Rigoni (scalabriniano): “La migrazione è una condizione umana permanente. Niente può fermare chi è in cerca di sopravvivenza”
Narcotraffico, tratta degli esseri umani, violenza, migrazioni: a Ciudad Juarez, l’ultima tappa del viaggio in Messico di papa Francesco, al confine con gli Stati Uniti, sembrano concentrarsi tutte le piaghe che affliggono il popolo messicano. La città sul Rio Grande si trova di fronte a quella texana di El Paso; una grande rete metallica – a 80 metri dalla quale celebrerà la Messa Bergoglio – prova a tenere fuori dagli Stati Uniti i disperati di Messico, El Salvador, Honduras, Guatemala che inseguono il sogno di una vita migliore, o anche solo possibile, rispetto ai paesi di origine. La città è un simbolo dell’emigrazione come Lampedusa. Padre Flor Maria Rigoni, 71 anni, scalabriniano di origine bergamasca, sa tutto di migranti e migrazioni. All’inizio della sua missione religiosa si è imbarcato come aiutante elettricista sulle navi da carico ed è stato in Giappone, Germania, Africa. Quando è arrivato in Messico, oltre 30 anni fa, ha fondato a Tijuana, nel nord, la prima Casa del migrante, un luogo dove quelli che affrontano la fatica e i pericoli del viaggio verso il Messico e gli Stati Uniti – anche 2500 chilometri a piedi dal Centro America – possono sostare qualche giorno a riposare e rifocillarsi. Tre Case del Migrante dopo, padre Flor è a Tapachula, in Chiapas, la regione del sud in cui papa Francesco ha incontrato le comunità indigene a san Cristobal de las Casas. Nella casa di Tapachula sono accolti oltre ai migranti di passaggio, anche richiedenti asilo e ragazze vittima della tratta. Lo scorso anno padre Flor ha inaugurato una scuola di arti e mestieri, un progetto pilota per offrire formazione ai rifugiati. “La migrazione – afferma il religioso bergamasco che nel 2006 ha ricevuto dal presidente del Messico il Premio nazionale per i diritti umani – è una condizione umana permanente e bisogna tenerne conto a livello politico e sociale”.
Quanti migranti ha incontrato in questi anni?
Rigoni: Oltre 700 mila. Nel tempo sono cambiate le rotte e anche le motivazioni. All’inizio le persone fuggivano dalle guerre civili nei paesi del Centro America, poi sono arrivati i cosiddetti migranti per motivi economici. Oggi siamo di fronte a una migrazione per la sopravvivenza e, come ho detto anche all’Onu dove sono stato invitato a parlare, quando la gente è spinta a partire da fame e violenza è come una bomba innescata che prima o poi esploderà. Una delle donne passata dalla nostra casa, una mamma arrivata con cinque bambini ci ha detto: “Noi camminiamo con la nostra bara sulle spalle, perchè ogni momento e ogni luogo può essere il nostro cimitero”.
Sono molte le donne che migrano?
Rigoni: Ci sono mesi in cui a Tapachula i migranti sono anche per il 20-25% donne. La migrazione per le donne salvadoregne in particolare ha corrisposto ad una presa di coscienza e a una rottura con la tradizione machista della società d’origine: basta rimanere attaccate ad un uomo violento e coinvolto nelle bande criminali. A partire dalla nostra povertà, ma anche dalla nostra dignità, vogliamo cercare una nuova vita per noi e i nostri figli. Il tragico fenomeno del femminicidio a Ciudad Juarez è legato anche a questa maggiore autonomia delle donne che avevano trovato impiego in una grande catena di negozi e che ha provocato reazioni violente in ambienti ancora dominati dal machismo.
La meta delle migrazioni restano gli Stati Uniti?
Rigoni: Sono molti più quelli che tornano di quelli che cercano di attraversare il confine. Molti migranti ci hanno detto: ‘Gli Stati Uniti non sono più il nostro sogno’. Sono continuamente presi di mira e se trovati privi di documenti vengono rispediti direttamente a casa senza nemmeno poter salutare le famiglie. Obama piange davanti al Congresso sui bambini uccisi dalle armi negli Stati Uniti, ma perchè non piange sui bambini dei latinos quando vengono separati dai genitori rimpatriati in Messico con la forza? In 6 anni sono stati deportati 2 milioni e mezzo di messicani. Oggi i migranti dal Centro America preferiscono fermarsi nelle zone a ridosso della frontiera, come Ciudad Juarez, dove il salario è sei volte maggiore che in Honduras, parlano la stessa lingua e dopo 5 anni hanno la possibilità di ottenere la regolarizzazione.
Il tema dell’emigrazione coinvolge oggi fortemente anche l’Europa: cosa ne pensa?
Rigoni: Quando sono stato in Italia lo scorso settembre mi sono sentito come denudato. Ci sono frasi di Salvini che un bergamasco come me non vorrebbe sentire. Abbiamo dimenticato che nel 1913 l’Italia aveva mandato fuori metà della sua popolazione? E il mondo ci ha aperto le porte. L’Europa deve stare attenta a non cancellare la memoria storica: le frontiere che erano state abbattute adesso tornano ad essere muri per chi cerca una speranza di sopravvivenza. Ma l’accoglienza non significa essere buoni samaritani, bensì equità e giustizia. In questo senso le migrazioni sono la spia di controllo del grado di civiltà delle società.