In generale l’omeopatia è solo acqua in capsuleL’omeopatia è una delle cosiddette medicine alternative, anche se è meglio dire che non è una medicina, ma una falsa medicina. Si basa su principi o postulati non scientifici, irrazionali e puramente magici, non avendo superato alcun esperimento né controllo scientifico.
Gli inizi
Alla fine del XVIII secolo la medicina, quanto alla conoscenza delle cause di molte malattie e delle terapie più adeguate, non aveva ancora raggiunto un grande sviluppo.
Si potevano sicuramente eseguire degli interventi, e in effetti si realizzavano abitualmente anche dissezioni già da un paio di secoli e si conoscevano bene il sistema anatomico, le ossa e i muscoli, così come i singoli organi, e si disponeva anche di un ampio ricettario di erbe e rimedi, ma ancora non si conosceva bene l’origine di molte malattie. Non dimentichiamo che mancavano ancora vari decenni alla comparsa di Louis Pasteur, con il suo apporto a livello di microbiologia e infezioni, e alla nascita dei vaccini per la diarrea intestinale, la rabbia o il tetano.
Cosa si faceva alla fine del XVIII secolo in molte occasioni? Di fronte a numerose patologie venivano messe in atto quelle che oggi agli occhi della scienza si riterrebbero delle barbarie: purganti, salassi, sostanze per vomitare, a volte lasciando i pazienti talmente deboli che spesso peggioravano visto che diventavano più vulnerabili agli agenti infettivi, che ancora non si conoscevano.
In questa situazione, un medico, Samuel Hahnemann, abbandonò la medicina, che a suo avviso non curava tanti pazienti, e occupò il suo tempo traducendo opere mediche.ù
In questo compito si imbatté in un libro che commentava il chinino: il libro di William Cullen.
Primo postulato erroneo: “Il simile cura il simile”
Realizzando alcune prove con il chinino, Hahnemann si rese conto che prendendone un po’ sentiva alcuni sintomi della febbre paludica.
Questo lo portò a pensare che se il rimedio alla malattia produceva gli stessi effetti della malattia stessa, forse prendendo un composto per ammalarsi il paziente sarebbe guarito, ovvero che se un composto fa ammalare bisogna prenderne di più.
Questa idea viene espressa con la prima legge dell’omeopatia, che afferma “Il simile cura il simile” – la cosiddetta legge della similitudine. Correva l’anno 1796.
L’aspetto interessante è che questa presunta legge è di origine magica. Vediamo perché. Nel XVI secolo, quando la scienza medica era ancora assai mescolata ad apporti di magia e superstizione, il medico, alchimista e astrologo Paracelso, pur avendo raggiunto alcuni progressi interessanti e seri, espose altre conclusioni estremamente irrazionali e basate sull’astrologia, essendo anche colui a cui si deve l’idea per cui “il simile cura il simile”.
Ricordiamo che la scienza medica non funziona così. Quello che si fa nella scienza e nelle prove di laboratorio, a livello di colture, in animali o in specie simili a quella umana, è provare possibili medicinali, composti diversi, insieme allo studio dei meccanismi biochimici negli organi, nel sistema e nelle cellule, siano esse sane o malate.
Quanto ai sintomi, non importa che il sintomo nel soggetto sia simile (omeopatia), diverso (allopatia) o contrario (antipatia), o anche con un’origine uguale (isopatia), come accade con lo stesso agente patogeno (i vaccini).
Ciò che conta è l’effetto prodotto, sia primario che secondario, e tutto in modo oggettivo.
Secondo postulato erroneo: “A ciascuno la sua medicina”
Si considera anche che l’agente esterno o medicina, o il rimedio, sia indipendente dal soggetto, perché un altro principio dell’omeopatia è che “ogni persona è diversa”, per cui quello che funziona per una non deve per forza funzionare per un’altra. Si cade così in una soggettività totale che può giustificare tutto.
Questo assurdo, visto che a livello biochimico gli esseri umani sono decisamente simili, fa sì che ogni persona di fronte a uno stesso virus o batterio abbia bisogno di una cura diversa.
Le differenze tra persone, che possono avere senso in aspetti come l’alimentazione o la dieta, il livello di elementi chimici nel sangue e la regolamentazione dei loro livelli, non deve portare a situzioni di disuguaglianza al momento della cura di fronte alla quasi totalità degli agenti patogeni.
Non possiamo applicare la soggettività dell’omeopatia alla realtà. È una trappola usata dagli omeopati.
Questo principio li porta a dire che non si può indagare né controllare mediante esperimenti l’omeopatia, perché dipende dalla persona. Dicono anche che tutto dipende dal rapporto del paziente con l’omeopata, il che li porta a negare qualsiasi controllo sperimentale su di essa.
Terzo postulato erroneo: “Il principio della divisione continua”
Un altro principio dell’omeopatia è il “principio della divisione continua”. All’epoca della nascita dell’omeopatia l’acqua era considerata un continuo, ovvero una cosa che si poteva dividere quante volte si voleva, e si pensava che se si metteva un principio attivo nell’acqua si poteva dissolvere in tutte e ciascuna delle parti, di modo che sarebbe sempre stato nell’acqua.
