Il futurista e conduttore di “Brain Games” Jason Silva scopre l’attrazione per il sacro contemplando la bellezza dell’architettura[youtube https://www.youtube.com/watch?v=1hSIq3goQJE]
Come ogni idealista irrequieto, il conduttore di Brain Games Jason Silva ha alcune idee ambigue sul genere umano, che vede sfrecciare verso un’utopia “tecnologicamente mediata” in cui gli esseri umani si sono fusi con le loro macchine per diventare delle divinità. In realtà, il suo genere di futurismo – una perfetta unione tra la volontà di potenza di Nietzsche e la “singolarità” di Kurzweil – potrebbe benissimo essere una delle idee più volubili presenti sul mercato.
Eppure io continuo ad essere attratto dallo “Shots of Awe” di Silva, una raccolta di “video-lampo” su YouTube ricca di meditazioni sulla creatività e sul significato dell’esistenza umana.
Se non altro, questi video valgono la pena di essere studiati anche solo per l’approccio estetico mostrato nell’esplorare grandi idee in un breve lasso di tempo. Come un buon trailer di un film, sono estremamente rapidi, pieni di pathos e lasciano l’acquolina in bocca.
Ma tendono anche a minimizzare o addirittura a mettere tra parentesi il futurismo di Silva. In video come “Existential Bummer” Silva esplora le perenni questioni dell’esistenza – i nostri fallimenti, le nostre passioni, il nostro interminabile desiderio di ricerca – risparmiandoci digressioni sul transumanesimo del futuro. Chiunque sia interessato alla filosofia continentale o alla filosofia della religione (o anche solo alla psicologia che sta dietro al transumanesimo) li riterrà di valore.
Uno dei suoi più recenti video, “Why Design Matters,” ne è un esempio perfetto. Il video inizia con Silva che contempla la bellezza dell’architettura. “Penso molto alla psicologia degli spazi”, inizia Silva, “ai propositi dell’architettura e alla capacità di progettare interni che trasmettano il nostro mondo interiore”. Improvvisamente la videocamera si sposta sull’immagine di una donna che entra in una chiesa. Un’altra donna si benedice e accende una candela; poi lo schermo diventa un tripudio di immagini tra croci, una vetrata sul Cristo e la luce che avanza attraverso la cupola della chiesa.
Nel frattempo, Silva continua:
“Entri in una stanza e inizi a sentirti meglio, senza sapere esattamente il perché. Poi ti accorgi che l’illuminazione, le forme, le linee, le ombre, tutto quello che abbiamo costruito (e che si è impresso nella mente e nella sfera della volontà, agendo in modo tangibile), ci mostrano che l’architettura riguarda davvero la progettazione dell’interiore. Quando si progetta l’esteriore, si progetta l’interiore”.
Considerata nell’inquieto e panoramico flusso di coscienza di Silva, la Chiesa diventa solo uno dei tanti pit-stop. Eppure, l’incontro è sorprendente. In un’epoca di grattacieli svettanti, è un testamento sul potere che una bella chiesa antica può ancora esercitare su di noi. Lo scrittore Peter Kreeft ricorda che è stato proprio camminando nella Cattedrale di S.Patrizio all’età di 12 anni (sentendosi “come in cielo”), che si è convertito al cattolicesimo. La partecipazione negli spazi esterni – che si stia parlando delle strutture, delle immagini, dei riti, dei simboli o dei sacramenti – riflette, informa e plasma chi siamo e ciò in cui crediamo.
Ma è nella conclusione, spiegata in un altro video, che Silva perde la rotta. “Possiamo diventare ingegneri del paradiso”, dice citando David Pearce. “È nostra responsabilità morale creare queste prescrizioni della mente, fondamentalmente per decostruire e poi ridefinire il nirvana, per creare realtà virtuali in cui possiamo abitare e credere”.
In altre parole, per immanentizzare l’eschaton, una volta per tutte.
Come la “grazia a buon mercato” di Bonhoeffer, la bellezza della chiesa diventa “bellezza a buon mercato”, una felicità auto-appropriata attentamente calibrata per massimizzare il nostro utile spirituale. Lui vuole catturare quella bellezza, decostruirla e utilizzarla per migliorare la nostra chimica e/o la nostra “materia mentale”. Ma quando il gioco è truccato – il design è realizzato da noi, su di noi, per noi e null’altro – di cosa dobbiamo stupirci?
Nicola Cabasilas, d’altro lato, ha definito la contemplazione della bellezza come un santo dolore per ciò che è al di là di noi:
“Quando gli uomini provano un ardente desiderio di amarlo, una voglia di fare per lui cose che superano la natura umana, allora è chiaro che li ha feriti lo Sposo in persona. Egli ha aperto i loro occhi alla sua bellezza. La profondità della ferita testimonia che la freccia ha colpito al centro il bersaglio; l’ardore del loro desiderio rivela chi li ha colpiti”.
Se Cabasilas aveva ragione, Silva sta sprecando il suo tempo cercando di decodificare la chiamata della bellezza. Quel dolore indica per definizione oltre sé, e la ricerca per la sua fonte non finisce mai.
Almeno, non da questa parte del paradiso.
Matthew Becklo è marito e padre, filosofo dilettante e commentatore culturale a Aleteia e Word on Fire. I suoi scritti sono stati presentati da First Things, The Dish e Real Clear Religion.