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E’ giusto leggere il Corano dopo la santa messa?

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Gelsomino Del Guercio - Aleteia - pubblicato il 19/01/16
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In una parrocchia di Como è stato letto al termine della santa messa natalizia. Il liturgista Finotti: scelta affrettata e fuorviante

Alla parrocchia San Martino di Rebbio (Como), al termine della celebrazione eucaristica di Natale, una rappresentante dell’associazione culturale Assirat, che riunisce la comunità libanese musulmana, ha letto alcuni versi del Corano che annunciano la nascita di Cristo. Per l’esperto don Silvano Sirboni «è stata liturgicamente corretta perché collocata al termine del rito ed è stata una iniziativa di dialogo nello stile indicato dal Papa» (Famiglia Cristiana, 12 gennaio)

Il liturgista Don Enrico Finotti, direttore della rivista liturgica “Culmen et fons“, spiega ad Aleteia, in tre punti perché la scelta della parrocchia comasca si è rivelata infelice.

IL RITO LITURGICO

I riti liturgici della Chiesa Cattolica, evidenzia Finotti, sono azioni di Cristo e della Chiesa, suo mistico corpo. Infatti, il Concilio Ecumenico Vaticano II, nella Costituzione sulla sacra liturgia, Sacrosanctum Concilium, afferma: “Giustamente perciò la liturgia è considerata come l’esercizio della funzione sacerdotale di Gesù Cristo. In essa, la santificazione dell’uomo è significata per mezzo di segni sensibili e realizzata in modo proprio a ciascuno di essi; in essa il culto pubblico integrale è esercitato dal corpo mistico di Gesù Cristo, cioè dal capo e dalle sue membra. Perciò ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo corpo, che è la Chiesa, è azione sacra per eccellenza, e nessun’altra azione della Chiesa ne uguaglia l’efficacia allo stesso titolo e allo stesso grado (SC 7)”.

In tal senso il Concilio dichiara: “Di conseguenza assolutamente nessun altro, anche se sacerdote, osi, di sua iniziativa, aggiungere, togliere o mutare alcunché in materia liturgica” (SC 22). E’ evidente allora, sottolinea il liturgista, che «la struttura e il genere dei riti, il contenuto e la forma delle preci, la tipologia e la qualità dei simboli, insomma l’intero complesso degli atti liturgici devono essere del tutto rispettati e celebrati in quella modalità che l’autorità della Chiesa ha stabilito, conforme alla tradizione, e che ha pubblicato nei libri liturgici approvati dai Sommi Pontefici».

Il vigente Codice di Diritto Canonico conferisce forma giuridica alla dottrina conciliare e stabilisce le condizioni essenziali per il compimento e il riconoscimento di un atto liturgico valido e legittimo:

Can. 834 – §1. La Chiesa adempie la funzione di santificare in modo peculiare mediante la sacra liturgia, che è ritenuta come l’esercizio della funzione sacerdotale di Gesù Cristo; in essa per mezzo di segni sensibili viene significata e realizzata, in modo proprio a ciascuno, la santificazione degli uomini e viene esercitato dal Corpo mistico di Gesù Cristo, cioè dal Capo e dalle membra, il culto di Dio pubblico integrale.

§2. Tale culto allora si realizza quando viene offerto in nome della Chiesa da persone legittimamente incaricate e mediante atti approvati dall’autorità della Chiesa.

IL LUOGO SACRO

Alla liturgia e al culto in genere, prosegue Finotti, «non appartengono soltanto i vari riti, considerati unicamente nel tempo in cui si svolge la loro celebrazione, ma anche tutte le loro pertinenze intrinseche: gli arredi sacri (calice, patena, croce, messale, ecc.); gli abiti liturgici; i luoghi celebrativi (altare, tabernacolo, ambone, sede, ecc.); l’edificio della chiesa nel suo complesso». E’ di immediata comprensione «come ogni celebrazione, composta di gesti e preghiere (per ritus et preces – SC48), necessiti di luoghi e strumenti idonei, che non sono esteriori al rito, ma interiori ed intrecciati con esso».

