di Silvia Ordóñez
Shubham Banerjee è un ragazzino di 13 anni che ha inventato una stampante Braille quando ne aveva 12. No, non è un personaggio dei romanzi, ma un adolescente che ha creato la propria impresa per produrre stampanti per ciechi a basso costo semplicemente con Lego e un dispositivo Intel. La sua ispirazione è stato un volantino arrivato a casa sua in cui si chiedevano donazioni per i non vedenti. Shubham si è chiesto: “Cosa farei se fossi cieco?”, e ha iniziato a pensare a tutte le cose semplici che si perderebbe: “il volto degli amici, una partita di calcio o leggere un libro”.
Quante volte ci mettiamo nei panni degli altri? Diamo per scontato ciò che abbiamo? Ma, cosa più importante, quante volte queste domande esistenziali o queste idee restano soltanto questo? Idee senza azioni?
Se un bambino di 12 anni è capace di costruire una stampante con i Lego, tutto quello che diciamo per non fare qualcosa per gli altri è un pretesto. Come dice Shuban in questo minidocumentario, “Inventare è splendido perché non hai bisogno di una fabbrica, non devi avere una certa età, puoi essere chiunque”. Sì, qualsiasi essere umano che voglia mettere i suoi talenti al servizio degli altri e uscire dalla sua zona di comfort può cambiare delle vite.
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Pensiamo agli apostoli. Hanno lasciato le proprie famiglie e tutto quello che avevano per seguire Gesù, per trovare la verità e trasmetterla. Forse se ci lasciamo indietro la paura e agiamo come strumenti di Dio possiamo fare cose grandi, come diceva Madre Teresa di Calcutta: “Molti piccoli strumenti nelle mani di Dio possono fare miracoli”.
Qualche giorno fa, durante la sua visita in Kenya, papa Francesco ha sottolineato che la tolleranza, il rispetto e la ricerca del bene comune sono l’obiettivo fondamentale, ma ha detto anche che “l’esperienza dimostra che la violenza, il conflitto e il terrorismo si alimentano con la paura, la sfiducia e la disperazione, che nascono dalla povertà e dalla frustrazione”.
Sarebbe bene rispondere a queste domande: cosa stiamo facendo per perseguire il bene comune? Forse siamo seduti in poltrona a guardare il telegiornale dicendo “Questo mondo è sempre più pazzo”, ma siamo più pazzi noi che non facciamo niente al riguardo.
La domenica dopo gli attentati di Parigi, il sacerdote che ha celebrato la Messa a cui ho assistito diceva che spesso con i nostri atteggiamenti negativi, con dimostrazioni razziste e gesti di disprezzo nei confronti del prossimo stiamo contribuendo indirettamente ai grandi conflitti – perché questi ragazzi e giovani cresciuti in ambienti ostili sono quelli che in un modo o nell’altro iniziano ad essere coinvolti in bande che cercano vendetta e odio, perché non possiamo aspettarci di ricevere amore se diamo il contrario. Ha anche rivolto un appello ad essere “operatori di pace”, a compiere lo sforzo di accogliere “gli altri”, quelli che sono diversi da noi, quelli che vivono nelle nostre città perché sono fuggiti da situazioni difficili, ad avere attenzioni che diano allegria e in sostanza, come diceva San Francesco, ad essere “strumenti di pace”.
E se in questo mondo competitivo di titoli e riconoscimenti iniziassimo ad essere laureati in solidarietà, ad essere ingegneri del bene comune, e conseguissimo un master in pace?
Iniziamo a rispondere alla domanda che ci pone questo video: e io cosa farò?
[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]