di Davide Perillo
Era facile per gli apostoli, avevano Gesù in carne ed ossa. Ma noi oggi? Come facciamo? Se il Vangelo fosse soltanto il racconto di una storia chiusa duemila anni fa sarebbe solo un “Antico Testamento aggiornato”: una specie di nuova edizione, riveduta e corretta, con insegnamenti più profondi e istruzioni per l’uso più dettagliate. Niente di più. Il vecchio metodo, appunto. inutile. Tutto quello che insegna il cristianesimo resterebbe vero, importantissimo, storicamente rivoluzionario. Ma inutile. Cioè senza peso sulla nostra vita quotidiana. Senza effetti.
Gesù, invece, ha fatto un’altra cosa. Ci ha dato un modo per seguirlo identico a quello che avevano i discepoli, o quelli che lo hanno visto sulle strade della Palestina duemila anni fa. Lo stesso, identico modo, altrettanto semplice: l’incontro con una realtà umana. Fatta di uomini. Gente che mangia, beve, ride, prega. Gente che si può vedere e toccare. Con cui si può stare insieme. E’ la Chiesa.
Ma quando nasce la Chiesa? Negli Atti degli apostoli si legge: «Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere. Un senso di timore era in tutti e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo. Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati» (At 2, 42-48). Un gruppo di amici che stava insieme per un motivo: Gesù. La Chiesa, in fondo, è sopratutto questo. Un’amicizia, una compagnia di uomini e donna che stanno insieme e vivono in un certo modo. Gesù diventò qualcosa di concreto, di visibile, di toccabile, attraverso di loro, quelle persone. La Chiesa è proprio questo: è il modo che Gesù ha stabilito per rendersi incontrabile anche oggi.
E’ Lui stesso che l’ha voluta così, anzitutto chiamando gli apostoli e tenendoli con sé tre anni, tutti i giorni, per far loro acquisire quella certezza che a un certo punto fa dire: “Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna” (Gv 6,60). Poi, tra loro ha scelto un capo, un punto di riferimento stabile: Pietro. Glielo aveva preannunciato subito, la prima volta che lo aveva visto, quando gli aveva addirittura cambiato nome: «Fissando lo sguardo su di lui, disse: “Tu sei Simone, figlio di Giovanni: ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro)”» (Gv 1,42). Pietro, cioè “roccia”. Proprio come doveva essere il carattere di quell’uomo, che in un attimo si è visto descritto fino al fondo di sé, ma ancora non immaginava quale sarebbe stato il suo destino. Poi la scelta divenne esplicita: «Essendo giunto Gesù nella regione di Cesarèa di Filippo, chiese ai suoi discepoli: “La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?”. Risposero: “Alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti”. Disse loro: “Voi chi dite che io sia?”. Rispose Simon Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. E Gesù: “Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli» (Mt 16, 13-19).
Il primato di Pietro, cioè l’idea del papato, emerge lì. Ma c’è un altro momento in cui la Chiesa viene già annunciata nella forma che prenderà dopo.
«Andate: ecco io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi […]. Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato» (Lc 10,1-20). E ancora: Gesù ha istituito l’Eucarestia e i sacramenti, che sono proprio i segni della sua presenza. Ha inviato lo Spirito Santo, che «dà forza alla Chiesa, le dà vita, ne rende certo il cammino», come dice il Catechismo. Per questo la Pentecoste, quando lo Spirito scende sugli apostoli, è l’inizio della Chiesa. Sopratutto, ha assicurato la sua presenza tra di loro: «Dove due o tre si sono riuniti nel mio nome, io sarò in mezzo a loro» (Mt 18,20). Due o tre, proprio perché la Chiesa si fonda sull’unità tra i fedeli. E poi: «Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che io vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28, 19-20). Non dice: “sarà come se ci fossi anch’io”, ma “sono con voi”, sono lì, presente. E’ una presenza vera.
Ecco, nella Chiesa Gesù c’è veramente. E attraverso la Chiesa si rende incontrabile dall’uomo di tutte le epoche e di tutti i luoghi. La Chiesa, quel gruppo di persone convocate, messe insieme da Gesù attraverso il Battesimo, è il modo in cui Cristo mi fa compagnia oggi, entra nella mia vita ora. E lo fa in carne ed ossa, cioè secondo una realtà umana, qualcosa che posso capire e abbracciare. Proprio come era Gesù: un uomo, qualcuno con cui mangiavano, bevevano, andavano in giro. Non qualcosa da immaginare, ma uno da seguire.
Se è vero che a un certo punto della storia Dio decide di farsi uomo ed entrare nella storia, e se è vero che il metodo che sceglie per rimanere nella storia e nella vita dell’uomo è la Chiesa, allora da quel momento in poi la strada è segnata.
«Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato» (Mt 10,40). Per questo san Cipriano, un grande vescovo e martire del III secolo, diceva: «Non può avere Dio per padre chi non ha la Chiesa come madre». E’ proprio questo che, di solito, ci dà fastidio della Chiesa: la sua pretesa di essere madre. Cioè maestra di vita. Di voler insegnare (che letteralmente vuol dire “mostrare”) all’uomo la verità. A noi sembra un atto di superbia inconcepibile. E lo sarebbe davvero, sarebbe una pretesa folle se la Chiesa fosse solo una realtà umana, un gruppo di persone che seguono l’insegnamento di Gesù. Lui, Gesù, era un grande uomo, dicono in molti. Ma i preti? E gli altri cattolici? Sono uomini come me, sbagliano come me. A volte, di più. Che titolo hanno per insegnarmi qualcosa? Non possono essermi maestri.
Solo che facendo così non si prende la Chiesa per quello che dice di essere: la prosecuzione di Gesù nella storia. Bisogna distinguere tra Chi la fa essere (Dio) e chi la compone (l’umano), la Chiesa è santa e peccatrice insieme. Ma la santità arriva tutta da Dio. E il fatto che passi attraverso l’umano, attraverso persone che sbagliano e peccano, paradossalmente è una conferma ulteriore di questa grandezza. La Chiesa pretende di essere madre perché mostra la stessa cosa che mostrava Gesù, e mostrandola la rende possibile: un metodo, una strada, per essere se stessi. Per non dimenticare nulla di sé. Il famoso centuplo. E la strada, la via, è Cristo stesso. La Chiesa tramanda questa possibilità nella storia. Così che da Pietro e gli apostoli la fede è passata a quelli che li incontravano, e poi ad altri e ad altri ancora nella storia. Fino ad arrivare a me e a te, oggi. Questo fenomeno si chiama “tradizione”. Accade attraverso uomini, ma è salvaguardia di un fattore divino: lo Spirito Santo. E a custodirla ci sono i pastori: i vescovi e, sopratutto, il Papa, che lo Spirito Santo assiste in maniera particolare.
[Tratto da La fede spiegata a mio figlio (Piemme 2007, p. 91-100)]
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