laetitia”, partendo da una lettura biblica profonda, non evade i temi su cui la chiesa era attesa al varco: la comunione dei divorziati risposati, la dignità delle persone omosessuali, la visione della sessualità. Sul primo punto Francesco difende la propria posizione nella cruciale nota 336. La chiesa di Bergoglio non s’affida a un divieto o a un permesso, ma al discernimento: col quale si può capire quando in una situazione «particolare, non c’è colpa grave». Le coppie “cosiddette irregolari” (quel “cosiddette” vale tutta l’esortazione…) cessano di essere un “caso”, e diventano i destinatari dell’eucarestia, che non è l’onorificenza dei presuntuosi, ma “l’alimento dei deboli”. Francesco non offre una “apertura” paternalistica: dice a quei preti che hanno comunicato i divorziati risposati sapendo cosa facevano che non hanno agito contro la norma, ma secondo il vangelo. E riconsegna ai vescovi la loro funzione di giudici: non devolvere loro una grana, ma riconosce che nella funzione di “pastore e capo della sua chiesa” del vescovo c’è la grazia necessaria ad ascoltare, accogliere, perdonare e insegnare a perdonare (9 aprile).

E che sembra quasi rispondere all’incipit di Tosatti:

Sbaglierebbe, però, chi pensasse che “Amoris Laetitia” si riduca all’ultimo rigore di un derby fra rigoristi e possibilisti finito in parità ai tempi supplementari, e tirato dal papa a porta vuota. L’atto ha qualcosa di epocale proprio perché sposta l’asse del discorso sul coniugio, che dal concilio di Trento in qua era chiuso in una gabbia giuridico- filosofica strettissima. Talmente solida che perfino la secolarizzazione aveva inventato un “matrimonio civile” prigioniero degli stessi paradigmi del matrimonio tridentino: autorità, norma e fini di ordine sociale e di procreazione che placavano la forza eversiva del desiderio.

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Per il priore di Bose, Enzo Bianchi, il testo è un cambiamento, ma non di dottrina, quanto di metodo. Prima di tutto l’ascolto, il confronto – in spirito di fraterna parresia – e poi l’elaborazione, la sintesi, la traduzione in un testo che tenga conto di tutti i punti di vista:

In quest’aria nuova, che si arricchisce di contributi provenienti dall’intera cattolicità, due convinzioni evangeliche sembrano orientare l’intera riflessione: il primo è che non ci sono cristiani “irregolari” e cristiani cosiddetti “giusti”, ma che tutti sono chiamati costantemente a convertirsi e a ritornare al loro Signore. L’altro è che “nessuno può essere condannato per sempre, perché questa non è la logica del Vangelo!” (§ 297). Ecco il cuore ardente che dovrebbe irrorare tutte le considerazioni di fronte all’avventura del matrimonio, alla realtà non sempre riuscita delle storie d’amore e della vita familiare e, più in generale, della vita umana e cristiana: “la logica del Vangelo”. Le diverse situazioni, le singole persone, le stagioni culturali e i segni dei tempi, le sofferenze e gli errori, le fatiche e le incomprensioni, ma anche gli slanci generosi e la paziente fedeltà quotidiana, tutto dovrebbe essere riletto secondo “la logica del Vangelo” (La Stampa, 9 aprile).

Che sottolinea:

«Mai, in nessun documento magisteriale, si era giunti ad evidenziare in modo così chiaro il ruolo della coscienza, una coscienza formata, che sa ascoltare la Parola di Dio e i fratelli, ma una coscienza che è istanza centrale e ultima, patrimonio di ciascuno come luogo della verità cercata sinceramente»

Per i suoi detrattori, questa affermazione è già macchiata di gnosticismo e per il blog “Chiesa e Postconcilio (che riporta l’opinione dello scrittore cattolico Danilo Quinto) il testo bergogliano è intriso di questa eresia che risale ai primi secoli del cristianesimo e che nell’interpretazione di Karl Rahner trova la sua sistematizzazione teologica nel XX secolo:

è l’uomo che delimita, nella sua domanda, la risposta divina e diviene la stessa misura della Rivelazione di Dio. Per Rahner, l’uomo è innanzitutto coscienza, puro spirito, immerso nel mondo. Il conoscere fonda l’essere, ma la conoscenza ha il suo fondamento nella libertà, perché «nella misura in cui un essere diventa libero, nella medesima misura esso è conoscente» (11 aprile).

