di Giuseppe Brienza – Alessandro Serini
“A” come ambiente, per una ecologia integrale. Più prati meno sprechi.
L’ambiente è il giardino di casa dell’umanità, per questo va rispettato. Dobbiamo lasciare alle generazioni future un ambiente migliore di come l’abbiamo trovato. È compito della nostra generazione rispettare la biodiversità, utilizzare le risorse con sobrietà e senza sprechi, valorizzare le biotecnologie che soddisfano l’alimentazione e la salute, senza fare della natura un dio assoluto ma una risorsa al nostro servizio. La cooperazione internazionale favorisce la libera circolazione di beni primari come acqua e cibo tra i popoli. In assenza di studi scientifici, la ricerca e la tecnologia si attengono ad un principio di precauzione. Tutelare la biodiversità significa anche assistere allo spettacolo della ricchezza e della diversità favorendo il mantenimento delle specie (Compendio DSC, n. 466).
“B” come bene comune.
Nella Costituzione degli Stati Uniti d’America ogni cittadino è dotato dal suo Creatore di alcuni diritti inalienabili, tra i quali vi è la ricerca della felicità. Il bene comune è la strada per raggiungere la propria felicità più pienamente e celermente, grazie alla società (cfr. Compendio DSC, n. 164). Non siamo soli. Come nel calcio si vince tutti insieme e si perde tutti insieme, così il bene comune è un traguardo che si raggiunge tutti insieme o non si raggiunge. La centralità della persona e la intoccabilità della vita umana fanno sì che non si possano sacrificare esseri umani pretendendo di conseguire il “bene” (aborto, divorzio, eutanasia, stepchild adoption).
“C” come carità. La carità come criterio supremo del comportamento sociale.
Come la persona umana è il centro della Dottrina sociale della Chiesa, la carità è il motore della società. Senza carità, la società è fredda, le persone isolate, la giustizia una condanna, la libertà egoismo, la verità un giudizio, la famiglia una convenzione, lo Stato un burocrate, l’associazionismo un affare, il mercato opportunismo. Con la carità, la società è accogliente, le persone comunità, la giustizia una grazia, la libertà felicità, la verità libertà, la famiglia un nido, lo Stato servizio, l’associazionismo partecipazione, il mercato relazione. La carità è il primo servizio della politica (cfr. Compendio DSC, nn. 204-208).
“D” come destinazione universale dei beni. Una casa, un lavoro.
La destinazione universale dei beni della terra serve ad assicurare la funzione sociale di qualsiasi forma di possesso privato. Richiede, quindi, che buona parte dei beni pubblici siano redistribuiti permettendo alle persone ed alle famiglie non in condizione di rispondervi da sole, di accedere ai propri bisogni primari (alimentazione, salute, casa, istruzione e lavoro). Di conseguenza, la legislazione dovrà fare in modo che tutti gli altri diritti, dalla proprietà privata al libero commercio, siano subordinati a questo principio, facilitandone la realizzazione (cfr. Compendio DSC, nn. 171-181). L’obiettivo finale? Che tutti i cittadini possano diventare, almeno in qualche misura, proprietari. Concretamente, per le autorità pubbliche consegue fra l’altro il dovere di: 1) permettere a tutti l’accesso ai servizi pubblici essenziali, 2) favorire al maggior numero possibile di cittadini di poter disporre di una abitazione di proprietà, 3) consentire l’accesso di singoli e aziende ai mercati del lavoro e del credito, 4) indurre i proprietari di immobili a non tenere inoperosi i beni posseduti e di destinarli all’utilizzo di chi ha bisogno o all’attività produttiva, 5) estendere il più possibile i frutti del recente progresso e tecnologico, 6) favorire l’equa distribuzione della terra coltivabile.
“E” come educazione. Il figlio è mio e me lo istruisco io.
