Daniel Prieto
In questi periodi di guerra, solo una parola potrà restituirci la pace interiore ed esteriore a cui tanto aneliamo: Padre. In realtà sono due, perché bisognerebbe aggiungere nostro, ovvero Padre Nostro. E non mi riferisco a un Padre qualsiasi, ovviamente con il dovuto rispetto nei confronti di chi merita questo titolo. Dobbiamo essere sinceri: tutti conosciamo la fragilità umana, anche tra i migliori rappresentanti della nostra stirpe.
Che Padre invocheremo allora in questi giorni perché ci porti la tanto agognata notte di pace e d’amore? Quale Padre sarà capace di un’impresa così audace, per non dire impossibile? Solo uno: quello che è nei cieli. Solo Dio. Se Dio non è Padre, non c’è nulla che ci trasformi in una famiglia. Se Dio non è nostro, risulta forzato e perfino ridicolo continuare a fingere di essere fratelli. E se non siamo fratelli, in nome di quale principio potremo invocare e stabilire la pace? Senza questo vincolo, nessun sillogismo resiste, e col tempo cadiamo, e a ragione, in quelle idee aberranti per cui “homo homini lupus”, l’uomo è un lupo per il fratello, o nella degradazione più radicale perfino un inferno.
È stato per impedire che avvenissero queste follie che Cristo è venuto sulla Terra, per ricordarci, rivelarci e ricostituire quell’identità perduta e dimenticata di figli, figli dello stesso Padre, quello che è nei cieli. Tutto si può riassumere in quella preghiera che ci ha insegnato Gesù e che Tertulliano definiva la breve sintesi di tutto il Vangelo: “Padre nostro, che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno…” Quanto poco serve per entrare, come diceva Joseph Ratzinger, nel cuore stesso della Trinità! Per questo Gesù è venuto sulla Terra:
“Egli ci rende così partecipi del suo pregare, ci introduce nel dialogo interiore dell’ Amore trinitario, solleva per così dire le nostre umane necessità fino al cuore di Dio. Questo però significa anche che le parole del Padre nostro indicano la via verso la preghiera interiore, rappresentano orientamenti fondamentali per la nostra esistenza, vogliono conformarci a immagine del Figlio. Il significato del Padre nostro va oltre la comunicazione di parole di preghiera. Vuole formare il nostro essere, vuole esercitarci nei sentimenti di Gesù (cfr. Fil 2,5)”.
Quanto altro tempo continueremo a resistere ad accettare quello che siamo? Per quanto ancora potremo rifiutare la nostra identità e impedire che si compia la Buona Novella che il Signore ci ha portato? Perché continuare ad alimentare l’odio e la divisione anziché la pace e la riconciliazione? Non è ancora troppo tardi per cambiare i fatti.
Il futuro è nostro, perché abbiamo per Padre il Signore del cosmo. Ogni granello conta. Iniziamo dalla nostra casa, dalle nostre famiglie. Dio ci concede ogni anno il periodo liturgico per ricordare quello che ci ha portato Cristo duemila anni fa quando è venuto sulla terra. Si avvicina il Natale, possiamo ancora essere figli nel Figlio, figli e quindi fratelli. Possiamo accoglierlo perché regnino la sua pace e il suo amore. È possibile, basta fare il primo passo. Ripetiamo con fiducia un’altra volta le parole del Maestro, ripetiamole insieme come fratelli che siamo: “Padre nostro, che sei nei cieli…”
[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]