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Come praticare la Misericordia nella quotidianità

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Gian Franco Svidercoschi - Aleteia - pubblicato il 15/12/15
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Un Giubileo che chiama i cristiani a un nuovo stile di vitaC’è tanto di papa Francesco, e della straordinarietà del suo ministero pastorale, in questo Giubileo della misericordia. Anzitutto, c’è l’ispirazione profetica, che lo ha spinto a decidere l’indizione di un Anno Santo senza rispettare la cadenza venticinquennale, senza parlarne con nessuno, senza neppure avvisare della cosa le autorità di Roma e dell’Italia. Straordinario, poi, per aver abbandonato l’esclusività romano-centrica dell’evento giubilare; non solo, ma è andato ad aprire la prima Porta Santa nel cuore dell’Africa nera, a Bangui, dimostrando così concretamente l’universalità del cattolicesimo. E, ancora più straordinario, è l’aver assegnato al Giubileo un tema determinato e, insieme, un obiettivo ugualmente preciso: far sì che la misericordia divenga l’emblema distintivo di un nuovo modo di essere e di comportarsi da cristiani.

Il precedente Giubileo, quello del Duemila, aveva avuto sostanzialmente lo scopo – nel passaggio di millennio – di coinvolgere l’intera cattolicità in un grande esame di coscienza, e quindi in un atto di pentimento collettivo per le colpe di cui si erano macchiati i cristiani nei secoli passati. Mentre il Giubileo attuale, proprio per la sua tematica che invita alla conversione, sembrerebbe avere piuttosto una prospettiva personale. Ogni singolo cristiano – non solo quello delle parrocchie, dei movimenti, dei gruppi di volontariato e caritativi, ma anche il cristiano tiepido, il cristiano saltuario, superficiale, o che addirittura si era allontanato – é chiamato a rivedere il proprio modo di appartenenza religiosa. E a riscoprire in sé la grazia di poter annunciare e far fruttificare i doni di Dio.

Certo è che, se Francesco ha deciso di indire un Giubileo in tempi così stretti, lo ha fatto chiaramente in risposta alla drammatica emergenza di un mondo che denuncia una profonda mancanza di misericordia. Un mondo dove ogni giorno di più si consuma quella che il Papa chiama una “guerra mondiale ma a pezzi”. Conflitti, terrorismo, stragi orrende, interi popoli ridotti alla fame o in fuga verso lidi sempre più inospitali. E, nello stesso tempo, valori e punti di riferimento che saltano, falsi umanesimi, l’impero del dio denaro che domina su tutto e su tutti. E violenze, intolleranze, razzismi…

Ed ecco perché, di fronte a questo scenario mondiale sempre più cupo, sempre più tragico, papa Bergoglio ha pensato a una mobilitazione spirituale che impegnasse la comunità cattolica a recuperare la centralità della misericordia. E, appunto per questo, la Chiesa è chiamata a rendere visibili i segni della presenza di Dio, della sua vicinanza specialmente a quanti sono “feriti” o hanno più bisogno di aiuto. Dunque, una Chiesa che non dovrà più ripiegarsi su se stessa, né appoggiarsi solo alla legge, alle norme, ai precetti; ma dovrà invece mostrarsi più misericordiosa, più compassionevole, e poi tradurre tutto questo cambiamento nelle diverse forme e nelle diverse strutture del suo ministero.

Ma, si faceva notare, il tema stesso di questo Giubileo sembra essere stato scelto apposta per arrivare al cuore di ogni singolo cristiano. Obbligandolo ad uscire dallo stato di ignavia, di indifferenza, nel quale si barcamena. E, quindi, a riprendere coscienza della grandezza della propria dignità, e diventare un autentico testimone di speranza, di misericordia. Una provocazione, si potrebbe dire, non solo per il credente, ma anche per un certo uomo contemporaneo, il quale, rinchiuso nel suo egoismo, ha via via perduto il senso del peccato, della colpa: e, prima ancora, ha perduto il senso del perdono, del chiedere perdono. Una parola, questa, che ormai é quasi scomparsa dal vocabolario delle relazioni familiari e sociali.

A questo punto, però, sorgono un paio di interrogativi che ci interpellano nel profondo. Dovremmo chiederci in che modo pensiamo di vivere concretamente la misericordia. E, prima ancora, dovremmo chiederci che cosa intendiamo realmente per misericordia. Sono domande solo apparentemente ingenue, solo apparentemente semplicistiche. C’è infatti il rischio – come c’è stato spesso in passato in occasioni simili – di ridurre la grande esperienza giubilare al solo “lucrare” l’indulgenza. Come se il passare per la Porta Santa rappresentasse una specie di “lavacro”, dove eliminare le ultime scorie, rimaste dopo la cancellazione delle colpe con il sacramento della Riconciliazione.

Sono ormai un lontano ricordo, i tempi in cui Lutero e i suoi seguaci parlavano dell’indulgenza come di una “grazia a buon mercato”. O quando i giansenisti, con il sostegno di Pascal e delle sue “Provinciali”, accusavano i gesuiti di praticare una “morale rilassata”. Tuttavia, anche oggi, è sempre possibile un fraintendimento sul reale significato della misericordia. Si potrebbe finire con il ritenerla un’utopia, o, peggio, un’idea astratta. Oppure, considerarla sul piano dei sentimenti, delle emozioni, fintanto ad attribuirle un effetto solamente consolatorio o di compatimento.

E invece, la misericordia a cui ci chiama il Giubileo di Francesco, si situa su tutt’altra dimensione. Non contrapposta alla giustizia, ma che va oltre la giustizia per raggiungere una meta più alta e significativa, cioè là dove, dopo il perdono, si sperimenta l’amore di Dio. “Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre”, ha ricordato Francesco. “Il mistero della fede cristiana sembra trovare in questa parola la sua sintesi”. La misericordia è “l’architrave che sorregge la vita della Chiesa”, e, conseguentemente, è la forma necessaria della fede.

Dunque, in quanto fondamento della coscienza morale, potremmo definire la misericordia un insegnamento, anzi, meglio, un comportamento, che fissa le coordinate dello stile di vita del cristiano, il suo essere testimone del Vangelo. E non semplicemente a parole, ma vivendo il Vangelo nella quotidianità, declinando le opere di misericordia nell’esperienza di ogni giorno, di ogni incontro con chi abbia bisogno. Il cristiano sa bene che è Dio ad avergli disegnato la vita; ma sa anche bene che Dio gli ha affidato la responsabilità di completare l’opera della creazione. “Misericordiosi come il Padre”, dice il motto del Giubileo. Se ricevi il dono della misericordia, devi poi sentire l’obbligo interiore di metterla in pratica, di condividerla, di “restituirla”, come aveva fatto il buon samaritano.

Ebbene, tutto sta a vedere se questo Giubileo sarà veramente un tempo di discernimento, di conversione di vita. Allora sì che si metterà in moto quel processo di rinnovamento spirituale che era in cima ai pensieri e agli obiettivi di Francesco; e che poi il Papa era stato costretto a rimandare, sotto l’esplodere degli scandali e la necessità, perciò, di sistemare prima le questioni economico-finanziarie. Ma adesso, con la Porta Santa che si spalancherà sotto tutte le latitudini, facendo scoprire la profondità della misericordia del Padre, e con il rilancio della spinta missionaria del Concilio Vaticano II, i cristiani potranno tornare ad essere, con più credibilità, e più forza, e più coraggio, costruttori di un mondo nuovo.

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