La famiglia ha un ruolo del tutto originale e insostituibile nell’educazione dei figli (cfr. Compendio DSC, n. 239). La famiglia provvede alla cura e all’educazione dei figli, si configura come strumento primario per la crescita integrale di ogni persona e per il suo positivo inserimento nella vita sociale (Compendio DSC, n. 227). Nell’educazione dei figli, il ruolo materno e quello paterno sono ugualmente necessari (Compendio DSC, n. 242). Data la sua funzione sociale nella crescita dei cittadini, la famiglia ha diritto all’assistenza da parte della società per quanto concerne i suoi compiti circa la procreazione e l’educazione dei figli (Compendio DSC, n. 237). Il diritto di tutti a una cultura umana e civile implica il diritto delle famiglie e delle persone ad una scuola libera e aperta (Compendio DSC, n. 557).
“F” come famiglia. Voglio la mamma, e anche il papà.
La famiglia è una realtà originaria e precedente lo Stato. Quest’ultimo, come riconosce anche la Costituzione italiana, «agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi con particolare riguardo alle famiglie numerose» (art. 31). Oltre che dovere di giustizia, si tratta di un compito necessario per il benessere di ogni Nazione (cfr. Compendio DSC, n. 483). Infatti, come sanno gli specialisti, le dinamiche demografiche condizionano sotto vari aspetti (attitudine all’imprenditorialità ed alla ricerca, tenuta dei sistemi della sanità e delle pensioni etc.) un sistema economico: non c’è bisogno di aspettare decenni per verificare gli effetti dell’assenza di figli sull’economia nazionale. L’invecchiamento demografico rallenta il prodotto interno lordo, gonfia il debito pubblico, fa calare gli investimenti e indebolisce l’efficacia delle politiche monetarie delle banche centrali. Secondo l’ultimo rapporto Istat, in Italia il tasso di fecondità è pari a 1,37 contrariamente a quanto accade nel Nord Europa, dove oscilla tra 2 e 1,8 figli per donna. In Italia aumenta la disoccupazione femminile e diminuiscono le nascite, in particolare nel Mezzogiorno nonostante il desiderio del 60% delle italiane di avere almeno due figli senza rinunciare a lavorare. È quindi assolutamente necessario attuare misure che possano favorire la crescita della natalità nel nostro Paese ed agevolare i compiti di quelle già esistenti, soprattutto se numerose.
“G” come giustizia. A ciascuno il suo.
La giustizia sociale, una volta tramontate le ideologie ed affermatasi la “globalizzazione dell’indifferenza”, è un principio da riproporre oggi nel modo più deciso. Dal punto di vista soggettivo essa si traduce anzitutto nel riconoscimento dell’altro, concepito, malato o handicappato che sia, come persona pienamente umana, dotata degli stessi diritti e doveri di ogni uomo sano ed efficiente. La giustizia, che regola i rapporti sociali in base al criterio dell’osservanza della legge, non è una semplice convenzione umana, perché quello che è “giusto” non è originariamente determinato da assemblee o parlamenti, bensì dalla sua conformità all’identità profonda dell’essere umano (cfr. Compendio DSC, nn. 201-203). La legge morale naturale riguarda non solo la bioetica ma anche i temi economici, come il giusto prezzo o il giusto salario. Non defraudare l’operaio della sua paga è un principio di legge morale naturale, perché la giustizia è dare a ciascuno il suo.
“H” come handicap. Dignità, diritti e doveri.
Le persone handicappate sono soggetti titolari di diritti e doveri e, per la loro condizione di svantaggio, devono essere aiutate dalla comunità a partecipare alla vita familiare, lavorativa e sociale. Nel promuovere con misure efficaci ed appropriate la loro dignità, una particolare attenzione dovrà essere rivolta alle condizioni di lavoro fisiche e psicologiche ed alla tutela della salute della persona handicappata (cfr. Compendio DSC, n. 148). Occorre poi promuovere un’opera di sensibilizzazione sui temi della disabilità nelle scuole e sui mass media, dove l’handicap non ha quasi nessuno spazio, perché la sofferenza del disabile dipende spesso più dall’ambiente che dalla malattia. Inoltre, l’idea che il disabile abbia una vita che “non merita di essere vissuta” si diffonde, e conduce progressivamente all’eugenetica. D’altronde, ormai, di disabili non ne nascono quasi più, per via di una selezione prenatale e, l’eutanasia diretta, quella che consiste cioè nel mettere fine, con un atto o l’omissione di un’azione dovuta, alla vita di persone handicappate, ammalate o prossime alla morte, merita di essere rubricata come reato penale.
