«Ero nato in un corpo sbagliato e ho sempre saputo di essere una donna», o un uomo. E’ questa la frase che si sente più ripetere nei racconti delle persone transessuali. Anche i genitori di Ava Parksman, la piccola bambina di soli 4 anni, lo hanno ripetuto: «Era un bambino nel corpo di una bambina, l’abbiamo liberato», Ava è così stata “fatta diventare” una delle più piccole transessuali d’America.
Tutto è giustificato dal “sentirsi”, senza porsi alcun dubbio sull’origine patologica o meno di questi pensieri, di un’umanità ferita o, semplicemente, di uno stato confusione esistenziale. Eppure la disforia tra sessualità biologica e desiderio mentale è definito vero e proprio “disturbo d’identità di genere” (DIG) inserito nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali.
Curiosa la storia di Paul Wolschtt, meccanico di 46 anni che, dopo 23 anni di matrimonio e sette figli, ha “sentito” di essere nato in un corpo sbagliato convincendosi di essere non soltanto una donna, ma addirittura una bambina di 6 anni. E’ così diventato un transessuale assumendo caratteristiche esteriori del sesso femminile e indossando vestiti da fanciulla: «Non posso negare di essere stato sposato e non posso negare di avere dei figli», ha detto, «ma ora sono andato oltre e sono tornato a essere una bambina». Wolschtt ha così assunto il nome di Stefonkee ed è stato adottato da una famiglia poiché la loro figlia più piccola desiderava tanto avere una sorellina: «Ci divertiamo, passiamo i pomeriggi a colorare e a giocare».
Davvero nessuno si è domandato se Paul Wolschtt non fosse proprio nel pieno delle sue facoltà mentali? Se basta “sentirsi” qualcuno per esserlo e se domani si “sentisse” un cagnolino verrebbe adottato da una famiglia in cerca di un animale da compagnia? Chi, come i teorici del gener, sostiene che il genere sia un aspetto dissociato dal sesso risponderà di “sì”: se Wolschtt percepisce se stesso come una bambina di sei anni allora è una bambina di sei anni.
La verità, come questa storia contribuisce a dimostrare, è che nessuno nasce in un corpo sbagliato, semplicemente è la nostra mente che a volte, per diversi motivi, può prendere strade complicate che non andrebbero affatto assecondate. Lo ha capito da solo l’ex transessuale Matthew Attonley che, dopo aver cambiato chirurgicamente sesso per tentare di sembrare una donna, ha chiesto di essere riportato indietro: «Mi sento come se stessi vivendo una bugia. Ho sempre desiderato essere una donna, ma nessuna operazione chirurgia mi potrà dare un vero corpo femminile. Mi sono reso conto che sarebbe stato più facile smettere di combattere il mio modo di guardarmi e accettare che sono nato naturalmente e fisicamente come uomo».
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Paul R. McHugh, professore Emerito di Psicologia presso la prestigiosa Johns Hopkins University School of Medicine, ha interrotto le operazioni chirurgiche sui transessuali una volta divenuto direttore del Dipartimento, dicendo: «Abbiamo sprecato risorse scientifiche e tecniche e danneggiato la nostra credibilità professionale collaborando con la follia piuttosto che cercare di studiare, curare, e in ultima analisi impedirla». Il celebre psicologo parla di “follia”, è un termine medico che lasciamo a lui. A noi interessa stare umanamente vicini a queste persone, ferite dalla vita, che vivono questo disordine oggettivo tra mente e corpo, dispiacendoci se qualcuno asseconda e amplifica -attraverso la complicità dei media- la loro disarmonia piuttosto che aiutarle a far emergere la loro naturale identità. Identità che rimarrà comunque sempre presente nel transessuale, indipendentemente dalla quantità di mutilazioni a cui sottoporrà i suoi organi genitali, ai bombardamenti ormonali e ai vestiti dell’altro sesso che indosserà (compreso il ciuccio da bambina, per quanto riguarda il 46enne Wolschtt, meccanico e padre di famiglia).