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La vergogna: un’emozione e una virtù da riscoprire

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Silvia Lucchetti - Aleteia - pubblicato il 10/03/16
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Alessandro Meluzzi indaga le radici di questo sentimento illustrandone il significato psicologico e il valore di relazione con DioNel libro La vergogna un’emozione antica (Edizioni Paoline) Alessandro Meluzzi, tratta di un’emozione sempre meno percepita, conosciuta e valorizzata nel mondo attuale. Prendendo le mosse dalla riflessione che le giovani generazioni vivono in una società che in qualche modo li ha “educati” a non provare vergogna, lo scrittore evidenzia come essa sia invece un sentimento radicato, con cui ogni individuo è chiamato a confrontarsi, fin dalla più tenera età.

«La vergogna è un sentimento che si prova già all’età di due-tre anni. Quindi, fin da piccolissimi dobbiamo confrontarci con essa. È un emozione con cui dobbiamo fare i conti tutti i giorni. La vergogna è utile, non solo perché ci consente di capire che abbiamo sbagliato, ma anche perché ci permette di riflettere su una situazione che non vogliamo più rivivere. Ciò ci consente di evolvere».

Il termine vergogna, come ci viene spiegato nel primo capitolo del libro, deriva dal latino věrěor e significa temere. Ma temere che cosa?

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Pixabay.com/Public Domain/ © SEVENHEADS

«La vergogna è un’esperienza dolorosa, perché è l’annientamento del Sé e della propria immagine. Ne soffre la propria reputazione, viene meno la fiducia in se stessi, l’onore si frantuma e la dignità ne risente. La vergogna è un’emozione intrinsecamente sociale. Infatti si prova vergogna di fronte ad altri che pubblicamente ci condannano».

Perché il timore di ricevere giudizi negativi sulla propria persona, e provare quindi vergogna, è così dirompente?

«L’immagine che abbiamo di noi stessi è l’insieme delle conoscenze e delle valutazioni che pensiamo gli altri abbiano su di noi. L’immagine di sé è molto importante perché è alla base della nostra identità. Essa contribuisce a stabilire la nostra posizione sociale all’interno dei rapporti interpersonali che intratteniamo. Quando questa immagine si rompe a causa di un comportamento giudicato negativo, allora si prova vergogna».

L’uomo ha per la prima volta sperimentato questo sentimento nel giardino dell’Eden, quando a causa del peccato originale la vergogna «fa il suo ingresso nella Creazione e decreta per l’uomo l’esperienza pudica della propria nudità».

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Pixabay.com/Public Domain/ © falco


«Il peccato originario – scrive Meluzzi – deve essere compreso come danno alla persona in senso quanto mai universale, come falsificazione e violazione della relazione con Dio (…) Ciò che rende evidente il cambiamento nella relazione uomo-Dio- mondo è la vergogna sperimentata drammaticamente dai progenitori immediatamente dopo il peccato, causa primaria e immediatamente percepita (…) A prescindere dall’ingresso nella storia della concupiscenza la vergogna svela all’uomo la propria condizione, in questo caso la condizione di un soggetto immagine-infranta, rispetto alla quale la differenziazione sessuata risulta non più quale dono d’amore divino ma quale “proposta di peccato”, “occasione di godimento egoistico”».

L’autore, riprendendo la citazione del filosofo Sartre «L’inferno sono gli altri», ritorna sul tema della “paura”, del “timore” racchiuso nella stessa etimologia della parola vergogna:

«La vergogna porta inevitabilmente con sé la paura, una paura interpersonale «Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e conobbero di essere nudi, intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture» (Gen 3,7), ma anche e soprattutto nella relazione con il Creatore: «Ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto» (Gen 3,10)».

La vergogna diviene «(…) il sentimento chiave in questo nuovo contesto umano. Essa rispecchia lo stato d’animo frutto della conoscenza di ciò che non viene da Dio, esprime tutto l’imbarazzo della creatura spazio-temporale che d’improvviso si scopre tale in tutta la portata del suo stesso limite creaturale, la cui espressione più alta e più incomprensibile è rappresentata dalla morte».

