Marta è cresciuta lontana da Dio. Dopo la sua morte improvvisa i suoi genitori, Rosella ed Eugenio, hanno scoperto la fede. E l’amore vero“Cara figlia mia, ho finalmente dato un senso alla mia e alla tua vita, ho dato un senso alla tua morte che morte poi non è, ho dato un senso al mio dolore, ora che quel dolore si è trasformato in gioia”. Inizia così la lettera di Rosa Maria (Rosella) alla figlia Marta, a quattro anni dalla sua morte, avvenuta in un incidente stradale il 7 ottobre 2011, quando aveva appena 22 anni. Marta era figlia unica, a lungo cercata e arrivata dopo un percorso di cure. “È cresciuta lontana da Dio, perché io non avevo la fede, ero molto lontana” racconta Rosella. Era esonerata dall’ora di religione a scuola, non ha ricevuto la Comunione né la Cresima. Il suo è stato un funerale laico. Quel giorno, il sipario è calato sulla vita di Rosella ed Eugenio, i suoi genitori. Buio, vuoto, fino alla freddezza anche tra loro, troppo impegnati a non far pesare l’uno all’altro il proprio dolore. Ma questa è “una storia di resurrezione” dicono entrambi, ritornati alla vita fino a ritrovarsi uniti in un amore prima sconosciuto. Un amore che ha un nome, Gesù, che ha un luogo, Medjugorje prima e ora la comunità dei cappuccini dell’Istituto Sacra Famiglia di Cesano Boscone, cittadina alle porte di Milano.
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“Con cuore umile e provato dal dolore sono arrivata a Dio”. Dopo 6/7 mesi dalla perdita della figlia, Rosella sente una collega parlare di un pellegrinaggio a Medjugorje e decide di andare.
Non sa neanche perché, all’ultimo vorrebbe tirarsi indietro – “io non pregavo e non volevo stare vicino a persone che pregavano, mi davano fastidio, li consideravo esaltati” – ma alla fine parte, “da sola e nuda, senza niente, non mi porto niente se non dolore e disperazione, vuota”. Sui suoi passi incontra un giovane frate a cui chiede di pregare per Marta, “perché io non so pregare. Lui mi dice: Prego per Marta ma tu prega per te stessa, chiedi alla Madonna di aiutarti a sopportare questo dolore. Ma io non so pregare. Parla con Lei , come a una mamma”. E così è successo. “Scendo da quel colle e comincio a pregare con gli altri. Mi confesso e prendo la mia ‘prima’ eucaristia, da lì comincia cammino in Cristo”.
“Il mio dolore strada di salvezza”. Rosella torna, ma ha bisogno di un luogo in cui capire cosa le è successo. Scopre che nel suo paese c’è una chiesetta nell’Istituto Sacra Famiglia, che accoglie i disabili. “Sono andata lì, e lì sono rimasta. Lì c’è il dolore ma è un dolore che dà gioia, perché c’è gioia, c’è Cristo”. Comincia ad andare a Messa e “giorno dopo giorno il Signore ha colmato il mio vuoto, giorno dopo giorno il mio pianto si è asciugato”. E si porta dietro Eugenio: “All’inizio ero scettico… ma vedevo che lei stava sempre meglio, e io sempre peggio, allora un giorno ho deciso andare”. Il turbamento è forte, davanti alla sofferenza che vede, rimane scioccato, ma da quel giorno “non ho più saltato una Messa” e l’istituto è diventato per lui una seconda casa. L’anno seguente accompagna la moglie a Medjugorje e anche per lui succede qualcosa: “Ho capito che Marta era viva e stava bene, era in cielo e vegliava su di noi”. Seguono altri passi, altri pellegrinaggi e “ogni volta veniva tolto un pezzettino di dolore. E come in puzzle ogni volta aggiungevo un pezzettino e la figura che mi veniva davanti era quella di Gesù”.
Per Rosella ed Eugenio la vita ricomincia. Scoprono nuovi amici, pregano per chi vicino a loro ancora non comprende. Dove lavora Eugenio c’è anche una cappella. “All’inizio mi vergognavo ad andare a pregare, avevo paura che mi prendessero come un pazzo che col dolore si è bruciato il cervello… ma io sono quello di prima, con la fede in più”. Rosella il suo lavoro l’ha lasciato, si dedica totalmente al volontariato, in primis alla Sacra Famiglia.
“Quando mancano i figli ti sembra di non avere più una famiglia. Ma Gesù ci ha unito in un cammino di fede e abbiamo cominciato a scoprire che possiamo essere ancora famiglia. Abbiamo una famiglia grande, non necessariamente quella che noi abbiamo generato”. Eugenio la raggiunge appena può, soprattutto il fine settimana. Il “regalo più grande” dice, che il Signore gli ha fatto: “Queste persone sono disabili a livello fisico, mentale ma non certo nel cuore… l’amore che ricevo da loro è gratuito, e non me lo sarei mai aspettato da persone che facevo fatica a frequentare. Sono persone meravigliose, ma che senza il Signore non avrei mai potuto incontrare”.
Anche con Marta tutto è cambiato. “Ancora mi manca fisicamente, sono nella sofferenza – confida Eugenio -, ma il Signore mi dà sempre una possibilità, con un segno, un incontro, una telefonata, mi fa cambiare totalmente stato d’animo. Non sono nella felicità piena ma sono sereno, posso affrontare la vita, ho ricominciato a vivere”. Tra madre e figlia il rapporto è sempre particolare, sicuramente più conflittuale. Ma ora è diverso: “Ora siamo tutte e due figlie di un unico Padre – dice Rosella -. Ora è lei che mi guida dove c’è la mano del Signore, dove devo vedere le bellezze del Signore. È un rapporto di amore puro. A volte gli dico: basta, fermati…”. Rosella sente di avere “una marcia in più, perché ho una figlia in Cielo e sono molto orgogliosa di questa figlia in cielo, sono contenta perché lei mi guida anche se ci sono momenti di dolore… ma il Signore mi manda sempre qualcuno a cui donare il mio amore”. Così si conclude la lettera di questa madre a sua figlia: “Ora puoi andare (…) Buon viaggio figlia mia, per sempre ritrovarci nel Suo grande e misericordioso cuore”.