Ieri, alla luce del nuovo film Spotlight, che richiama le rivelazioni del The Boston Globe sullo scandalo degli abusi sessuali da parte di membri del clero, abbiamo parlato con due sopravvissuti agli abusi sessuali da parte di sacerdoti e di come hanno trovato la guarigione nel corso degli anni. Oggi continuiamo la nostra serie, parlando con altre due persone che sono state colpite dagli abusi sessuali, in modi che non riusciremmo a sospettare.
Carrie Bucalo scrive un blog sulla sua esperienza. “Monica” è uno pseudonimo che abbiamo usato per la madre di un sopravvissuto che ha chiesto di mantenere l’anonimato.
Carrie Bucalo
Nonostante l’enfasi sui sacerdoti in occasione dello scandalo del 2002, gli abusi possono venire anche da altre fonti – zii, amici di famiglia, allenatori… Nel caso di Carrie Bucalo, il colpevole è stato il suo stesso padre, che ha usato gli insegnamenti della Chiesa per scusare il suo abuso. Il male commesso, afferma Carrie, è tuttavia simile alla ferita inflitta alle persone abusate da sacerdoti.
“Indipendentemente da chi sia la persona che commette gli abusi, alla fin fine l’immagine di Dio ne viene influenzata”, ha raccontato Carrie in un’intervista. “Quando hai un bambino in qualche modo subordinato e qualcuno che ha autorità su di te, è automaticamente una situazione che richiama l’immagine di Dio. Potrebbe essere un genitore, un insegnante, un allenatore, un sacerdote… I genitori riflettono l’autorità, la tenerezza, l’amore, la protezione di Dio. Nel momento in cui qualcuno fa un cattivo uso della sua autorità, la ferita non è solo quella fisica, ma anche quella spirituale, perché il rapporto con Dio viene danneggiato”.
Il padre di Carrie era un convertito ed era diventato un ministro laico molto attivo nella parrocchia locale. Mentre apprendeva la dottrina della Chiesa, ne manipolava alcune parti per giustificare l’abuso della figlia e delle sue sorelle, che allora erano molto giovani.
“Mi ha insegnato la pianificazione familiare naturale per poter abusare sessualmente di me quando il mio corpo ha iniziato a maturare”, ha raccontato. “Malinterpretava le Scritture, soprattutto la parte relativa ad Adamo ed Eva nel giardino dell’Eden, affermando che in casa avremmo dovuto andare in giro nude”.
Era così coinvolto nei ministeri che nella sua mente Carrie collegava l’abuso alla Chiesa, ma pensa che l’aspetto più negativo di tutti fosse il fatto che suo padre interpretasse Gesù nella rappresentazione della passione perché questo gli dava “un collegamento diretto a Cristo e alla croce”.
“Immagino che le vittime degli abusi da parte dei sacerdoti sperimentino qualcosa di simile perché sono state abusate da sacerdoti che offrivano la Messa, per cui mi sento profondamente legata alle vittime degli abusi da parte del clero per questa ragione particolare”, ha affermato.
“Capisco la profondità di quel dolore, e forse ancor di più perché io non arrivavo a casa allontanandomi dalla persona che mi faceva del male. Ero costantamente con il mio abusatore”.
Carrie, che oggi è sposata da dieci anni e ha cinque figli, soffre di disturbo da stress post-traumatico quando cerca di fare adorazione in chiesa, di confessarsi o di recitare il rosario.
Se da una parte il padre ha distorto gli insegnamenti della Chiesa per giustificare i suoi abusi, dall’altra Carrie ha detto di essere stata salvata da un incontro con gli scritti di papa San Giovanni Paolo II. Quando aveva 14 anni, il suo insegnante di religione ha spiegato alla sua classe l’enciclica Veritatis Splendor. Allora era molto difficile da comprendere, ma ha comunque colto il messaggio per cui la verità è una cosa oggettiva che può essere conosciuta a livello oggettivo.
