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Maometto ha chiesto in una lettera di difendere i cristiani?

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Gelsomino Del Guercio - Aleteia - pubblicato il 27/11/15
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Come vanno trattati i cristiani da parte di coloro che professano la fede islamica? Una domanda quanto mai attuale in un periodo in cui il terrorismo islamico è entrato a gamba tesa in Occidente, come dimostrano le recenti stragi di Parigi.

In realtà una risposta al quesito la darebbe una lettera che alcuni studiosi hanno attribuito proprio al profeta Maometto (che l’avrebbe scritta a mano) un tempo conservata e custodita come una cosa sacra nel monastero di Santa Caterina nel Sinai d’Egitto. In tale documento il profeta Maometto difenderebbe il culto cristiano e i suoi seguaci.

PRESUNTA PROTEZIONE AI CRISTIANI
In particolare, scrive altritempi.info (giugno 2015), il profeta Maometto, con tale documento, accordava assoluta protezione ai cristiani e ai loro luoghi di culto. Il profeta volle ringraziare così i monaci cristiani di Santa Caterina perché, a sua volta, era stato accolto e protetto dai suoi nemici all’interno delle mastodontiche mura che difendono il monastero.

IL “SANTO TESTAMENTO”
Il documento che segue viene denominato il ‘Achtiname di Muhammad’, è noto anche come il Patto o Santo Testamento del profeta Maometto. La lettera è un ‘ahdname’ (atto o accordo dal valore giuridico in uso all’epoca, ndr) e si chiude con un’impronta che rappresenterebbe la mano di Maometto.

A TUTELA DI MONACI E FEDELI
«Ogni volta che monaci, fedeli e pellegrini si riuniscono – si legge – sia in una montagna o valle, o tana, o luogo frequentato, o semplice, o la chiesa, o in luoghi di culto, in verità Dio è su di loro e li protegge, e protegge le loro proprietà e la loro morale, anche da me stesso, dai miei amici e dai miei assistenti, perché sono dei soggetti sotto la mia protezione. Io li esento da tale atti che li possano turbare; degli oneri che sono pagati da altri come un giuramento di fedeltà».

UN FALSO STORICO
Fin qui il testo. Ma Riccardo Robuschi, teologo e scrittore esperto di Islam, spiega ad Aleteia i “pro” e i “contro” di questo documento. «La lettera del monastero di Santa Caterina è un falso che si ritiene dovuto agli stessi monaci – premette Robuschi -. Non pare infatti che Maometto sapesse scrivere, anche se si è avvalso di scrivani. Neppure le più antiche biografie musulmane di Maometto (VIII-IX sec.) parlano mai di un suo rifugio a Santa Caterina, ma solo di un gruppo di suoi compagni che temendo la persecuzione dei concittadini pagani della Mecca trovarono rifugio nel 615 presso il re cristiano d’Etiopia».

UNA SCELTA DI CONVENIENZA
Il documento, prosegue l’esperto d’Islam, «è stato però avvalorato dalle tribù sinaitiche che pur convertitesi dal Cristianesimo all’Islam hanno sempre difeso, anche per commerciale convenienza, il monastero e i pellegrini cristiani e talora anche i musulmani che visitavano il luogo della manifestazione di Dio a Mosè nel roveto ardente (non ci sono invece stati pellegrini ebrei perché non hanno mai riconosciuto l’identità mosaica del luogo)».

CONTENUTI IN LINEA CON I DETTAMI ISLAMICI
Nonostante questo, il contenuto della lettera – e questo è un punto cruciale – «corrisponde nel complesso alla tradizione musulmana sui rapporti con i cristiani che si ritrova nel Corano e soprattutto nei detti attribuiti a Maometto, secondo i quali i cristiani – sottolinea Robuschi – possono conservare e praticare le proprie chiese e i monasteri a condizione che si sottomettano all’Islam pagando tutti, e non solo i ricchi, un tributo da cui sono effettivamente esentati i monaci e i poveri».

“NO ALL’UCCISIONE DI MONACI, DONNE E BAMBINI”
I monaci, come le donne e i bambini, continua lo scrittore, «non debbono inoltre essere uccisi neppure in guerra a meno che non abbiano preso personalmente le armi contro i musulmani. Non è però vero che fosse concesso ai cristiani di costruire nuove chiese. Questo è stato permesso solo in alcuni Stati islamici e solo di recente e non senza difficoltà».