E sulla linea della rottura della dottrina cattolica da parte di Papa Francesco – o al più di pericolosa ambiguità – è anche lo storico Roberto De Mattei su Radio Spada:

Tutti aspettavano la risposta a una domanda di fondo: coloro che, dopo un primo matrimonio, si risposano civilmente, possono accostarsi al sacramento dell’Eucarestia? A questa domanda la Chiesa ha sempre risposto categoricamente di no. I divorziati risposati non possono ricevere la comunione perché la loro condizione di vita contraddice oggettivamente la verità naturale e cristiana sul matrimonio significata e attuata dall’Eucaristia (Familiaris Consortio, § 84).

La risposta dell’Esortazione postsinodale è invece: in linea generale no, ma «in certi casi» sì (§305, nota 351). I divorziati risposati infatti devono essere «integrati» e non esclusi (§299). La loro integrazione «può esprimersi in diversi servizi ecclesiali: occorre perciò discernere quali delle diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possano essere superate» (§ 299), senza escludere la disciplina sacramentale (§ 336).

Il dato di fatto è questo: la proibizione di accostarsi alla comunione per i divorziati risposati non è più assoluta. Il Papa non autorizza, come regola generale, la comunione ai divorziati, ma neanche la proibisce (10 aprile)

E sulla stessa linea anche Antonio Socci che sul suo sito sostiene che quella di Bergoglio sia addirittura eresia e paragona il Papa ai “rivoluzionari” sessantottini sia per quanto riguarda la morale sessuale che per i richiami alla giustizia sociale. Per Socci è dietro l’angolo – e spiace leggere questo – la fine del cattolicesimo: dopo l’indissolubilità – secondo il giornalista – verranno meno la confessione, la legge naturale e i Comandamenti.

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Sembra dunque che fin dalle prime parole del Pontefice, ci sia stata in alcune frange del cattolicesimo italiano, una chiusura a riccio laddove neppure un comma del diritto canonico è stato toccato nessuna parte della dottrina abrogata, semmai reinterpretata alla luce di quel percorso di costante ripensamento che è l’esegesi biblica ed evangelica attraverso il tempo:

“Nello sviluppo del testo, comincerò con un’apertura ispirata alle Sacre Scritture, che conferisca un tono adeguato. A partire da lì considererò la situazione attuale delle famiglie, in ordine a tenere i piedi per terra. Poi ricorderò alcuni elementi essenziali dell’insegnamento della Chiesa circa il matrimonio e la famiglia, per fare spazio così ai due capitoli centrali, dedicati all’amore. In seguito metterò in rilievo alcune vie pastorali che ci orientino a costruire famiglie solide e feconde secondo il piano di Dio, e dedicherò un capitolo all’educazione dei figli. Quindi mi soffermerò su un invito alla misericordia e al discernimento pastorale davanti a situazioni che non rispondono pienamente a quello che il Signore ci propone, e infine traccerò brevi linee di spiritualità familiare” (Amoris Laetitia n. 6)

“Si tratta di integrare tutti, si deve aiutare ciascuno a trovare il proprio modo di partecipare alla comunità ecclesiale, perché si senta oggetto di una misericordia immeritata, incondizionata e gratuita. Nessuno può essere condannato per sempre, perché questa non è la logica del Vangelo!” (n. 297)

Eppure nemmeno l’arcivescovo di New York, Timothy Dolan, che dice «L’unica vera rivoluzione che si può scorgere tra le pagine dell’esortazione è la rivoluzione della tenerezza che rappresenta non solo una delle categorie di questo pontificato, ma anche uno dei simboli con cui guardare la famiglia attraverso questo documento». O il cardinale statunitense Raymond Leo Burke, che ha dichiarato «Amoris laetitia non ha lo scopo di cambiare la pastorale della Chiesa per quanto riguarda quelli che vivono in una unione irregolare, ma di applicare fedelmente la pastorale costante della Chiesa, quale espressione fedele della pastorale di Cristo stesso, nel contesto della cultura odierna. L’unica chiave giusta per interpretare Amoris laetitia è la costante dottrina e disciplina della Chiesa per quanto riguarda il matrimonio»; ritengono che ci siano deviazioni o eresie. Prevale dunque in ambiente ecclesiale una valutazione positiva del documento. Perché allora certi eccessi verbali?

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