“I” come impresa. Piccola è bella.
Una delle espressioni della soggettività creativa del cittadino è l’esercizio del diritto di iniziativa economica (cfr. Compendio DSC, n. 336). La piccola impresa e l’impresa familiare, in particolare, sono frutto di relazioni, di fiducia reciproca e di solidarietà “Piccolo è bello”, insomma, perché vi si fanno tanti mestieri contemporaneamente e si imparano anche tante professioni. Il rapporto ad esempio di un direttore di banca con il cliente è basato sulla stretta di mano. Questo dovrebbe comportare, per lo Stato e le autonomie territoriali, il dovere di favorire le piccole e medie imprese (PMI) e l’impresa familiare attraverso, per esempio, l’unione del capitale del piccolo risparmio con il credito alla piccola impresa agraria, artigianale, industriale, commerciale o, da parte del legislatore nazionale, operare per una detassazione delle spese fisse, per ricerca e investimento delle PMI.
“J” come Jackpot. Etica della responsabilità e gioco d’azzardo.
Giochi d’azzardo, casinò e scommesse, nell’attuale crisi etica, hanno peggiorato il loro carattere di mezzi moralmente inaccettabili di svago, tanto più in quanto promossi da pubblicità ingannevoli e, soprattutto, perché “commissionati” dallo Stato. La “cultura jackpot” si oppone all’etica della responsabilità ed aliena la persona e la famiglia privandole di ciò che è loro necessario per vivere (cfr. Catechismo della Chiesa cattolica, n. 2413). I danni sociali causati affliggono soprattutto gli strati più emarginati e poveri della popolazione, coinvolti nel vizio del gioco e quindi poco propensi a cercare un proprio riscatto sociale attraverso il lavoro. La dipendenza che scaturisce dal gioco d’azzardo (ludopatia) si traduce in una grave forma di schiavitù personale e in un impoverimento complessivo per la società. Il gioco d’azzardo patologico è stato riconosciuto per la prima volta come disturbo mentale nel 1980, con la sua introduzione nel “Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali” (DSM-III) all’interno dei “Disturbi del Controllo degli Impulsi”. In tale contesto non è ammissibile che i siti Internet di gioco d’azzardo fioriscano indisturbati.
“K” come Kyoto. Conciliare sviluppo economico e protezione ambientale.
Il Protocollo di Kyoto (Giappone), trattato internazionale sulla riduzione del riscaldamento globale entrato in vigore nel 2005, è stato prodotto in un clima di incertezza scientifica circa le reali conseguenze sull’ambiente delle emissioni di gas a effetto-serra. Se è vero che l’attività industriale è chiamata a rispettare attentamente l’integrità e i ritmi della natura, è anche necessario che le esigenze della protezione ambientale siano conciliate con quelle dello sviluppo economico, soprattutto dei Paesi più poveri (cfr. Compendio DSC, n. 470). Le implicazioni riguardanti i cambiamenti climatici, data la loro estrema complessità, non possono quindi essere “decise per legge”, ma dovrebbero essere costantemente e periodicamente valutate a livello scientifico, politico e giuridico, a livello sia nazionale sia internazionale. Ogni cittadino, poi, nei suoi comportamenti come consumatore ed operatore economico, dovrebbe sviluppare un maggiore senso di responsabilità e, da parte dello Stato, essere messo nelle migliori condizioni per rispettare l’ambiente. L’inquinamento prodotto dall’uomo, comunque, è probabilmente sopravvalutato nella sua capacità d’influire sul clima, le cui variazioni sono epocali e avvengono per cause per lo più poco conosciute (macchie solari, andamenti ciclici, etc.).