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INTEGRALISMO DEVIATO
Le tesi di Robuschi sono avvalorate dall’analisi che l’Islamista dell’Università Cattolica di Milano, Paolo Branca, fa in “Guerra e pace nel Corano” (edizioni Messaggero Padova). «L’integralismo – sentenzia Branca – non sarebbe soltanto un’espressione deviata e aberrante di una tradizione religiosa che si poggia su tutt’altri fondamenti, ma troverebbe in questa delle cause predisponenti, se non addirittura i presupposti della sua stessa esistenza».

IL CORANO E’ LIBRO DI PACE
Integralismo, dunque, come visione errata dell’Islam. Tant’è che «nei primi dodici anni della sua predicazione», evidenzia Branca, il profeta Muhammad «ha seguito piuttosto una strada se non di conciliazione almeno di coesistenza tanto con il paganesimo quanto con i seguaci delle altre fedi monoteistiche precedenti». D’altro canto nel Corano l’opera di pacificazione è considerata meritoria: «Chi poi perdona, e fa pace fra sé e l’avversario, gliene darà mercede Iddio, perché Dio non ama gli iniqui»(42.40). E si esorta a non esasperare i conflitti, preferendo la conciliazione quando non vi sia malafede: “E quando vengon da te coloro che credono nei Nostri Segni di’ loro: “La pace sia con voi! Iddio s’è prescritto la misericordia, cosicché chi di voi ha fatto del male per ignoranza, ma poi s’è pentito e s’è migliorato, ebbene Dio è pietoso e clemente”» (6.54).

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NO A GUERRE PER OPPORTUNISMO
Dunque se da una parte non è contemplata una guerra incentrata sulla supremazia dell’Islam rispetto alle altre religioni, dall’altra non  contemplato che i musulmani avallino una guerra orientata alla conquista di beni materiali per arricchirsi come pozzi petroliferi (un’altra delle accuse rivolte all’Isis). Il Corano, ricorda Branca, stigmatizza chiaramente il comportamento di chi preferisce lo scontro per assicurarsi dei vantaggi materiali: «O voi che credete! Quando v’ingaggiate nella Via di Dio, state bene attenti, e non dite a chi vi porge il saluto di “Pace!”, “Tu non sei credente!per desiderio dei beni effimeri del mondo. Anzi, presso Dio c’è bottino abbondante. Così voi facevate prima, ma ora Dio v’ha colmato dei suoi favori” » (4.94).

ISLAM “EUROPEO” NON SEMPRE E’ AUTENTICO
Allora che tipo di Islam è quello macchiato dal terrorismo, e che oggi siamo costretti ad affrontare? In un altro suo testo, “Noi e l’Islam” (Edizioni Messaggero Padova), l’islamista della Cattolica, in relazione all’Islam che si predica in Europa osserva: «L’Islam con il quale ci troviamo a dover fare i conti, non è quello tradizionale del Nordafrica, del Medio Oriente o dell’area indo-pakistana, nonostante i suoi seguaci che vivono tra noi se ne ritengano spesso gli interpreti più fedeli e coerenti, contestando più o meno esplicitamente la pretesa dei loro paesi d’origine (o quantomeno delle loro classi dirigenti) di essere autenticamente musulmani».

ALTERNATIVO E MODERNISTA
Per uno dei frequenti paradossi della storia, «essi sono senza dubbio portatori di usi e costumi fortemente impregnati della loro tradizione religiosa, ma nello stesso tempo aderiscono a un Islam sempre più “deterritorializzato”, idealmente in concorrenza – quando non in aperto conflitto – con quello delle terre natie. Un Islam, dunque, figlio e prodotto della modernità, anche se apparentemente a essa ostile e intenzionalmente alternativo, che per di più trova le condizioni ideali per svilupparsi ed esprimersi proprio nel tanto odiato Occidente, che gli garantisce diritti e gli offre opportunità inimmaginabili nei luoghi dai quali esso proviene».

“ROMA O COSTANTINOPOLI?”
Branca racconta un aneddoto che è emblematico di come l’Islam “europeizzato”, quello di Salah e degli altri terroristi di Parigi, ad esempio, sia fortemente deviato. «Si narra che, un giorno, i compagni di Maometto gli abbiano chiesto: “O Inviato di Dio, sarà conquistata prima Roma o Costantinopoli?”. Egli avrebbe risposto: “Prima Costantinopoli”, lasciando intendere che successivamente anche Roma sarebbe passata sotto il dominio dell’Islam. L’autenticità del detto è dubbia, come quella di molte altre sentenze attribuite al Profeta, ma ciò non toglie che alcuni – musulmani di nascita – vi prestino fede, vagheggiando di diffondere la loro fede nel loro Paese d’adozione tanto da assimilarlo al Dâr al-islâm (territorio, o casa, dell’Islam)».

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