Contrariamente a quanto molti possono pensare è con Bergoglio che la Fraternità San Pio X sta dialogando di più per una piena comunione con RomaLa recente notizia, confermata dalla Sala Stampa della Santa Sede, è che Papa Francesco ha incontrato sabato scorso in Vaticano Bernard Fellay, Superiore generale e diretto successore di monsignor Marcel Lefebvre alla guida della Fraternità San Pio X, FSSPX.
Una notizia niente affatto scontata, sebbene da anni Roma e la Fraternità cerchino una intesa per ricomporre lo scisma. I primi passi nella direzione della ricucitura li ha mossi infatti Benedetto XVI. Fu lui, nel gennaio 2009, a volere la revoca della scomunica latae sententiae dichiarata il 1° luglio 1988 contro i quattro vescovi consacrati illecitamente da monsignor Lefebvre. Allora la decisione di Benedetto XVI di riconsiderare la posizione dei quattro vescovi venne spiegata nel decreto sulla base di una duplice considerazione: da una parte il “disagio spirituale manifestato dagli interessati a causa della sanzione di scomunica”; dall’altra la fiducia “nell’impegno” da essi espresso “di non risparmiare alcuno sforzo per approfondire nei necessari colloqui con le autorità della Santa Sede le questioni ancora aperte, così da poter giungere presto a una piena e soddisfacente soluzione del problema posto in origine”.
Un altro passo nella direzione della piena comunione invece lo ha compiuto proprio Papa Francesco con l’indizione del Giubileo della Misericordia: nella Lettera di indizione del 1° di settembre 2015, inviata a mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova Evangelizzazione, il Pontefice, rivolgeva un pensiero “a quei fedeli che per diversi motivi si sentono di frequentare le chiese officiate dai sacerdoti della Fraternità San Pio X”, comunicando così la decisione “che quanti durante l’Anno Santo della Misericordia si accosteranno per celebrare il Sacramento della Riconciliazione” presso i sacerdoti della comunità, “riceveranno validamente e lecitamente l’assoluzione dei loro peccati”.
La comunità fondata da Marcel Lefebvre ha quindi perso la piena comunione con la Chiesa in seguito al vero e proprio atto scismatico consumatosi nel 1988. L’argomentazione di Lefebvre seguiva questa linea: “Il problema della situazione dei fedeli e della situazione del Papato attuale rende caduche le difficoltà di giurisdizione, di disobbedienza e di apostolicità, perché queste nozioni suppongono un Papa cattolico nella sua fede e nel suo governo”. Per dirla più sinteticamente: nell’ottica di Lefebvre la giurisdizione del Papa, a causa del suo modo di agire, era per così dire sospesa, e dunque non ci poteva essere scisma perché era a Roma, fin dal Concilio Vaticano II, che si era consumata la rottura.
Gli sforzi di riconciliazione sotto il pontificato di Benedetto XVI non hanno mai riportato a un vero e proprio dialogo, ancora in stallo dopo l’elezione di Jorge Bergoglio nel 2013. Nel dicembre 2014 è stato Francesco a organizzare un primo incontro della Commissione vaticana per i rapporti con la Fraternità, seguito, nel settembre 2015, dall’incontro con il vescovo francese Jacques Gaillot (Repubblica, 4 aprile).
Un rapporto che viene da lontano
Fellay sottolinea così l’attenzione di Papa Francesco nei confronti della FSSPX.
«Questo può sembrare difficile da comprendere, perché il Papa ha fatto così tanti rimproveri a coloro che insistono sulla dottrina, che non vogliono che le cose cambino… Ma non c’è assolutamente alcun dubbio che il Papa è personalmente coinvolto nel nostro caso. Papa Francesco conosce la Fraternità San Pio X, e ha già avuto la possibilità di facilitare il suo lavoro quando era arcivescovo di Buenos Aires. Egli ci conosce dall’Argentina. Eravamo in contatto con lui, perché in Argentina un concordato permette ai sacerdoti stranieri di ottenere un permesso di soggiorno a condizione che il vescovo è d’accordo. Quando abbiamo avuto un problema con un vescovo locale, che non voleva la nostra presenza, abbiamo incontrato il cardinale Bergoglio per esporre il problema. La sua risposta è stata molto chiara: ‘tu sei cattolico, ovviamente, e non sei scismatico; Ti aiuto io’. E lo ha fatto! Ha fatto il contatto con Roma, ha scritto una lettera per nostro conto al governo, che, al tempo stesso, ha ricevuto una lettera dalla nunziatura dicendo esattamente il contrario! E siamo stati in questa situazione quando fu eletto papa» (La fede quotidiana, 31 gennaio 2016).
Sembrerebbe dunque che il riconoscimento canonico della Fraternità da parte della Santa Sede, sia a a portata di mano e che – probabilmente – la forma sarà quella di una prelatura personale costituita ad hoc sul modello di quella dell’Opus Dei, quindi con ampi margini di autonomia non solo organizzativa (Il Foglio, 4 aprile)
Ma chi sono i lefebvriani?
Per rispondere bisogna risalire alla svolta “tradizionalista” che monsignor Marcel Lefebvre, padre spirituale dei cosiddetti lefebvriani, che rifiutava la svolta – considerata progressista – imposta dal Concilio Vaticano II e in particolare il dialogo verso le altre religioni, su tutte l’Islam ma anche l’ebraismo (lo storico ingresso di un Papa nella Sinagoga di Roma non venne digerito dai tradizionalisti) e le innovazioni riguardanti la Messa con l’abbandono del messale Tridentino. Tuttavia la piccola comunità è assai feconda da un punto di vista delle conversioni e delle vocazioni, con oltre 600 sacerdoti ordinati, una ricchezza spirituale che non sfuggì all’osservazione di Benedetto XVI. Ma il rapporto tra la Fraternità e la Santa Sede è stato complesso sin dall’inizio: se nel 1971 venne riconosciuta come parte della Chiesa romana, questo riconoscimento venne meno nel 1975 per la costante opposizione ai dispositivi conciliari. Il punto di rottura definitivo tuttavia avverrà solo nel 1988 quando – senza l’autorizzazione della Santa Sede – monsignor Lefebvre ordinò 4 nuovi vescovi in piena opposizione a Giovanni Paolo II e al prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede, Joseph Ratzinger.