“L” come libertà. Ma quante belle Elle, madama Doré, ma quante belle Elle.
Ogni persona umana, creata ad immagine di Dio, ha il diritto naturale di essere riconosciuta come essere libero e responsabile, e di realizzare la propria vocazione personale (cfr. Compendio DSC, n. 199). Ogni essere umano è libero di cercare la verità, professare le proprie idee religiose, culturali e politiche; esprimere le proprie opinioni; decidere il proprio stato di vita; decidere il proprio lavoro per quanto possibile; costruirsi la propria famiglia; promuovere la libertà d’impresa; promuovere iniziative di carattere sociale, economico e politico (cfr. Compendio DSC, n. 199 e 200); associarsi con altri per finalità di bene comune (cfr. Compendio DSC, n. 91 e 426); esercitare il culto religioso (cfr. Compendio DSC, n. 387 e 426). La libertà non è vivere in un’isola deserta e non esiste veramente se non là dove legami reciproci, regolati dalla verità e dalla giustizia, uniscono le persone (cfr. Compendio DSC, n. 199). La libertà deve esplicarsi, d’altra parte, anche come capacità di rifiuto di ciò che è moralmente negativo, sotto qualunque forma si presenti, come capacità di effettivo distacco da tutto ciò che può ostacolare la crescita personale, familiare e sociale (cfr. Compendio DSC, n. 200 e 399).
“M” come manutenzione e opere pubbliche. Più tangenziali, meno tangenti.
La pubblica amministrazione, a qualsiasi livello – nazionale, regionale, comunale -, quale strumento dello Stato, ha come finalità quella di servire i cittadini. Posto al servizio dei cittadini, lo Stato è il gestore del bene del popolo, che deve amministrare in vista del bene comune. Contrasta con questa prospettiva l’eccesso di burocratizzazione, che si verifica quando le Istituzioni, diventando complesse nell’organizzazione e pretendendo di gestire ogni spazio disponibile, finiscono per essere rovinate dal funzionalismo impersonale, dall’esagerata normazione, dagli ingiusti interessi privati, dal disimpegno facile e generalizzato. Il ruolo di chi lavora nella pubblica amministrazione non va concepito come qualcosa di impersonale e di burocratico, bensì come un aiuto premuroso per i cittadini, esercitato con spirito di servizio (cfr. Compendio DSC, n. 412).
“N” come natalità: serve una misura forte.
Nelle parti più ricche del pianeta si assiste ad una caduta verticale del tasso di natalità, con ripercussioni sull’invecchiamento della popolazione, incapace perfino di rinnovarsi biologicamente. In più di 75 Paesi nel mondo il tasso di fertilità è attualmente al di sotto del livello di sostituzione – 2,1 bambini per donna – necessario a mantenere stabile il livello demografico. Siccome la crescita demografica è associata ad uno sviluppo integrale e solidale, una politica natalistica ragionata ma decisa dovrebbe essere al primo posto di una strategia efficace di sviluppo globale (cfr. Compendio DSC, n. 483). Anche l’Italia sta inesorabilmente invecchiando, avendo toccato negli ultimi anni il livello minimo di nascite dall’Unità nazionale. Per questo parlare di crescita e di uscita dalla crisi senza affrontare il tema della ripresa della natalità è semplicemente miope se non irresponsabile. Le misure finora previste, di ordine economico ed episodico, non sono assolutamente sufficienti. Di fronte ad una emergenza come questa serve una scelta forte, sia di carattere quantitativo (ad es. assicurando uno stipendio alle neo-mamme oppure mettendo a disposizione a chi si deve sposare alloggi a costi calmierati), sia di carattere qualitativo (ad es. dando maggiore sostegno alle aziende familiari che assicurano maggiore stabilità economica alle famiglie o prevedendo una riserva di posti nei concorsi pubblici per i candidati giovani da poco sposati).
“O” come organizzazione sanitaria. L’etica della responsabilità prima di tutto.
