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E tu chiamale se vuoi impressioni…

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Gian Franco Svidercoschi - Aleteia - pubblicato il 22/12/15
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…guardando i pellegrini che si avviano verso la Porta SantaE’ come lo scorrere di un fiume, uno scorrere lento ma regolare, continuo, costante. La lunga fila sbuca dal colonnato di destra, dove i pellegrini sono stati sottoposti all’ultimo controllo, quello più accurato, con i metal detector. Ci sono intere famiglie. Coppie anziane e coppie giovani. Una prossima mamma si tiene con le mani il pancione, dev’essere un bel po’ avanti. Ed ecco il gruppo più folto: insegnanti e studenti (con i genitori) di un istituto scolastico. Hanno ascoltato la Messa in una chiesa del centro di Roma, poi da lì hanno percorso in pellegrinaggio un lungo tratto di strada. E ora finalmente salgono la gradinata della basilica vaticana.
Hanno, un po’ tutti, facce sorridenti, gioiose. Ma, se guardi bene, riesci a leggervi anche la profonda emozione per l’esperienza che tra poco faranno attraversando la soglia della Porta Santa. In quel luogo, in quel momento, non potranno non sentire più distintamente la vicinanza di Dio misericordioso. Dio che si china su qualunque colpevole, su qualunque miseria umana, e non umilia mai nessuno, accoglie tutti, e a tutti è sempre pronto a spalancare le braccia del perdono. “Anche se il nostro cuore ci condanna – come dice Giovanni nella sua prima lettera – Dio è più grande del nostro cuore. Egli conosce ogni cosa.”
E’ una grande esperienza spirituale che si ripete, e si ripeterà, in ogni parte del mondo, passando per ogni Porta Santa, sia quella di una cattedrale o di un ostello della carità o di un carcere. Ma in quel luogo, in quel momento, e soprattutto lì, nella basilica di San Pietro, è una esperienza spirituale che diventa anche un gesto di speranza. Forse quei pellegrini non si sono posti neppure il problema, o forse non ci hanno nemmeno pensato; ma il loro essere lì, il loro passaggio attraverso la Porta Santa, è in qualche modo la risposta, la risposta dei seguaci del Vangelo, al clima angoscioso di paura per le terribili minacce che segnano questo tragico periodo della storia umana.
Già papa Bergoglio aveva spiazzato tutti decidendo di compiere il viaggio in Africa, nonostante che i servizi di sicurezza di vari Paesi continuassero a segnalare al Vaticano il pericolo di attentati. Francesco aveva deciso di andarci, non certo per sfidare o, peggio, provocare i terroristi, ma perché sentiva che era suo dovere portare là il messaggio del Dio dell’amore, della misericordia. E poi perché riteneva che fosse di grande importanza – in regioni dilaniate da un conflitto tra cristiani e musulmani – dimostrare concretamente, personalmente, come la convivenza tra religioni possa essere decisiva per ristabilire la pace tra gli uomini e tra i popoli.
Dunque, era stata una testimonianza di coraggio, coraggio evangelico, quella del Papa. Ed è ugualmente una testimonianza coraggiosa – benché, si diceva, forse non se ne rendano nemmeno conto – quella dei pellegrini che sono venuti, e verranno, a San Pietro per attraversare la Porta Santa. Una testimonianza nel segno della fede, della forza della fede, pur nella sua apparente inermità. Al punto da far pensare che proprio il Giubileo, in quanto evento religioso, potrebbe avere un grandissimo effetto “disarmante”, su coloro i quali pretendono invece di avallare, con la copertura della religione, la loro violenza assassina, distruttrice.

Intanto, la lunga fila di gente si è infittita. Ci sono gruppi che, arrivando da via della Conciliazione, hanno dovuto superare tre posti di blocco e poi il controllo con i metal detector. Ma l’atmosfera è sempre serena, forse anche più vivace, per via delle differenti lingue che ora si ascoltano. Da un po’, infatti, si sono aggregati parecchi pellegrini non italiani. Ma, più che una babele, è una straordinaria sintonia spirituale. Cominciano a raccontare e a raccontarsi. I giovani riescono a dialogare in inglese. I più anziani fanno più fatica, si parlano con le mani. Così, parlando e camminando, si scoprono “compagni di viaggio”: ciascuno con origini diverse, con vissuti diversi, ma tutti convinti di dover percorrere quel tragitto, e compiere quel gesto, perché mossi da una voglia di cambiamento interiore.

Al tempo del Giubileo del Duemila, era capitato qualche volta che Giovanni Paolo II, da dietro le tende della sua finestra, si fosse messo a guardare i pellegrini in fila che aspettavano di entrare in San Pietro. Li aveva osservati con curiosità, con ammirazione, e poi, nel documento riassuntivo dell’esperienza dell’Anno Santo, aveva riferito le sue impressioni. “In ciascuno di essi cercavo di immaginare una storia di vita, fatta di gioie, ansie, dolori; una storia incontrata da Cristo, e che nel dialogo con Lui riprendeva il suo cammino di speranza.” Anche a papa Wojtyla erano venute in mente le folle del Vangelo. Le folle che erano andate al Giordano per ricevere il battesimo di Giovanni. Le folle che avevano seguito Gesù e, pur di ascoltare la predicazione del Maestro, “non avevano tempo – racconta Marco – neppure per mangiare”.
Ecco, questa gente in cammino, qui in piazza San Pietro, è un po’ lo specchio della prima esperienza evangelica, quando quegli uomini decisero di rispondere alla chiamata di Cristo: “Seguitemi!”, e così cominciarono a vivere insieme, in fraternità, formando una comunità pellegrinante, sempre in movimento. Sarebbe a dire che, ieri come oggi, non è concepibile una Chiesa che stia ferma, intenta solo a contemplare se stessa. Come ha ricordato Bergoglio, ancora arcivescovo di Buenos Aires, nel famoso intervento nel pre-Conclave: “Quando la Chiesa non esce da se stessa per evangelizzare diviene autoreferenziale, e allora si ammala…”.
Il Giubileo della misericordia, perciò, apre nuove prospettive anche per questo. Chiama i credenti (ma è un invito rivolto a tutti gli uomini) alla conversione, al rinnovamento, a tornare a vivere agendo visibilmente con uno stile evangelico, e quindi a vedere il volto di Cristo nel volto dell’altro, del prossimo, di chi ha più bisogno. Nello stesso tempo, il Giubileo chiama la Chiesa, specialmente la Chiesa gerarchica, a interrogarsi, a verificare se oggi sia veramente nel mondo il segno vivo, vitale, dell’amore e della misericordia del Padre.

Troppe volte, in passato, è accaduto che la fede, anziché diventare fermento della quotidianità della vita, finisse ridotta a pratica cultuale, a dottrina moralistica, o, nella migliore delle ipotesi, a semplice risorsa personale. Dimenticando che Dio – come ci ricorda la costituzione conciliare Lumen gentium – “volle santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di essi un popolo”. Ebbene, quei pellegrini che attraversano la soglia della Porta Santa in San Pietro, e in ogni cattedrale del mondo o in un ostello della carità o perfino in carcere, sono come l’avanguardia di quel popolo di Dio che – c’è da sperare – sappia tornare a essere protagonista nella storia.

Ps: molti lettori avranno capito subito come il titolo di questo articolo, leggermente modificato, sia stato “suggerito” da una famosa canzone di Lucio Battisti.

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