“Ho capito Dio per com’è, che è oggettivo, al di là di quello che chiunque altro voglia dire di Lui”, ha detto. “Avevo bisogno di sentire qualcuno che dicesse una cosa del genere, che Dio ama sempre, è sempre buono, nonostante quello che mi aveva fatto mio padre. Questo ha avviato la mia guarigione. Da allora ho iniziato a leggere quello che la Chiesa insegna sulla sessualità umana”.
Quando cinque anni fa ha creato un sito web per aiutare a dare indicazioni ad altre persone che lottano per superare gli abusi, lo ha chiamato Healed by Truth (Guariti dalla Verità).
Un incontro di giovani a St. Louis nel 1999 e la possibilità di pregare davanti alle reliquie di Santa Teresa di Lisieux l’hanno portata a unirsi all’Ordine carmelitano. Ha trascorso tre anni in convento, un’esperienza che oggi ritiene sia stata provvidenziale.
“Carmelitani come Santa Teresa d’Avila, San Giovanni della Croce e Santa Teresa di Lisieux hanno intrapreso un viaggio spirituale attraverso l’oscurità”, ha detto. “I carmelitani sono quelli che parlano di raggiungere Dio quando le nostre emozioni e i nostri pensieri non si allineano con Lui, quando la nostra vita non sembra allineata a Lui. Perserveriamo e confidiamo nel fatto che Dio ci porterà a Lui, anche se stiamo sperimentando una grande oscurità o difficoltà”.
“Una delle prime cose che dico alle vittime che sperimentano il disturbo da stress post-traumatico con questioni collegate alla fede come andare a Messa, confessarsi, andare in chiesa per qualsiasi ragione, pregare, ecc., è: ‘Se state sperimentando questo disturbo nei confronti di una questione sacramentale, non sentitevi soli. Non siete cattivi cattolici perché lottate con la Messa’. A volte andare a Messa la domenica mi provoca un intenso dolore. Le mie due sorelle più piccole hanno abbandonato la fede cattolica perché per loro era troppo doloroso. Non le giudico. Soffrono terribilmente. Prego per loro”.
È per questo che Carrie crede che la Chiesa dovrebbe garantire l’indulgenza plenaria a chi soffre da disturbo da stress post-traumatico perché possa partecipare ai sacramenti. La Chiesa è una madre, sottolinea la Bucalo, e se i suoi figli soffrono “dovrebbe andare da loro e raggiungerli là dove sono. Molte persone stanno soffrendo per il fatto di praticare la propria fede”.
Nella storia di Carrie c’è posto anche per il perdono. “Non è qualcosa che si dice un giorno. Sono ancora arrabbiata con mio padre. Abbiamo dovuto assicurarci che finisse in prigione”, ha dichiarato. “Quello a cui assomiglia il perdono alla fine della giornata non è desiderare qualche male a chi abusa nel contesto ecclesiale, ma desiderare la sua salvezza e i frutti capaci di portare a Dio nononstante quello che gli altri ci fanno. Anziché farlo diventare un peso ancor più grave sulla nostra anima, offriamolo a Cristo, qualunque sia la ferita che ci portiamo dietro (…) Il perdono alla fin fine ci riporta a Dio, quella verità oggettiva ci porta attraverso gli intrecci della nostra vita e dirige il nostro cuore a Lui, ed è lì che possiamo condurre una vita sana, essere felici, avere la beatitudine. È da Lui che deriva tutto questo”.
“Monica”
La storia di Carrie Bucalo di un padre che ha abusato delle tre figlie in casa può essere un estremo, ma la storia di “Monica” è emblematica di come l’abuso di un bambino da parte di un sacerdote possa influire su tutta la famiglia.
Nel 1989 uno dei figli di Monica, che allora aveva 28 anni, le disse di essere stato abusato da un sacerdote dell’arcidiocesi di Boston quando era preadolescente. Il suo comportamento mutato le aveva già suggerito che era successo qualcosa.