L’etica della responsabilità, che consiste nella cura della persona e nella prevenzione delle malattie proprie e dei familiari affidati alla propria cura, implica che il diritto alla salute consista in stretto senso solo nell’offerta di misure pubbliche per garantire l’assistenza sanitaria di base (cfr. Compendio DSC, n. 447). Questo perché, se è vero che la promozione della salute è impegno prioritario di ogni Istituzione, è anche vero che essa è condizionata dalle risorse economiche disponibili le quali, essendo limitate, devono far emergere delle priorità che dipendono prima di tutto dalla solidarietà verso i più deboli e bisognosi (bambini nascenti, donne incinte, anziani, malati gravi, disabili bisognosi di cure). Nascono così modelli diversi di sistemi sanitari che, partendo proprio dall’analisi dei valori morali che ispirano i criteri di gestione delle risorse nella sanità, perseguono in modo diverso la prospettiva universalistica. Ad ogni modo deve essere consentito tanto al personale sanitario, con l’obiezione di coscienza, quanto alla cittadinanza, con l’obiezione fiscale, la facoltà di ad astenersi dal collaborare ad azioni moralmente cattive, sul piano sanitario e del diritto alla vita, essendo salvaguardate da sanzioni penali e da qualsiasi danno sul piano legale, disciplinare, economico e professionale rispetto a tali comportamenti (cfr. Compendio DSC, n. 399).
“P” come centralità della persona umana. Tutto intorno a te.
Come la carità è il motore della società, la persona umana è la destinazione della carità. Tutto è in funzione della persona e della sua realizzazione: i suoi diritti personali e civili, la sua famiglia, l’associazionismo, lo Stato, il mercato, le organizzazioni mondiali e la cooperazione internazionale. Dei quattro principi fondamentali (dignità della persona, bene comune, solidarietà, sussidiarietà), il più importante è la dignità della persona, gli altri tre essendone al servizio (cfr. Compendio DSC, n.204). La persona umana è intoccabile: per questo legislazioni, Stati, organizzazioni internazionali e la stessa Chiesa hanno blindato la sua inviolabilità con le Carte dei diritti umani. Tra i principali diritti troviamo: il diritto alla vita (dal concepimento fino alla morte naturale) di cui è parte integrante il diritto a crescere sotto il cuore della madre dopo essere stati generati; il diritto a vivere in una famiglia unita e in un ambiente morale, favorevole allo sviluppo della propria personalità; il diritto a maturare la propria intelligenza e la propria libertà nella ricerca e nella conoscenza della verità; il diritto a partecipare al lavoro per valorizzare i beni della terra ed a ricavare da esso il sostentamento proprio e dei propri cari; il diritto a fondare liberamente una famiglia e ad accogliere ed educare i figli, esercitando responsabilmente la propria sessualità. Fonte e sintesi di questi diritti è, in un certo senso, la libertà religiosa, intesa come diritto a vivere nella verità della propria fede ed in conformità alla dignità trascendente della propria persona (cfr. Compendio DSC, n.155).
“Q” come quoziente familiare. Tagliare a fette il reddito imponibile.
Quoziente familiare significa stabilire un criterio di progressività del sistema tributario in ragione della capacità contributiva della famiglia nel suo insieme (cfr. Compendio DSC, n. 355). Dato uno stesso livello di reddito di due diversi soggetti, se su uno di essi gravano oneri che ne riducono la capacità contributiva, l’imposta non dovrà colpire il reddito in quanto tale, ma quello diminuito dei costi necessari per far fronte a questi oneri. Con questo strumento la somma dei redditi dei componenti della famiglia viene divisa per la somma dei componenti (viene “tagliato a fette”), cui viene attribuito un peso non necessariamente uguale. Per esempio più crescono i figli più il “peso” aumenta. In questo modo si ottiene il risultato di far pagare meno tasse alle famiglie unite e che hanno due o più figli.
“R” come equa retribuzione del lavoro. Il lavoro nobilita l’uomo, quando non lo rende schiavo.
