La “Divina Commedia” di Dante è una vivida descrizione del processo con il quale troviamo la salvezzaVescovo Robert Barron
Quest’anno ricorre il 750° anniversario della nascita del grande poeta cattolico Dante Alighieri. Michelangelo riveriva Dante, e così hanno fatto Longfellow, Dorothy Sayers e T.S. Eliot. Eliot ha commentato che “Dante e Shakespeare si dividono il mondo. Non ci sono terzi”. Una delle più belle canzoni di Bob Dylan, Tangled Up in Blue, contiene un riferimento a Dante: “Aprì un libro di poesie / E me lo porse / Scritto da un poeta italiano / Del tredicesimo secolo / Ed ognuna di quelle parole suonava vera / E sfavillava come carbone ardente / Trasudando da ogni pagina / Come se fosse stata scritta nel mio animo”.
Ho letto per la prima volta il capolavoro di Dante, La Divina Commedia, nell’estate 1990, quando stavo studiando tedesco a Friburgo in Brisgovia. Quell’esperienza ha cambiato la mia vita. Quasi ogni libro che ho scritto contiene qualche riferimento al poeta, e ho attinto molto da lui nella mia predicazione per venticinque anni. Proprio quest’estate, mentre giravo con il mio team di Word on Fire a Ravenna, ho avuto l’opportunità di visitare la tomba di Dante, che ho trovato estremamente toccante.
C’è molto da ammirare ne La Divina Commedia: la sua struttura architettonica, il suo linguaggio lirico, le sue indimenticabili metafore, le cadenze e il ritmo, l’intuito psicologico, la profonda umanità… Vorrei tuttavia concentrarmi sul suo straordinario potere spirituale. È splendido che il poema senz’altro più significativo della tradizione occidentale riguardi il peccato e la redenzione e sia pervaso da una sensibilità spiccatamente cattolica.
Il poema epico si apre nell’anno 1300, quando il suo protagonista ha 35 anni, metà vita in base a un calcolo biblico: “Gli anni della nostra vita sono settanta” (Salmo 90, 10). Come hanno testimoniato nel corso dei secoli psicologi e guide spirituali, la metà della vita è spesso un momento di crisi e di svolta. Le parole iniziali della Commedia segnano questa verità: “Nel mezzo del cammin di nostra vita. mi ritrovai per una selva oscura. ché la diritta via era smarrita”. Anche se era un uomo consumato, noto nell’arena sia artistica che politica, Dante era spiritualmente perduto. Il fatto che lo capisse era un segno di virtù e lo slancio per il suo percorso.
Dante incontra il fantasma del poeta romano Virgilio, che gli fa da psicopompo, mistagogo e guida spirituale. Una delle verità più importanti nell’ordine spirituale è che non si dovrebbe mai iniziare il viaggio da soli: le cose si complicano piuttosto velocemente, e una guida esperta è essenziale. Virgilio dice a Dante che c’è un modo per andare avanti, ma implica un viaggio attraverso l’Inferno. Nella nostra cultura in cui l’importante è che vada tutto bene, è un messaggio difficile da accettare, ma ogni autentico maestro spirituale riconosce quanto sia indispensabile. Dobbiamo affrontare il nostro peccato e le nostre disfunzioni con totale onestà, altrimenti rimarremo bloccati. Il programma dei Dodici Passi parla di compiere “un inventario morale di ricerca” come prerequisito non negoziabile per affrontare una dipendenza. Virgilio conduce così Dante in un viaggio approfondito nel mondo sotterraneo.
Mentre il pellegrino assimila le sofferenze dei dannati, a volte è così schiacciato da svenire, ma Virgilio continua a portarlo in giro, perché il punto è vedere quello che il peccato fa all’anima. Guardando il dolore sofferto dagli abitanti dell’Inferno, Dante vede il proprio peccato e capisce, forse per la prima volta, quello che ha fatto a lui.
Alla fine dell’Inferno, Virgilio e Dante incontrano Satana. A differenza di qualsiasi altra descrizione del demonio nella tradizione, Dante presenta Satana non avvolto dalle fiamme, ma sepolto nel ghiaccio. Più si riflette su questo, più sembra un’immagine adatta della freddezza, dell’immobilità e dell’isolamento che seguono il rifiuto dell’amore di Dio. Dante, inoltre, immagina il diavolo con tre facce – un’imitazione della Trinità. Nel profondo, ogni peccatore, facendo di sé il centro dell’universo, scimmiotta Dio. Con tutti i sei occhi, Satana piange, indicando che alla fin fine il peccato è triste. A differenza del Satana di Milton o perfino della versione di Al Pacino del principe delle tenebre nel film L’Avvocato del Diavolo, il diavolo di Dante non ha niente di affascinante o romantico. È solo bloccato, patetico e triste.
Essendo sceso fino in fondo, Dante è ora pronto a risalire. Muovendosi dal centro della terra, viene fuori dall’altra parte (è interessante che il poeta duecentesco avesse in qualche modo intuito che la terra era rotonda) e inizia il viaggio di risalita attraverso il monte del Purgatorio. Ad ogni livello della montagna dalle sette cornici viene punito uno dei peccati mortali (orgoglio, invidia, rabbia, accidia, avarizia, gola e lussuria), in genere attraverso qualche versione di enantiodromia, o muoversi nella direzione opposta al proprio peccato. L’orgoglioso, che si eleva nella propria vita terrena, è così costretto a portare pesanti massi che lo spingono a terra; l’invidioso, che ha trascorso la propria vita guardando gli altri con risentimento, ha le palpebre chiuse; l’accidioso, che non è riuscito a raccogliere energia spirituale in questo mondo, viene fatto correre, eccetera. Dante compie quindi i due passi essenziali nel processo di conversione: vedere e agire.
Essendo stato purificato, Dante è pronto a volare. Sulla sommità del monte del Purgatorio, ora accompagnato dalla sua Beatrice, inizia un percorso attraverso i vari livelli del Paradiso. Quello che vede qui è costituito essenzialmente da diverse modalità e dimensioni dell’amore, perché il Paradiso non è altro che amore. Uno degli esempi più memorabili di questo fatto è che il francescano San Bonaventura presenti San Domenico, il fondatore dell’Ordine domenicano, e il domenicano San Tommaso d’Aquino presenti San Francesco, fondatore dei francescani. Rivalità e gelosie sono assenti in Paradiso, dove c’è solo cortesia. Alla fine del suo pellegrinaggio, al poeta è permesso di guardare il volto di Dio, che definisce “l’amor che move il sole e l’altre stelle”.
L’itinerario attraverso l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso non è solo un po’ di fantasia medievale, ma una vivida descrizione del processo attraverso il quale troviamo la salvezza. È quindi rilevante oggi tanto quanto nel XIII secolo – probabilmente ancor di più. Papa Francesco ha dichiarato che soprattutto in questo Anno della Misericordia dovremmo leggere e rileggere questo splendido maestro spirituale, e penso che abbia davvero ragione.
Il vescovo Robert Barron è vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Los Angeles (Stati Uniti) e fondatore del ministero cattolico Word on Fire.
[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]