Per questo, se si effettuava una dissoluzione, supponiamo, di alcuni grammi di principio attivo “curativo” in acqua, ad esempio un litro d’acqua, e si prendeva solo la decima parte gettando via le altre 9, si supponeva che in questa decima parte ci sarebbe stato principio attivo.
Mettendo nelle nove parti acqua e mescolando bene e poi prendendo nuovamente solo una parte, si supponeva che si continuasse ad avere principio attivo in tutta quella parte.
Facendolo 20 volte, o 30, o 100, si supponeva che ci sarebbe stato sempre principio attivo nel totale mescolato.
La verità è diversa. Arriva un momento in cui non ci sono più molecole di principio attivo. Questo è dovuto al numero di Avogadro, che è la quantità di molecole che ci sono in una mole ed è qualcosa di più di 6 per 10 elevato alla 23.
Ciò vuol dire che se compiamo l’operazione di prendere prima decime parti e poi riempiamo con acqua il resto circa 25 volte, non c’è più alcuna molecola di principio attivo nell’acqua e avremo solo acqua, nient’altro che acqua.
Questo, che all’epoca di Hahnemann non si sapeva, è stato scoperto da Amedeo Avogadro agli inizi del XIX secolo, e il calcolo primo del valore del Numero di Avogadro è stato fornito 100 anni dopo da Jean Perrin.
Ciò vuol dire che oggi la scienza ha demolito anche il principio della dissoluzione sempre esistente del principio attivo.
Quarto postulato erroneo: “Meno è più”
Ma c’è di più. Gli omeopati dicono che più è dissolto, più il composto attivo ha effetto, ma questo non ha senso. Sarà il contrario: più c’è principio attivo, più agirà.
Gli omeopati dicono di no, affermando che minore è la quantità più dinamizzatore è il principio attivo. E questo di nuovo senza prove, e contrariamente a qualsiasi senso comune.
La maggior parte dei composti omeopatici è qualcosa di simile a quello che si avrebbe se in tutti gli oceani della Terra si gettasse un pizzico di principio attivo, ad esempio un cucchiaio di un sale qualsiasi, e voi ne prendeste una pastiglia, una capsula. E con questo si pretende di curare dal catarro al cancro.
Sono stati effettuati esperimenti sui rimedi dell’omeopatia per distinguere le dissoluzioni omeopatiche e vedere se erano uguali alla semplice acqua, e in nessun caso si è potuta trovare una differenza tra loro, semplicemente perché non c’è.
L’omeopatia, superando sempre il Numero di Avogadro, non lascia più alcuna molecola, neanche una sola, nel composto. È solo acqua.
Sicuramente alcuni prodotti omeopatici contengono principi attivi essendo diluiti circa 100 volte, senza superare il limite di Avogadro, e questi possono allora avere sufficiente principio attivo, infrangendo le regole dell’omeopatia stessa.
È chiaro, però, che anche se non si supera il limite, diluendo in continuazione c’è sempre meno principio attivo. In generale, l’omeopatia è solo acqua in capsule.
Ma se oggi la chimica ha mostrato agli omeopati che non c’è più composto in quello che offrono, perché continuano a dare i loro rimedi acquosi?
Ora gli omeopati, messi all’angolo dalla verità della scienza chimica, hanno tirato fuori un nuovo principio o postulato.
Quinto postulato erroneo: “L’acqua ha memoria”
Sì, avete letto bene. Gli omeopati, nel loro delirio di magia, affermano che l’acqua ha memoria e ricorda che una volta è stata a contatto con quel composto, anche se ora il contatto non c’è più.
L’aspetto assurdo di questo è che se fosse così qualsiasi molecola d’acqua ricorderebbe che è stata in un lago o in un altro, che è stata bevuta da una persona malata o meno, che è stata a contatto con molteplici composti chimici in certi canali sotterranei, che è stata bevuta da qualche topo, o da una mucca, che è stata in qualche vescica o che è stata a contatto con dei veleni… ricorderebbe tutto.
Qualsiasi bicchier d’acqua avrebbe in ciascuna delle sue molecole memoria di tutto quello con cui è stato a contatto in milioni di anni, ovvero potremmo curarci da qualsiasi malattia bevendo un bicchier d’acqua, perché probabilmente è stato a contatto con qualsiasi sostanza.
E questo è assurdo, per cui il principio della memoria dell’acqua è un’altra idea stramba propria di un bugiardo abbindolatore.
Conclusione
L’omeopatia non è stata capace di dimostrare con mezzi oggettivi un’efficacia specifica, ovvero superiore all’effetto placebo (guarigione transitoria per suggestione, condizionamenti psicologici o risposta corporea propria).
Quando gli esperimenti sono controllati, ripetuti e ampliati e si sottopongono al controllo e al contrasto tra offrire o meno medicinali ai pazienti, l’omeopatia non ha superato per nessuna malattia i risultati che si verificano non somministrando alcun rimedio o medicinale.
Ciò vuol dire che prendere l’omeopatia è come non prendere niente, o bere semplicemente acqua in una capsula o in un composto che si dissolve nello stomaco.
BIBLIOGRAFIA
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Luis Santamaría. “Info-RIES. Boletín nº 420” [http://info-ries.blogspot.com.es/2016/03/boletin-info-ries-n-420.html]
[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]