Il lavoro è per l’uomo, non l’uomo per il lavoro (cfr. Compendio DSC, n. 272). Lo sfruttamento lede la dignità umana, per questo è vietata ogni forma di sfruttamento del lavoratore, in particolare dei minori, degli immigrati, dei disabili e delle donne (cfr. Compendio DSC, nn. 295-298; 316). Il lavoratore ha diritto ad un giusto e lecito stipendio e ad alcuni diritti connessi alla persona, come il riposo di Domenica, la sicurezza nel lavoro, la tutela in caso di malattia o incidente, la maternità, la conciliazione tra lavoro e famiglia, la sovvenzione nella disoccupazione, la pensione (cfr. Compendio DSC, nn. 284, 286, 301). La dignità umana scoraggia l’eccessiva flessibilità nei rapporti di lavoro (cfr. Compendio DSC, n. 280). Il capitale e il lavoro sono necessari l’uno all’altro, per questo la lotta di classe è inaccettabile (cfr. Compendio DSC, n.306). Fermo restando il diritto di sciopero (cfr. Compendio DSC, n. 304), capitale e lavoro collaborano per trovare soluzioni ai problemi derivanti dalla gestione delle attività produttive (cfr. Compendio DSC, nn. 276-281).
“S” come sussidiarietà. Protagonisti del proprio futuro. The Big Society.
Il principio di sussidiarietà, “in positivo”, spinge la politica a prendersi cura della famiglia, dei gruppi, delle associazioni, delle realtà territoriali locali e, in breve, di quelle espressioni aggregative di tipo economico, sociale, culturale, sportivo, ricreativo, professionale, politico, alle quali le persone danno spontaneamente vita e che rendono loro possibile una effettiva crescita sociale (cfr. Compendio DSC, nn. 185-188). “In negativo”, invece, chiede allo Stato di non togliere agli individui ed ai corpi intermedi sopra citati i compiti che possono realizzare con le loro sole forze. Allo stesso tempo, impedisce di far fare ad una associazione “maggiore” (ad esempio un Comune) quelle e le attività che potrebbe fare autonomamente una “minore” (es. una o più famiglie unite). Per “Big Society” intendiamo appunto la “sussidiarietà locale” sopra accennata, che è all’opposto del welfare state centralista e burocratico sperimentato nel Novecento e che, del resto, nel nostro Paese ha subito anche notevoli storture. Per esempio, l’aiuto informale dato alle coppie dalle famiglie d’origine, dalle comunità parrocchiali e non, dal quartiere etc., hanno svolto e svolgono ancora un ruolo molto importante nel sostenere le persone nei momenti della vita caratterizzati da maggiore vulnerabilità (giovani senza lavoro, madri lavoratrici con figli piccoli, anziani non autosufficienti, disabili). Per un malinteso senso della sussidiarietà, però, le famiglie si sono trovate ad essere strumentalizzate dallo Stato che le ha “usate” come una specie di “ammortizzatore sociale”. Non è questa la sussidiarietà!
“T” come tasse. Leggere attentamente le avvertenze. Può avere effetti collaterali.
Il rispetto dell’autorità corrisponde all’ordine stabilito da Dio. Per questo si dà a Cesare quel che è di Cesare (cfr. Compendio DSC, n. 380). La tassazione è una forma di solidarietà. L’obiettivo verso cui tende il fisco e la spesa pubblica è una finanza pubblica capace di proporsi come strumento di sviluppo e di solidarietà. Una finanza pubblica equa, efficiente, efficace, produce effetti virtuosi sull’economia, perché riesce a favorire la crescita dell’occupazione, a sostenere le attività imprenditoriali e le iniziative senza scopo di lucro, e contribuisce ad accrescere la credibilità dello Stato quale garante dei sistemi di previdenza e di protezione sociale, destinati in particolare a proteggere i più deboli (cfr. Compendio DSC, n. 355). La finanza pubblica si orienta al bene comune quando si attiene ad alcuni fondamentali principi: le tasse vanno pagate, ma devono essere eque e razionali (ad esempio, diminuire al diminuire del reddito; essere eque e non esagerate); la spesa pubblica va amministrata con rigore e integrità (gli stipendi devono essere giusti, le risorse pubbliche non vanno derubate). Inoltre, tale spesa va distribuita in un’ottica di solidarietà, valorizzando i talenti presenti sul territorio, aiutando chi ne ha bisogno e prestando grande attenzione a sostenere le famiglie, destinando a tal fine un’adeguata quantità di risorse (cfr. Compendio DSC, n. 355).
