Un tuffo nella tradizione dei canti popolari con Ambrogio Sparagna. Gioia e stupore: il mondo sembra finire, ma nasce un BambinoÈ nato in mezzo ai canti. Aveva solo 3-4 anni e in chiesa si accucciava vicino ai mantici dell’organo che il padre suonava. Anzi, appena possibile tirava lui le corde e volava su, tanto che il sacrestano doveva riprenderlo per riportarlo a terra. “Mi piaceva tanto volare, mi sembrava di essere un angioletto come quello dei canti che sentivo”, come “Fermarono i cieli” (o “Raddoppiano i cieli”), racconta Ambrogio Sparagna, oggi all’apice della carriera come musicista ed etnomusicologo. A lui si deve la riscoperta, lo studio e anche la divulgazione di molti canti della tradizione popolare italiana. Testi del Settecento, del repertorio di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, ma anche più antichi: laudi filippine e anche laudi medievali. Lo incontriamo in una sera di dicembre. La mattina alle 5 aveva iniziato la giornata suonando la zampogna nella chiesa del suo paese, sopra il Golfo di Gaeta, dove per tutta la novena di Natale, ogni giorno, si ripete questo appuntamento per cantare davanti a Gesù.
E così in tante parti del nostro Paese, soprattutto nei paesi e nelle zone più periferiche, dove le tradizioni persistono e molta gente suona, soprattutto la zampogna, gli organetti, la ciaramella: “Tantissima gente vive in questo periodo l’esperienza dello stare insieme attraverso la musica e i canti del Natale”. Racconta: “Eravamo piccoli e sentivamo gli anziani suonare. Adesso suoniamo, anche per i bambini, che sono l’anima del nostro paese.. la zampogna, la ciaramella, si devono suonare in chiesa, perché sempre sono state suonate in chiesa, è la devozione popolare più semplice, fatta da persone che ‘puzzano di pecora’. Questi canti sono nati con questa idea e continuano a vivere con questa idea”. Una ricchezza certamente da riscoprire: “Quello che è più forte di questo modo cantare è il sentimento intrinseco di questo periodo e di questo repertorio, che è poi quello che raccontano i Vangeli: la gioia e lo stupore. Lo stupore per l’evento e la gioia di essere partecipi dell’evento”.
“Tutti i canti hanno questa forma: da un lato lo stupore per una notte incredibile.. tra i testi più importante c’è Fermarono i cieli o Raddoppiano i cieli: il momento in cui si ferma il mondo, sembra quasi che il mondo sia finito e invece nasce un Bambino e la gioia di questa nascita è così contagiosa che tutti devono fare festa. Questi canti sono canti di festa, legati all’idea di comunità, di persone che vivono insieme e fanno della musica la loro esperienza di fede e di vita”. Per Sparagna è l’esperienza più semplice che c’è. “Ci sono nato dentro a questa storia. Questi canti facevano parte della mia vita quotidiana. Rappresentano l’anima di un popolo, il segno più forte di una passione, di una fede, di una sensibilità semplice e sincera che il popolo italiano non ha mai dimenticato”. Lui ha cominciato a suonare verso 15-16 anni, “in maniera diversa, forme diverse, ma sempre mantenendo lo spirito originale con cui queste canzoncine sono state composte”.
Oggi Sparagna porta in giro queste canzoni, con spettacoli e concerti (il più famoso è “La Chiarastella”, che da 9 anni si svolge all’Auditorium di Roma nei giorni dell’Epifania). Niente di commerciale, sia chiaro: “Non ci deve essere artificio, non va appiccicato l’aggettivo commerciale come spesso si fa: compilation… tutta monnezza. Il modo di associare il Natale con il business non funziona. Il Natale è segno di grande umiltà; festeggiamo un bambino che nasce in condizioni di grande miseria”. Quello che invece è importante – insiste – è “scoprire la dimensione della semplicità, che è il segno più forte della misericordia. Cos’altro è la misericordia se non il dono di Dio che si fa uomo? Questa è la misericordia e di questo sono intrisi i canti, dalla prima all’ultima battuta”. Anche in questo nostro tempo, segnato spesso dall’ansia, dalla paura, dalla frenesia, “fermarci un attimo e riscoprire la dimensione di semplicità è uno dei modi più sinceri di vivere il Natale”.