L’iconografa Vivian Imbruglia, alla quale è stata commissionata la creazione di un’icona per l’Anno della Misericordia, parla della sua vocazioneMiss Julia Greeley, una ex schiava diventata un modello di misericordia (cfr. Aleteia, 25 gennaio 2016), appare come quando era viva: un floscio cappello nero sulla testa, un piccolo sorriso sulle labbra, un bambino tra le braccia, le Colorado Rockies che si elevano dietro di lei. Ma non è un ritratto ordinario; è un’icona, commissionata dall’arcidiocesi di Denver (Stati Uniti) come simbolo locale dell’Anno della Misericordia indetto dal papa, e il suo obiettivo è mostrare Miss Julia alla luce di Dio.
Sulla sua testa, l’amore di Cristo brilla nelle ombre di un giallo acceso e di bianco provenienti dal Sacro Cuore di Gesù, che era la sua devozione costante. Lo stesso amore brilla dal suo cuore, come simboleggiato dal giallo e dal bianco dei suoi abiti. Tra le braccia tiene una bambina, che assomiglia a Maria, e un rosario. Sulla vita, uno stemma mostra altri simboli della sua devozione e del suo servizio: l’Eucaristia quotidiana, che definiva la sua “colazione”; un elmetto e gli strumenti da pompiere che simboleggiano la sua missione personale con i pompieri di Denver; il carretto rosso che usava per portare cibo a chi era più povero di lei, che già era povera.
L’icona di Miss Julia è stata realizzata dall’iconografa Vivian Imbruglia. Di recente ho avuto il piacere di incontrarla nel suo studio e di sentirla parlare del suo lavoro e di come è diventata un’iconografa. È una donna gioiosa, che trabocca di risate e parole e della passione che ha per la sua arte, e la sua è una storia di preghiera, vocazione, umiltà, e di benedizioni che derivano dal fatto di andare dove Cristo la conduce.
La Imbruglia ha realizzato quasi 90 icone da quando ha iniziato, nel 2005. Due di queste, San Francesco e San Pietro Favre, sono in Vaticano, altre sono appese in case, chiese, scuole e spazi sacri di tutti gli Stati Uniti. Un’icona che rappresenta una figura singola può richiedere tre o quattro settimane di lavoro, mentre quelle con molte figure possono richiedere anche due mesi. Ciascuna inizia con una ricerca.
Quando le è stata commissionata l’icona di San Pietro Favre, ha detto, “non sapevo niente di lui, niente. E allora ho iniziato a fare ricerche – non solo storia – preghiera, tutto quello a cui potevo arrivare”. Il processo si amplia con la preghiera. “Dopo che ho realizzato uno schizzo, mi piace portarlo con me all’Adorazione. Nel caso di Misericordioso come il Padre, e poi della grande icona che ho realizzato per l’Anno della Vita Consacrata – quelle erano icone importanti –, ho portato gli schizzi e li ho poggiati dì, davanti al Santissimo Sacramento, e ho pregato che guidasse le mie mani durante questo progetto”.
La Imbruglia usa materiali tradizionali. Ogni icona è dipinta su un pezzo di legno, in genere betulla o pioppo, specialmente preparato. “Non preparo il legno che uso; è un arte in sé”. Prima si stende sulla superficie un telo di lino, a rappresentare il sudario di Gesù sul legno della croce, o i paramenti dell’altare. Il lino è coperto da 10 strati di gesso marmorizzato, che dà una finitura quasi vitrea. Poi disegna l’immagine sul legno, e si prepara a dipingere.
“Prima di iniziare a mettere il pennello sulla tavola, c’è la preghiera dell’iconografo. È una preghiera splendida, a un certo punto dice: ‘Guida le mani del tuo servo indegno, di modo che possa dipingere degnamente e perfettamente la tua icona’”.
Si inizia con il volto. “Non si mette subito il colore della pelle: ‘Prendo il color pesca e inizio a dipingere la faccia’. Si inizia con il verde, perché il verde simboleggia la vita. E così mettiamo la vita nell’icona”.
Mi mostra quindi l’opera che sta realizzando, una figura centrale circondata da folle di santi. “Uno o due giorni fa, tutti questi volti erano verdi. Sarebbe entrato e avrebbe visto tutte queste facce verdi, ma è bellissimo perché mettiamo vita dentro di loro; e poi inizio con i riflessi bianchi, e questi portano dentro la Luce di Cristo”.
Alla fine viene realizzato il resto della figura, e si applica una foglia d’oro all’aureola e alla parte che circonda il santo. La foglia d’oro significa il cielo, ed è il motivo per cui non c’è oro nell’icona di Miss Julia. Quando è stato chiesto alla Imbruglia di realizzare la figura di Julia, ha detto: “La farò come un’icona, con preghiera e tutto il simbolismo, ma non avrà un’aureola, perché non la canonizzerò. Per cui non ha un’aureola, non ci sono foglie d’oro. Ma la descriviamo ancora come una persona santa”.
Il lavoro non fila sempre liscio, il che richiede preghiere aggiuntive. Ha avuto particolari difficoltà con l’icona di San Vincenzo de’ Paoli, commissionato dalla chiesa omonima di Houston per il suo 75° anniversario. “Il santo era bellissimo, e anche i bambini, ma per lo sfondo ho avuto una grande idea, ma non veniva fuori”.
