Il documento francese sull’utero in affittoMentre in Italia i problemi bioetici relativi all’utero in affitto vengono affrontati con la solita, e sterile, contrapposizione fra laici e cattolici — in genere presentati dai media rispettivamente come progressisti e conservatori — in Francia il mondo laico e progressista si sta muovendo con coraggio per denunciare la nuova schiavitù.
E questo accade proprio mentre lo stesso schieramento in Italia cerca di creare un’opinione favorevole a questa pratica: la scorsa settimana, ad esempio, «Io donna», settimanale del «Corriere della sera», ha pubblicato un’inchiesta fra donne indiane che affittavano l’utero descrivendole contente di aiutare finanziariamente le loro famiglie e di rendere felici delle coppie sterili. E questo nonostante che la differenza fra le cifre pagate dalle coppie occidentali ricche e quelle ricevute dalle donne indiane rendesse immediatamente evidente lo sfruttamento al quale queste ultime erano sottoposte.
Il 2 febbraio si è tenuta a Parigi, presso l’Assemblea nazionale, una affollata riunione indetta da gruppi progressisti e femministi per concordare un documento — intitolato Stop alla maternità surrogata — che chiede la condanna, in tutto il mondo, dell’utero in affitto, cioè della «mercificazione del corpo delle donne e dei bambini». È necessaria questa visione planetaria perché, se in qualche parte del mondo rimane legale, ci sarà sempre qualcuno che si rivolgerà a una donna di quel Paese per pagare la sua prestazione come contenitore di una gravidanza. Il primo passo sarà far approvare questo documento dal parlamento dell’Unione europea.
Nel corso di un’appassionata discussione hanno avuto un grande effetto le parole della giornalista Sheela Saravanon, che ha denunciato la dimensione colonialista dello sfruttamento delle donne. L’utero di donne povere di Paesi poveri viene comprato da ricchi occidentali per avere un figlio attraverso pratiche avvilenti, come l’inserimento di cinque embrioni per volta, e l’eventuale aborto di quelli che si sono impiantati in soprannumero rispetto alle richieste del committente. Ma soprattutto questo significa una negazione dell’importanza del rapporto che si crea fra la madre e il feto nei nove mesi della gravidanza. Le donne sono ridotte così a una macchina, e il bambino a un bene su ordinazione.
La filosofa Sylviane Agacinski, presidente dell’associazione CoRP — sul cui sito è disponibile, in sette lingue, la carta votata il 2 febbraio, e dove il documento può essere sottoscritto — ha detto che con questa iniziativa si vuole impedire che, «come la prostituzione, la pratica dell’utero in affitto trasformi le donne in prestatrici di un servizio, sessuale o materno. Il corpo delle donne deve essere riconosciuto come un bene indisponibile per l’uso pubblico. La madre surrogata non è forse madre genetica, ma è senza dubbio madre biologica, tenuto conto degli scambi biologici che avvengono per nove mesi tra la madre e il feto. Il bambino in questo modo diventa un bene su ordinazione, dotato di un valore di mercato, e questo è inaccettabile».
Il mondo sembra avere dimenticato il valore inestimabile dei legami umani, e crede solo più nei soldi e nella tecnica — è stato ribadito nella discussione — mentre molte partecipanti hanno difeso la maternità come prerogativa della donna da non svendere. È la prima volta che la sinistra osa parlare contro le lobby progressiste, senza paura di essere associata a gruppi giudicati conservatori, come i partecipanti alla Manif pour tous che hanno denunciato per primi l’orrore di questa pratica.