“U” come urbanistica a dimensione umana.
La casa, il quartiere e il villaggio, nella storia delle civiltà, sono sempre state il luogo ideale dell’educazione e dell’integrazione sociale, unità di produzione e centro di vita spirituale insieme, oltre che snodo di solidarietà tra le generazioni (cfr. Compendio DSC, n. 248). Nell’ultimo secolo la vita divenuta anonima delle grandi città, il sovraffollamento urbano e la conseguente mancanza di abitazioni, gli sfratti, le situazioni precarie e disagiate, la crisi morale ed il crimine diffuso hanno causato un degrado, morale e sociale, senza precedenti. Ciò ha condizionato fortemente la vita umana piegandola alle esigenze del controllo e del consumo e determinando conseguentemente un totale accantonamento delle esigenze vitali delle comunità e delle famiglie. Il mondo occidentale, in particolare, soffre di una “perdita metafisica” dell’intimità della casa, che genera senso di solitudine, estraneità, alienazione. Ma non solo la società urbana necessiterebbe di un riequilibrio demografico e di decisi interventi architettonici ed infrastrutturali. La “qualità della vita” nelle zone periferiche e rurali, infatti, urge di una politica di riqualificazione umana dalla quale potrebbero scaturire risultati positivi per l’intera comunità.
“V” come verità. La verità vi farà liberi.
Oltre ai princìpi che presiedono alla costruzione di una società degna dell’uomo (dignità umana, bene comune, solidarietà, sussidiarietà), la Dottrina sociale della Chiesa indica anche dei valori fondamentali, i principali dei quali sono carità, giustizia, libertà, verità. La carità è il più importante di tutti e dà senso agli alti tre. Rispettare questi valori conduce alla propria perfezione e ad una convivenza sociale più umana (cfr. Compendio DSC, n. 197). La verità è la corrispondenza tra l’intelligenza e la realtà. In altre parole, chiamare le cose per nome. Gli uomini sono tenuti a cercare di continuo la verità, a rispettarla e a testimoniarla responsabilmente, nell’informazione, nell’economia, nella politica, nei rapporti sociali. Tanto più le persone e i gruppi si sforzano di risolvere i problemi sociali secondo verità, tanto più si avvicinano alla buona società (cfr. Compendio DSC, n. 198). Per questo è importante in famiglia educare i figli alla verità (cfr. Compendio DSC, n. 212). La verità (assieme alla carità e alla giustizia) dirige la libertà e le permette di essere responsabile e non arbitraria (cfr. Compendio DSC, n. 199 e 203).
“W” come welfare partecipativo. Il caldo abbraccio del volontariato sociale.
Il principio della solidarietà spinge i cittadini ad essere tutti per uno e uno per tutti. Il principio della sussidiarietà rende i cittadini protagonisti del proprio futuro: lo Stato non deve fare ciò che un cittadino può fare da solo. La combinazione di solidarietà e sussidiarietà genera welfare partecipativo. Il benessere dei cittadini è un compito di tutti, non solo dello Stato. Per questo va costruito unendo le forze delle persone, delle famiglie, dell’associazionismo, del mercato e dello Stato. Lo Stato si pone come regolatore in tema di livelli essenziali di assistenza e di rispetto delle leggi; gli attori sociali contribuiscono ciascuno nel proprio ambito a soddisfare i bisogni di cura, sanità ed assistenza con spirito di servizio e rispetto delle leggi e dei regolamenti statali. In casi di particolare gravità o di latenza dei soggetti sociali, lo Stato interviene direttamente in via sussidiaria (cfr. Compendio DSC, nn. 419-420).