Il Santo Padre andando controcorrente rispetto la moderna “cultura” del web che ha cancellato la vergogna, o l’ha relegata a un sentimento da perdenti – o come afferma lo scrittore da “sfigati”- ha affrontato il tema nella prospettiva di un sano e “santo” sentimento da riscoprire.

Il Pontefice, durante una delle sue omelie mattutine nella cappella di Casa Santa Marta il 29 aprile 2013, ha spiegato, partendo dall’analisi di alcuni passi della Sacra Scrittura, quanto la vergogna rappresenti un bene e una virtù per l’uomo nell’ottica cristiana, come acquisti senso collegata al sacramento della Riconciliazione e favorisca un dialogo sincero e filiale con Dio.
Meluzzi nel capitolo “Cristianesimo e vergogna”, riporta alcuni passi del discorso del Pontefice che evidenziano lo straordinario potenziale della vergogna la quale, una volta sperimentata, ammessa e confessata, dona benessere e rigenerazione. Così afferma il Santo Padre:

«(…) Quando si è in coda per confessarsi, magari uno sente anche un po’ di vergogna. Ma poi esce dal confessionale più libero, grande, bello, perdonato, bianco, felice: questo è il bello della confessione».

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Pixabay.com/Public Domain/ © warpmike

Papa Francesco, parlando dello spirito con cui accostarsi al sacramento della riconciliazione, ha sottolineato che il confessionale “«non è né una «tintoria» che smacchia i peccati, né una «seduta di tortura» dove si infliggono bastonate. La confessione infatti è l’incontro con Gesù e si tocca con mano la sua tenerezza. Ma bisogna accostarsi al sacramento senza trucchi o mezze verità, con mitezza e con allegria, fiduciosi e armati di quella «benedetta vergogna», la «virtù dell’umile» che ci fa riconoscere peccatori»”.

“Benedetta vergogna” l’ha chiamata il Santo Padre eliminando la connotazione negativa comunemente data al termine ed elevandola contestualmente a “virtù dell’umile”.

«La confessione è «un incontro con Gesù che ci aspetta come siamo. “Ma, Signore, senti, sono così”. Ci fa vergogna dire la verità: ho fatto questo, ho pensato questo. Ma la vergogna è una vera virtù cristiana e anche umana. La capacità di vergognarsi: non so se in italiano si dice così, ma nella nostra terra a quelli che non possono vergognarsi gli dicono sinvergüenza. Questo è “uno senza vergogna”, perché non ha la capacità di vergognarsi. E vergognarsi è una virtù dell’umile».

Per esercitare questa virtù bisogna partire dalla Scrittura. La Prima Lettera di San Giovanni da cui trae spunto il Papa sottolinea la differenza tra Dio e l’uomo, la sua luce e le nostre tenebre.

“«Andare nelle tenebre significa essere soddisfatto di se stesso; essere convinto di non aver necessità di salvezza. Quelle sono le tenebre! (…) Nel momento in cui confessiamo i nostri peccati, invece il sacramento «ci presenta quel Signore tanto buono, tanto fedele, tanto giusto che ci perdona» (…) E sul perdono il Papa ha spiegato che «quando il Signore ci perdona fa giustizia, innanzitutto a se stesso, perché lui è venuto per salvare e perdonarci» Nella stessa dinamica di amore tra un padre e il proprio figlio, «il Signore è tenero verso quelli che lo temono, verso quelli che vanno da lui», «ci capisce sempre» e ci dona «quella pace che soltanto lui dà»”.

La vergogna non deve essere negata, cancellata o demonizzata, perché come afferma Meluzzi «Se (…) è un’emozione così primordiale, che viene suscitata in noi fin dai due anni di età, ci sarà pure una ragione».

Oggi «sembra prevalere il nostro egoismo (…). E se Dio non avvera i nostri desideri (…) allora non esiste. Non abbiamo più un senso di vergogna nei suoi confronti. Quel senso di pudore che persino il primo uomo e la prima donna hanno provato quando hanno fatto notare al loro Creatore che erano nudi, perché sapevano che a lui dovevano la vita».

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