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Dopo Parigi, riconciliarci con la paura per reimparare il timore del peccato

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Enzo Romeo - Credere - pubblicato il 26/11/15
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Abbiamo sempre detto che non dobbiamo farci irretire dalla paura, cadendo nella trappola dei terroristi. Ma dopo quanto accaduto a Parigi dobbiamo anche dire che non bisogna aver paura della paura. Quando non diventa panico, la paura può produrre effetti benefici: ci rende più prudenti, ci fa tenere gli occhi aperti e porre attenzione a cose essenziali a cui di solito non badiamo. Vale anche per le questioni di fede. La più grande delle paure, quella che compendia tutte le altre, la paura della morte, è spesso la chiave che ci apre al mondo religioso, che ci mette in connessione con Dio. Le domande “ultime”, che ci proiettano su un “oltre” fatale ma intangibile, spesso sono ornate di paura.

Riconoscerlo è doloroso, eppure sappiamo che i grandi perché della vita passano anche dalle immagini di una strage compiuta tra giovani inermi, uccisi mentre gli assassini gridavano – bestemmiando – «Allahu akbar!». Il coraggio non è nel non aver paura, ma nell’affrontarla, nel dominarla, nel darle un senso. Trasformandola da catena che ci inchioda a un ceppo a compagna discreta di viaggio, che ogni tanto ci avvisa dei pericoli e consente di guardare un po’ più lontano. Senza la leva della paura dell’Isis, ad esempio, non ci sarebbe stato il riavvicinamento Russia-Stati Uniti all’ultimo G20.

Dopo aver violato il patto con Dio, Adamo ne ha paura. La paura lo fa sentire nudo. E il servo infingardo per paura del padrone nasconde la moneta anziché metterla a frutto. Ma c’è anche la paura di Mosè, che lo fa scappare dal faraone che trama per ucciderlo. O quella di Giuseppe, che teme che Archelao, re della Giudea, faccia del male a Gesù e preferisce tornare a Nazareth.

La tradizione ebraica insegna che solo lo stolto non ha timore del peccato. E quanto peccato abbiamo visto a Parigi, quanto ne vediamo attraverso tv e computer in Siria, Iraq, Libia, Nigeria… L’ultimo dei doni dello Spirito, il timore di Dio, è l’abbandono umile tra le sue braccia di Padre.

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