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L’Alzheimer stava prendendo mia moglie, ma…

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Larry Peterson - pubblicato il 03/02/16
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… ho deciso di afferrare ogni fugace momento di bellezzaNegli ultimi tre anni ho visto il morbo di Alzheimer cancellare lentamente la mente di Martha, mia moglie e migliore amica. Tutto quello che posso fare è starle accanto, impotente quale sono, percependo quella “gomma” muoversi costantemente avanti e indietro dentro la sua testa. In effetti, ho un posto in prima fila per guardare una persona innocente mentre viene metodicamente trascinata in un mondo fatto di nulla.

La mia prima moglie, Loretta, è morta 13 anni fa a causa di un melanoma. Ha anche sofferto di pancreatite cronica, di diabete e di lupus. Mi sono preso cura di lei, imparando a gestire il suo programma terapeutico e a farle le iniezioni. A essere sinceri sono diventato abbastanza bravo. Tuttavia, non è mai stata vittima della demenza conosciuta come morbo di Alzheimer. Quello era un mondo di cui avevo solo sentito parlare, ma mai sperimentato. Ma ora eccomi qui. Ora capisco perché il morbo di Alzheimer è amaramente chiamato “il lungo addio”. Una volta che afferra qualcuno, non lo lascia più andare. Non può essere rallentato, non può regredire e non può essere curato. Si nutre dell’ospite designato fino a quando non l’uccide. È forse, a mio parere, tra le peggiori malattie.

Martha ed io ci siamo conosciuti in chiesa, eravamo entrambi membri della St. Vincent de Paul Society. Lei era vedova e, circa due anni dopo la scomparsa di Loretta, siamo andati a cena insieme. Ci siamo incamminati nel sacramento del matrimonio secondo quanto prescritto dalla Chiesa cattolica e ora siamo sposati da nove anni. Eravamo una coppia “improbabile”, sì, ma la nostra relazione era incentrata intorno alla nostra fede e al nostro Dio. Lui, in cambio, ci ha dati l’uno all’altra nel matrimonio, come un dono. Avere fede è il più grande (e forse il più fragile) regalo che si possa mai ricevere. Quanto a me, mi sono affidato ad essa esercitandola il più possibile.

Martha ha suonato il pianoforte fin da bambina ed è una musicista piuttosto affermata. Era così brava da aver sostituito l’organista della sua chiesa già da quando frequentava la prima media. Durante l’estate e l’autunno del 2014 mi sono preoccupato del fatto che lei potrebbe dimenticare come suonare, paura confermata dai suoi medici.

Pochi giorni dopo, queste preoccupazioni sono diventate un tormento che mi sarei trascinato d’ora in avanti.

Mi trovavo nel mio studio a casa, un ufficio disordinatissimo e pieno di scartoffie, quando le note del pianoforte hanno iniziato a riempire la casa. Mi sono appoggiato allo schienale della sedia, lasciandomi andare all’ascolto della melodia, e ho sorriso. Dopo qualche istante mi sono reso conto che la musica era un po’ diversa. Questa non era la solita Martha. No, questa è stata una Martha trascendente, che ha suonato la più bella musica mai sentita da lei. Ogni stanza era riempita da “Autumn Leaves”, poi da “That Old Feeling” e infine dal “Notturno in Mi bemolle maggiore” di Chopin. Il mio preferito.

Sono sgattaiolato nel corridoio e l’ho osservata. L’ho vista come persa, seppur riempita dalla musica stessa che stava cacciando fuori da quel vecchio pianoforte.

Era come guardare uno dei più bei fiori di Dio, raggiungere l’apoteosi della fioritura. Rendendomi conto che questi momenti sono fugaci e che presto potrebbero non esserci più, ho iniziato a registrarla con il mio telefono. Sapendo che, se lei dovesse dimenticare come si suona – e se non riconosce più il pianoforte o neanche me, addirittura – la sua musica sarà ancora qui.

Allora sarò io a suonare per lei. Forse, e dico forse, per qualunque mondo la sua mente abbia viaggiato, lei sentirà, ascolterà e sorriderà. E ricambierò il sorriso, perché sono stato benedetto con l’onore e il privilegio di prendermi cura di una delle più preziose figlie di Dio.

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