La scherma come “arma” per l’inclusione dei ragazzi con autismo: la proposta di “Progetto Aita”Puntuali, due volte alla settimana, indossano tuta e maschera, salgono sulla pedana dell’”Accademia di scherma Lia” e si mettono “en garde”, la posizione base dello schermidore. Ciò che rende speciale l’attività sportiva sono, in questo caso, i suoi protagonisti: 15 ragazzi, dai 6 ai 16 anni, con disturbi dello spettro autistico. Grazie agli spazi messi a disposizione dalla parrocchia di Nostra Signora di Coromoto, nel quartiere di Monteverde nuovo a Roma, l’associazione “Progetto Aita” nata nel 2001 a Catania per dare supporto a bambini e adolescenti colpiti da patologie neurologiche e comportamentali, ha aperto la palestra di scherma nella quale si allenano ragazzi a sviluppo tipico e con autismo aiutati da tutor psicologi. “Non si tratta di una terapia – avverte Luigi Mazzone, fondatore di Aita, neuropsichiatra dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù ed ex fiorettista azzurro –, ma di una attività ludica che può avere effetti positivi. La scherma è divertente e, fatta salva la sicurezza, non c’è motivo perché anche i ragazzi con autismo non possano praticarla”. L’intervista di Aleteia alla vigilia della Giornata mondiale della consapevolezza dell’autismo che si celebra il 2 aprile.
Quali sono gli effetti positivi che può avere la scherma?
Mazzone: Nella scherma hai davanti un avversario di gioco del quale devi intuire le intenzioni e prevenirle per segnare un punto. Si tratta di un gioco che mette in relazione, con il fine ultimo, però, non di parlare, ma di “toccare”. Come il karate o il judo aiuta ad attivare capacità metacognitive: rafforza la percezione dell’altro, insegna a leggerne i movimenti e la strategia. Quando il fioretto tocca l’avversario, inoltre, si accende una lampadina e viene emesso un suono. Il bambino autistico, per il quale l’elemento visivo e auditivo è importante, ne viene gratificato e questo incrementa l’autostima.
In che modo il tutor interagisce con l’attività di gioco?
Mazzone: Rende fruibile il contesto di gioco. Affianca l’istruttore che insegna come colpire sportivamente in modo da provocare gesti di imitazione dei bambini, cattura la loro attenzione nel momento in cui si distraggono, gestisce eventuali problemi di ansia quando ci siano più persone nello stesso spazio.
Lei consiglia ai genitori dei bambini con problemi di autismo di ampliare le attività di socializzazione?
Mazzone: Sono convinto che occorra de-medicalizzare l’autismo, farlo uscire dagli ospedali. Un bambino autistico che non abbia problemi medici o comportamentali trae più giovamento da attività di relazione come lo sport che da tante visite di controllo. Lo costatiamo nella palestra di scherma: tutti i ragazzi che hanno iniziato, non perdono un giorno e non mollano un centimetro nella determinazione. Tutti hanno voluto il proprio nome sul fioretto di plastica che adoperiamo: è il segno che hanno trovato un ambiente in cui stanno bene, che sentono proprio e in cui sperimentano un successo relazionale e sociale.
Uno degli scopi del “Progetto Aita” è la sensibilizzazione del territorio: esistono ancora dei pregiudizi nel confronti dell’autismo?
Mazzone: Negli ultimi anni si è diventati molto bravi nel linguaggio politicamente corretto, per cui si usa “diversamente abile” al posto di “disabile” e si sottolinea la necessità dell’”integrazione” tra ragazzi normotipi e ragazzi con problemi di autismo. Tuttavia nella pratica queste situazioni sono difficili da gestire e spesso le famiglie si trovano sole ad affrontarle. Se sussistano pregiudizi o se il contesto non sia pronto ad affrontare queste tematiche, il risultato non cambia. Per questo Aita propone i Summer camp, campus estivi, che sono occasioni per i ragazzi – autistici e non -per stare insieme in attività ludiche che a loro piacciono, stimolando l’accettazione della diversità e alleggerendo la fatica delle famiglie che trovano uno spazio adeguato per far vivere ai loro figli delle ore di gioco e serenità. Lo slogan della nostra associazione è “Insieme è più facile”, ma sarebbe meglio cambiarlo in “Giocare l’autismo”: più gioco e meno ospedale fa bene anche ai genitori, spesso logorati nella ricerca di un “colpevole” della malattia che non esiste.
Qual è la prossima “mossa”?
Mazzone: Le Olimpiadi. Abbiamo un progetto, sostenuto dall’Ospedale Bambino Gesù, per portare un gruppo di 8 bambini della palestra di scherma a vedere le gare di scherma alle Olimpiadi di Rio de Janeiro di agosto. Più “giocare l’autismo” di così…