La cosa corretta è terminare le preghiere con “Amen”. Perché in questo caso non è così?La parola “Amen”, uno dei vocaboli più utilizzati dai cristiani, è difficilmente traducibile nel suo senso più profondo (per questo viene mantenuta in ebraico, la lingua originale) e si utilizza sempre in relazione a Dio.
Pronunciare questa parola è proclamare che si considera vero quello che si è appena detto, con l’obiettivo di ratificare una proposizione o di unirsi a lei o a una preghiera.
Per questo, espressa in gruppo nell’ambito di un servizio divino o di un officio religioso, significa anche “essere d’accordo” con quanto espresso.
La parola “Amen” si usa sempre per concludere le preghiere, ma la preghiera per eccellenza, il Padre Nostro, si conclude sempre con l’“Amen” tranne quando si recita alla fine della Messa.
Bisogna segnalare che il Padre Nostro è l’unica preghiera della Chiesa inserita di per sé nella liturgia della Messa.
Qual è la spiegazione? Semplicemente, non si dice “Amen” perché la preghiera non è ancora terminata.
Dopo che l’assemblea ha concluso dicendo “liberaci dal male”, anziché dire “Amen” il sacerdote continua parlando da solo. La liturgia definisce questo fatto con una parola specifica, “embolismo”: è una preghiera che raccoglie e sviluppa una preghiera precedente.
Il sacerdote sviluppa l’ultima richiesta del Padre Nostro (liberaci dal male) e continua dicendo:
“Liberaci, o Signore, da tutti i mali, concedi la pace ai nostri giorni, e con l’aiuto della tua misericordia vivremo sempre liberi dal peccato e sicuri da ogni turbamento, nell’attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro salvatore Gesù Cristo”.
E il popolo risponde con un’antichissima acclamazione, la cui origine si perde nei primi secoli della storia della Chiesa:
“Tuo il regno, tua la potenza e la gloria nei secoli”.
Il Padre Nostro è quindi totalmente integrato nella liturgia eucaristica, non come un’aggiunta, ma come una sua parte fondamentale.
[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]