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Le radici di un’accusa antica

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Lucetta Scaraffia - L'Osservatore Romano - pubblicato il 08/11/15
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Chiesa e omosessualità nella storiaLa Chiesa ribadisce che ogni persona, indipendentemente dalla propria tendenza sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto, con la cura di evitare «ogni marchio di ingiusta discriminazione» si legge nel documento finale del sinodo. E si aggiunge che la Chiesa è contraria al matrimonio fra omosessuali, e soprattutto alle pressioni che vengono fatte da istituzioni internazionali per obbligare i cattolici ad accettare innovazioni contrarie al concetto di matrimonio che ha trasmesso la tradizione cristiana.

Oscar Wilde in una foto del 1882

A molti questa affermazione non basta, anche perché la Chiesa non solo continua a essere criticata per il rifiuto del matrimonio fra omosessuali, ormai diventato una sorta di obbligo per chi vuole salvarsi dall’accusa di omofobia, ma viene considerata all’origine di ogni forma di repressione sessuale esercitata nel passato.

Senza dubbio il cristianesimo — dando una inedita importanza a ciò che si fa con il corpo a motivo dell’Incarnazione — ha esercitato una pressione di disciplinamento della vita sessuale rispetto alle società antiche, dove però questa libertà significava in sostanza asservimento fisico di giovani schiavi di ambo i sessi. Nella tradizione ebraica e in quella cristiana la condanna dell’omosessualità si fa risalire all’episodio biblico di Sodoma e Gomorra, ma al centro dell’elaborazione giuridica e teologica non esisteva la figura dell’omosessuale, ma solo dell’uomo travolto dalla lussuria che cadeva nel peccato.

Quando fra il XII e il XIII secolo la sodomia cominciò a essere considerata come peccato contro natura, questo non ci si riferiva all’atto sessuale in sé, ma a una questione più complessa che si fondava sul concetto morale di natura umana. Si pensava infatti che la natura umana, creata da Dio, fosse orientata verso una fruttuosità dei comportamenti: contronatura allora sono tutti coloro che ostacolavano con le loro scelte quell’equilibrio naturale che rendeva possibile la vita nella comunità, cioè gli usurai, gli avari e i sodomiti. In sostanza, chi anteponeva il proprio interesse ovvero piacere privato a quello pubblico.

I sodomiti vennero quindi assimilati agli usurai e agli avari, e per questo considerati peccatori contro la creazione del bene comune. Ma sicuramente considerati esseri umani come gli altri, che potevano essere riaccolti dalla Chiesa se pentiti. Solo in Spagna l’Inquisizione assimilò l’omosessualità alla cultura islamica, e la punì come eresia. Sarà poi nel secolo dei Lumi che la medicina e la cultura cominceranno a scoprire un carattere e una fisiologia dell’omosessualità, mentre la Chiesa continuava a considerarli peccatori e non delinquenti o malati.

Non è un caso quindi che, a partire dal XVIII secolo, nei Paesi cattolici l’omosessualità non sia stata mai punita con la pena del carcere, come sperimentò Oscar Wilde, finito in carcere per omosessualità a Londra, dove scrisse uno dei più bei panegirici del cristianesimo, il De profundis.

Nell’Ottocento la Chiesa si oppose risolutamente alla visione dell’omosessualità come malattia ereditaria propugnata dagli eugenisti, che portò non poche volte alla reclusione in ospedali e/o a cure anche dolorose degli omosessuali, per arrivare addirittura al progetto di eliminazione fisica avviato dal nazismo.

Come non accettò allora di aderire a progetti di emarginazione e reclusione degli omosessuali avviati dai governi di alcuni Paesi — considerandoli esseri umani come gli altri, da trattare con dignità e rispetto, se pure caduti nel peccato — così la Chiesa non aderisce oggi alle pressioni che riceve da alcune istituzioni internazionali per allargare il matrimonio alle coppie dello stesso sesso. Una posizione che in entrambe le occasioni non è stata compresa: prima, perché si consideravano gli ecclesiastici privi di formazione scientifica, oggi perché li si considera rigidi di fronte alle novità, se non addirittura nemici degli omosessuali.

La storia serve a capire molte cose, anche a comprendere che in società nelle quali la mortalità di donne e bambini era altissima e rendeva molto difficile mantenere la continuità demografica di un gruppo umano, ogni defezione dal dovere di procreare poteva essere considerata una trasgressione alle leggi che regolavano il bene comune, piuttosto che condannata per fanatico moralismo.

 

QUI L’ARTICOLO ORIGINALE

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