“X” come xenofilia equa ed equilibrata. Società multiculturale o società multietnica? Tutti i colori del mondo, ma sotto la stessa bandiera.
Gli immigrati sono innanzitutto persone, e la prima accoglienza è un dovere: dare da mangiare agli affamati. Inoltre, nella maggioranza dei casi, essi rispondono a una domanda di lavoro che altrimenti resterebbe insoddisfatta (cfr. Compendio DSC, n.297). Tuttavia, i flussi migratori vanno regolamentati secondo criteri di equità e di equilibrio, criteri che servono ad evitare tensioni sociali e sono indispensabili per ottenere inserimenti con le garanzie richieste dalla dignità della persona umana. Gli immigrati vanno aiutati ad integrarsi nella vita sociale, assieme alle loro famiglie; in tale prospettiva, va rispettato e promosso il diritto al ricongiungimento familiare. Nello stesso tempo, per quanto è possibile, vanno favorite tutte quelle condizioni che consentono accresciute possibilità di lavoro nelle proprie zone di origine (cfr. Compendio DSC, n.298). Nel rispetto dei diritti delle minoranze, le culture dei popoli immigrati si confrontano con la legge civile e con la legge morale naturale in tema di rispetto della dignità umana, tutela della famiglia, libertà dei diritti civili e politici, libertà di culto. La reciprocità nelle relazioni internazionali esige la tutela dei cristiani nei paesi dove sono perseguitati.
“Y” come Y chromosome. Educare sì alla sessualità, ma rispettando l’identità e l’armonia maschio/femmina.
Il cromosoma Y, uno dei due cromosomi umani determinanti il sesso (l’altro cromosoma sessuale è il cromosoma X), viene tramandato di padre in figlio. Siccome i genitori hanno una responsabilità primaria nella sfera dell’educazione sessuale, è loro diritto-dovere assicurare che i loro figli apprendano in modo ordinato e progressivo il significato della sessualità e imparino ad apprezzare i valori umani e morali ad essa collegati (cfr. Compendio DSC, n. 243). I genitori devono essere messi in condizione di verificare e scegliere le modalità con cui viene attuata l’educazione sessuale nelle istituzioni educative, al fine di controllare che un tema così importante e delicato sia affrontato in modo graduale e senza ridurre il tutto alla genitalità o all’anatomia. L’educazione affettiva e sessuale, inoltre, deve abbracciare la totalità dell’essere umano, non solo gli aspetti fisici, ed essere calibrata allo specifico dell’identità maschile e femminile, realtà complementari ma differenti. Si tratta, insomma, di preparare i futuri sposi, uomini e donne del domani, all’amore di comunione e fecondo.
“Z” come tolleranza zero verso chiunque attenti alla sicurezza.
Lo Stato e le Istituzioni locali dovrebbero perseguire in tutte le sedi possibili e reprimere con tutti i mezzi a disposizione l’obiettivo della tolleranza zero verso chiunque attenti alla sicurezza fisica delle persone, dei rapporti sociali, del credito etc. Particolare severità verso chi corrompe o tenta di corrompere, all’interno del mondo della scuola, dei media e dello sport, i giovani (cfr. Compendio DSC, n. 157). Non si tratta solo di disincentivare o punire il crimine, ma anche di collaborare positivamente all’opera di educazione e formazione delle giovani generazioni da parte delle famiglie e delle varie agenzie educative presenti sul territorio. L’obiettivo dovrebbe tradursi concretamente nell’elaborazione di programmi di prevenzione ben studiati che diano vita ad un sistema legale severo e ben conosciuto che stronchi i fautori e responsabili di: 1) pedofilia, 2) violenza sessuale, 3) diffusione delle droghe; 4) promotori del loro uso e della “cultura dello sballo”, 5) doping sportivo, 6) teppismo negli stadi, 6) degrado di città e beni culturali.