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L’esempio di Kobe Bryant: perché una famiglia santa non è fatta di angeli

Los Angeles Lakers basketball star Kobe Bryant (R) clasp hands with his wife Vanessa appear at a news conference at Staples Center, the home of the Lakers, 18 July, 2003 in Los Angeles, California. Bryant made the public appearance where he denied sexually assaulting a female hotel employee and begged his wife and fans to forgive him. (J. Emilio Flores/Getty Images/AFP) -FOR NEWSPAPERS AND TV USE ONLY-

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Richard M. Jacobs - pubblicato il 30/12/15
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Kobe Bryant, una delle stelle del basket di tutti i tempi, che ha annunciato di recente il suo ritiro a fine della stagione, è il protagonista di un post su Church Pop che viene a proposito in occasione della festa della Sacra Famiglia. Perché?

Molti non sanno che Bryant, nato a Philadelphia nel 1978, è cresciuto in una famiglia cattolica e che a sei anni la sua famiglia si è trasferita a un’ora da Roma, tanto che ancora oggi il campione Nba ha un’ottima padronanza dell’italiano.

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Nel 2001, quando aveva 23 anni, Bryant ha sposato la 19enne Vanessa Laine, anche lei cattolica. Nel 2003 è nato il loro primo figlio.

Nello stesso anno, Bryant è stato accusato di aver stuprato una ragazza nella sua camera d’albergo mentre si trovava in Colorado per un intervento al ginocchio. Il giocatore ha ammesso di aver avuto un rapporto con la ragazza, ma ha negato lo stupro. Dopo queste accuse molti sponsor lo hanno abbandonato mentre la sua reputazione ha subìto un forte contraccolpo.

Nel 2004 un giudice ha archiviato le accuse di stupro, ma la donna ha presentato un ricorso civile contro Bryant, risolto al di fuori dei tribunali.

Bryant e sua moglie sono rimasti insieme per qualche anno dopo le accuse, e hanno anche avuto un secondo figlio, ma nel 2011 la moglie ha chiesto il divorzio.

Ma la storia non finisce qui…

In un’intervista rilasciata a GQ nel febbraio scorso, Bryant ha spiegato come la sua fede cattolica lo abbia aiutato ad affrontare il brutto momento provocato dalla sua infedeltà.

“La perdita di consensi era l’ultima delle mie preoccupazioni. Avevo paura di andare in prigione? Sì. Avevo 25 anni. Ero terrorizzato. L’unica cosa che mi ha aiutato davvero durante quel processo – sono cattolico, sono cresciuto come cattolico, i miei figli sono cattolici – è stato parlare con un sacerdote”.

“È stato quasi divertente. Mi ha guardato e mi ha detto: ‘L’hai fatto?’, e io ‘Ovviamente no’. Poi mi ha chiesto: ‘Hai un buon avvocato?’, ed io ‘Sì, è fenomenale’. Al che lui ha detto solamente questo: ‘Lascia stare, vai avanti. Dio non ti darà nulla che tu non possa affrontare, e ora è tutto nelle sue mani. È una cosa che non puoi controllare, quindi lascia stare’. E quello è stato il punto di svolta”.

Nel 2013, Bryant e la moglie hanno annunciato di essersi riconciliati e di aver sospeso la questione relativa al divorzio.

In questa giornata in cui i cattolici ricordano la Sacra Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, è importante ricordare che essere una sacra famiglia non è un’astrazione, ma una realtà concreta.

Una sacra famiglia non è fatta di angeli ma di peccatori, il cui amore per Dio e il cui amore reciproco non permettono che la morte provocata dal peccato impedisca di cercare la vita risorta che deriva dal perdono.

Moltissime persone sono cresciute nella fede cattolica, si sono sposate con un cattolico secondo la Chiesa cattolica e stanno cercando di rimanere fedeli ai propri voti e di allevare i propri figli come cattolici.

Al giorno d’oggi è difficile riuscire a fare tutto questo. Il peccato e la mancanza di perdono non fanno altro che aumentare l’oscurità che troppo spesso porta alla morte di matrimoni e famiglie.

Bryant e la moglie sono evangelizzatori cattolici che attraverso l’esempio della loro vita insegnano ad altri sposi e ad altri genitori che vivono un momento buio e sono sull’orlo della disperazione a percepire la luce nell’oscurità, a imparare da questa esperienza e a nascere nuovamente in Cristo come sposi e genitori, secondo la volontà di Dio.

[Traduzione e adattamento dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

 

QUI L’ARTICOLO ORIGINALE

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