Ha quindi scoperto la devozione a Maria che scioglie i nodi. “Ho iniziato a recitare quella preghiera mentre lavoravo, e lei ha sciolto il grande nodo”. Dopo preghiera e riflessione, ha capito che non era più concentrata sul santo. “Mi stavo concentrando sullo sfondo, perché fosse elaborato, e allora, cosa che non avevo mai fatto prima, ho cancellato tutto ciò che circondava il santo e ho finito solo con foglie d’oro (…). Era come se fosse in paradiso”.
Gli occhi sono una parte critica di qualsiasi icona. “Trascorro moltissimo tempo concentrandomi sugli occhi. Serve molta preghiera quando si realizzano gli occhi se si vuole che attirino. È la mia prima e più importante preghiera nel realizzare le icone, che gli occhi attirino”. Miss Julia era quindi una sfida particolare: aveva solo un occhio “buono”, e nell’unica fotografia che la ritrae è nascosto all’ombra del suo cappello. La Imbruglia ha tenuto la foto accanto a sé mentre lavorava, e ha chiesto aiuto a Julia stessa. “Era come se dicessi: ‘Ok, Julia, aiutami con questa cosa’. Le chiedevo di invocare lo Spirito Santo perché quell’occhio attirasse la gente di modo da farla conoscere di più, amare di più, usarla come esempio”.
Ho chiesto alla Imbruglia se sente spesso un profondo legame con i soggetti delle sue icone. “La maggior parte delle volte sì”, ha risposto, “ma ci sono volte in cui è così forte da risultare schiacciante”. Uno di questi casi è stata l’icona della Venerabile Madre Luisita, realizzata per le suore carmelitane del Sacro Cuore di Los Angeles. “Quando l’ho finita l’ho messa lì e mi sono seduta proprio qui – nell’iconografia, l’iconografo è il primo a venerare l’icona prima di darla via. Ho avuto quindi un momento con la Madre, solo lei e io. Io ero qui e la guardavo, e ho letteralmente pianto”.
Il processo di realizzazione di un’icona richiede umiltà, ascoltare la guida dello Spirito Santo, e la vocazione della Imbruglia come iconografa è proprio iniziata in un momento di obbedienza filiale. “Mia madre mi ha chiamata e mi ha detto: ‘Voglio seguire questo corso d’arte, ma non guido di sera, mi accompagni?’” Era un corso di iconografia. “Non sapevo cosa fosse, non sapevo che le icone fossero davvero delle preghiere, ma guardandole come forma d’arte ho pensato: ‘Mi piace questa forma, mi è sempre piaciuta’. È stato come se nient’altro contasse nel mondo dell’arte, questo era ciò che dovevo fare. E allora sono andata a comprare ogni libro, tutto ciò su cui potevo mettere le mani, tutto quello che avrebbe potuto servirmi”.
Per sua madre e gli altri della classe era un’ora sociale, ma, ha affermato, “sedevo a un banco separato, da sola. Probabilmente sembravo ben poco socievole, ma non potevo farne a meno. Andavo a casa e lavoravo di più, poi tornavo e terminavo le icone così [e schiocca le dita] perché mi prendevano tantissimo”.
In seguito ha frequentato altri corsi, incluso uno guidato dall’iconografo cattolico Marek Czarnecki. Dopo di questo, ha insegnato lei stessa. E poi il suo insegnante originario ha smesso di insegnare. “Alcune delle signore della classe hanno detto: ‘Può continuare a insegnarci?’, e io ho detto ‘No’, e loro ‘Sì che può’. E ancora insegno”.
Ho chiesto alla Imbruglia se consideri la realizzazione delle icone una vocazione. “Oh sì, sì, sì. Assolutamente”. La svolta si è verificata nel 2009, quando ha ottenuto la sua prima commissione. Stava lavorando in una scuola e progettava di iniziare un business vendendo accessori per cani personalizzati. Aveva già creato un sito web per la sua nuova attività.
Quando è arrivata la commissione, ha detto ai suoi collaboratori: “Non so cosa fare. Forse è quello che sono chiamata a fare. Cosa ne pensate?” “E il responsabile, il viceresponsabile e il decano degli studenti mi hanno guardata e hanno detto: ‘No, vai avanti con la storia dei cani. Farai più soldi’”. Lei invece è andata a casa e ha cancellato il sito web. Due anni dopo, ha abbandonato il lavoro per concentrarsi sulla realizzazione delle icone a tempo pieno.
Mentre mi preparo ad andare via, mi chiede: “Posso condividere una piccola cosa con lei? È così importante…” Un uomo è andato un giorno nel suo studio, e le ha chiesto: “Perché fa questo?”, e lei ha risposto: “Sa, per la Chiesa”. L’uomo ha replicato: “No. Perché fa questo?” Era un anziano. “Ho detto ‘Per la Chiesa’, e lui ha continuato: ‘No. Perché?’ E io ho detto ‘Beh, per Lui’. Ha detto: ‘Lo dica ancora’. Ho detto ‘Per Lui’, e l’uomo: ‘Ad majorem dei gloriam, per la maggior gloria di Dio’. E io: ‘Sì!’ Da quel momento in poi, ogni icona che realizzo ha una sigla AMDG nascosta. Né grande né piccola, ma bisogna cercarla. E questo mi ricorda sempre che è per la sua maggior gloria. Non per la mia, ma per la Sua”.
Will Duquette è un laico domenicano, ingegnere di software, lettore prolifico e padre di quattro figli. Ha un blog su Cry Woof and Let Slip the Dogs of Whimsy.
[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]