In particolare, l’edificio della chiesa, «non solo deve essere costruito con criteri atti ad elevare l’anima dei fedeli alle realtà soprannaturali, ma, se opportunamente dedicato, riceve in modo permanente la funzione di mediare la grazia: è cioè un sacramentale».

Inoltre, sottolinea il liturgista, «la presenza della santissima Eucaristia, conservata nel tabernacolo – ‘il cuore vivente di ciascuna delle nostre chiese’ (Paolo VI) -, fa’ si che la liturgia sia sempre in qualche modo celebrata ed anche nella chiesa ‘vuota’ la presenza del santissimo Sacramento assicura che l’ ‘incenso’ del culto divino sia sempre saliente».

E’ questo il motivo per il quale la chiesa viene riservata unicamente al culto divino (Can. 1210), mentre tutte le altre attività ecclesiali si compiono nelle strutture pastorali annesse e adatte allo scopo. In queste diverse sedi devono svolgersi, sia le molteplici attività ordinarie della parrocchia, sia gli incontri culturali e sociali di vario genere, fra i quali il dialogo ecumenico e interreligioso. Qui i documenti conciliari, ad esempio, sul dialogo col mondo contemporaneo (Gaudium et spes), sulla libertà religiosa (Dignitatis humanae), sull’ecumenismo (Unitatis redintegratio), sul dialogo interreligioso (Nostra aetate), ecc. devono trovare equilibrato e intelligente dibattito sotto la guida del magistero della Chiesa.

IL PERICOLO DEL RELATIVISMO

Se il rito liturgico e il luogo sacro non prevedono esperimenti come la lettura del Corano, c’e’ un terzo campanello d’allarme che li fa escludere ulteriormente. «Il pensiero e il costume oggi dominanti – osserva il liturgista – sono fortemente impregnati di relativismo ideologico, irenismo morale e sincretismo religioso. Tutto è relativo e ogni pretesa di verità è ritenuta fondamentalista e pericolosa per la comune convivenza».

Con questo «pesante» condizionamento anche le migliori prospettive del dialogo e dell’incontro, giustamente promosse dal Vaticano II, subiscono purtroppo delle interpretazioni fuorvianti e inducono a prassi non conformi alle leggi della Chiesa. In tale contesto è diventato difficile per il cattolico annunziare pubblicamente con le parole dell’apostolo Pietro che: “Gesù è la pietra che, scartata da voi, costruttori, è diventata testata d’angolo. In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati” (At 4, 11-12).

E proclamare con san Paolo: “Nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra, e sotto terra,  e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre” (Fil 2, 10-11). «La grave responsabilità dei Pastori della Chiesa in ordine alla difesa della fede, al suo annunzio e alla tutela dei fedeli, è diventata veramente urgente e richiede un coraggio non comune», taglia corto il direttore di “Culmen et fons”.

EVITARE CONFUSIONE AI FEDELI

Ecco perché – è il consiglio di Finotti – «occorre molta vigilanza e discernimento per non turbare, soprattutto i fedeli più umili, con scelte ‘pastorali’ equivoche». Nel caso specifico: «Quando un’azione o un testo, estranei alla norma, sono proposti in chiesa, i semplici fedeli non stanno a distinguere, ma, solo per il fatto che si compiono nel luogo sacro, essi li valutano con grande serietà, suscitando in alcuni un giudizio superficiale e acritico secondo il buonismo ormai imperante, in altri una pericolosa deriva nel sincretismo religioso, ideologico e fuorviante e in altri ancora la perplessità, la reazione dolorosa e la confusione nella loro formazione spirituale e nella loro vita di fede convinta e coerente».

Le comunità cristiane, chiosa, «posseggono mezzi e risorse di saggezza e buon senso, che consentono un dialogo veramente proficuo, senza rischiare scelte affrettate, che inducono nell’errore e portano al conflitto».

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