“Aveva una ragazza, ma hanno rotto quando lui aveva 16 anni”, ha detto “Monica” in un’intervista. “La sua reazione alla fine della storia è stata del tutto sproporzionata. Piangeva, non si dava pace. Aveva 11 anni quando erano avvenuti gli abusi, e in quegli anni era passato dall’essere un bambino felice a un ragazzino irritabile. Pensavo che fosse solo l’adolescenza”.
Nel corso degli anni, il figlio di “Monica” aveva esternato dei commenti su un sacerdote della parrocchia, e quando ha reagito in modo eccessivo alla rottura con la sua ragazza la madre gli ha chiesto: “Può avere qualcosa a che fare con padre [X]?”
“Lui ha detto: ‘Potrebbe’. E allora ho risposto: ‘Non voglio sapere cos’è successo, ma voglio che tu cerchi aiuto’. A 17 anni è finito in terapia, poi ha smesso di andarci, ma non era mai veramente felice”.
“Gli altri miei cinque figli non hanno capito cosa non andava”, ha aggiunto. “Litigavano con lui tutto il tempo. Era così arrabbiato, così lunatico… Quando non si conosce il motivo c’è un effetto su tutta la famiglia”.
Il sacerdote che ha abusato di suo figlio era stato con loro in parrocchia per cinque anni e potrebbe aver abusato di 40-50 bambini, ha detto “Monica”, ma la gente ha impiegato molto tempo ad accorgersene.
“Quello che mi ha scioccato davvero è stata la capacità di negazione da parte delle famiglie”, ha commentato. “Sai che i tuoi figli andavano in quella scuola, e sai che il sacerdote lavorava lì; sai che le cose sono avvenute in quella scuola, e tuttavia non ammetti che le cose possano essere accadute ai tuoi figli… penso che il motivo sia che i genitori si sentono in colpa. La gente non voleva pensare ‘Non ho guardato mio figlio, non lo sapevo’. E quindi ecco un sobborgo in cui tutto è perfetto… non se ne parla nemmeno”.
Quando è scoppiato lo scandalo nel 2002, “Monica” ha confessato di essere rimasta “scioccata per le cifre che venivano diffuse”.
“Pensavo fosse un’aberrazione, che quel tipo fosse uno stupido o comunque lo vogliate chiamare. Il sacerdote che ha abusato di nostro figlio probabilmente ha danneggiato la vita di più di 200 bambini, dei loro fratelli e delle loro famiglie. Quando ci si ferma a pensarci è allucinante”.
“Monica” sente che con tutta l’attenzione sui sacerdoti e sulle vittime le famiglie di queste ultime “sono passate inosservate – il dolore e il senso di colpa che abbiamo vissuto, pensando che avevamo messo i nostri figli sulla strada del male: ‘Perché non l’ho notato?’; ‘Avrei dovuto proteggerlo’; ‘Mio figlio mi ritiene responsabile?’; ‘Mi odia?’”
Anche se riconosce che l’arcivescovo di Boston, il cardinale Seán P. O’Malley, ha teso la mano alle famiglie e crede che “abbia fatto la differenza quando il papa [Benedetto XVI] ha chiesto scusa”, “Monica” pensa che ci potrebbe essere “di più da parte di Roma nel riconoscere i genitori e i nonni delle vittime. Potrebbe esserci più simpatia, più riconoscimento del dolore e più dispiacere per quello che hanno dovuto affrontare per via della situazione del figlio”.
Il cardinale O’Malley ha ribadito le scuse dell’arcidiocesi di Boston in una dichiarazione rilasciata alla vigilia della diffusione del film Spotlight. “Abbiamo chiesto e continuiamo a chiedere perdono a tutti coloro che sono stati feriti dai crimini degli abusi di minori”, ha affermato, dicendosi “profondamente colpito” dalle storie delle “centinaia di sopravvissuti agli abusi da parte di membri del clero” che ha incontrato negli ultimi dodici anni e confessando di sentirsi “esortato a continuare a lavorare in vista della guarigione e della riconciliazione, sostenendo allo stesso tempo l’impegno a fare tutto il possibile per evitare che qualsiasi bambino venga ferito in futuro”.
[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]