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Le donazioni che riceve la Chiesa sono in nero?

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Padre Henry Vargas Holguín - Aleteia - pubblicato il 06/11/15
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Non dovrebbero esserlo perché è previsto che tutto passi per la contabilità della parrocchia o dell’istituzione religiosaLe donazioni che riceve la Chiesa cattolica – assegni, denaro in busta o nel cestino che si passa in chiesa… – sono in nero? Per rispondere a questa domanda, facciamone un’altra. Cos’è il denaro in nero?

Il denaro in nero è quello che non si dichiara allo Stato o si nasconde da questo anche se proviene da attività legali; spesso il motivo è semplicemente l’evasione fiscale.

Questo denaro va distinto dal denaro sporco, che deriva da attività illegali e che di conseguenza non sarà mai dichiarato al Fisco perché presupporrebbe il fatto di confessare queste attività. In tal modo, il denaro sporco, finché non viene “ripulito”, sarà anche denaro in nero.

La procedura mediante la quale il denaro sporco e/o in nero viene fatto passare per denaro ottenuto legalmente viene definita ripulitura di capitali, e il suo obiettivo è far sì che quel denaro appaia ufficialmente come proveniente da un’attività lecita.

Dire che la Chiesa gestisce denaro in nero equivarrebbe a dire che le sue istituzioni svolgono la propria missione con denaro in nero alle spalle degli organi di controllo finanziario di uno Stato o che con questo denaro risponde ai suoi doveri tributari.

In genere, però, le istituzioni ecclesiali non nascondono denaro allo Stato (se hanno denaro in nero) né ricevono denaro sporco o illegale che poi integrano nella corrente del circuito finanziario. Se si verifica qualche caso di questo tipo, si tratta di un’opzione personale o istituzionale che esula da quello che la Chiesa cerca e insegna.

Di norma, quindi, il denaro amministrato dalla Chiesa non è denaro in nero (perché dichiara tutto quello che deve dichiarare, incluse le donazioni in chiesa), né è denaro sporco (perché è solo frutto della corresponsabilità ecclesiale dei fedeli), né la Chiesa evade le responsabilità tributarie che le spettano.

La Chiesa, con trasparenza, paga le tasse nei vari Stati, e queste tasse si regolano fondamentalmente in base a ciò che è stabilito nei vari concordati (secondo le norme del diritto internazionale).

I concordati (accordi che regolano i rapporti Stato-Chiesa) constano fondamentalmente di due punti:

· Da parte dei vari Stati, riconoscere la personalità giuridico-civile della Chiesa e garantire la libertà di culto, giurisdizione e magistero.

· Da parte della Chiesa cattolica, ci si impegna a ottenere da sé le risorse sufficienti a coprire le proprie necessità.

Esiste quindi un’assoluta indipendenza economica della Chiesa o delle sue istituzioni.

Quali imposte paga la Chiesa?

Le situazioni variano tra Paese e Paese, ma fondamentalmente la Chiesa o le sue istituzioni pagano più o meno queste imposte:

1. L’imposta della rendita delle persone fisiche o naturali. Tutti i chierici pagano le tasse come qualsiasi altro cittadino. La Chiesa paga le imposte corrispondenti per i lavoratori e i servizi.

2. Imposte generali. Ad esempio, la Chiesa paga per tutte le operazioni sottoposte a IVA, salvo qualche eccezione. Se la Chiesa ristruttura un edificio di culto o una casa, paga l’IVA dei lavori, e anche se compra un qualunque bene immobile paga l’IVA.

3. L’imposta di società. Le istituzioni della Chiesa pagano per ogni attività di carattere economico che non fa parte delle loro attività benefiche-sociali-culturali-educative.

4. Contributi di ogni tipo o imposte di beni immobili. I beni di proprietà privata, ovvero quelli che non fanno parte dell’istituzione ecclesiale in quanto tale, pagano le imposte. Gli immobili dedicati all’attività di insegnamento non ecclesiastico ma secolare, anche se sono della Chiesa, pagano i rispettivi contributi, come nel caso delle scuole strettamente private.

La Chiesa paga le tasse e “gode” di alcune esenzioni (anche perché è un’entità senza scopo di lucro). Metto la parola “gode” tra parentesi perché non è propriamente un privilegio, ma un atto di giustizia visto che la Chiesa fa risparmiare allo Stato molto nell’esercizio della sua missione o nella prestazione dei servizi che dovrebbe sviluppare l’amministrazione pubblica.

Nessuno deve dubitare del fatto evidente che le attività ecclesiali abbiano un’utilità pubblica.

La Chiesa è un’istituzione libera, e quello che chiede a qualsiasi Stato è un trattamento in base al riconoscimento oggettivo dell’utilità pubblica di tutte le entità che senza scopo di lucro collaborano con lo Stato nella realizzazione degli interessi generali.

Le diocesi hanno un consiglio economico di presbiteri e laici, ai quali ogni anno viene presentato un bilancio della situazione finanziaria.

Nelle parrocchie, i fedeli che fanno parte del consiglio economico parrocchiale – organismo posto sotto la supervisione del parroco – amministrano le offerte, e alla fine dell’anno le parrocchie presentano ai fedeli e alla diocesi il bilancio economico. Le diocesi, a loro volta, fanno lo stesso presso gli organismi dello Stato.

Tutte le informazioni finanziarie di ogni diocesi vengono rese note ogni 5 anni alla Santa Sede.

Ogni anno la Chiesa offre le informazioni generali sul suo funzionamento all’organismo di controllo di ogni Stato. Le dichiarazioni fiscali delle istituzioni della Chiesa sono riviste con relativa frequenza dal Fisco, verificando che i tributi siano stati conformi alla legge.

La Chiesa cattolica offre quindi conti chiari e trasparenti agli organismi statali e non solo con numeri, ma anche e soprattutto con un resoconto annuale che riporta numerose opere soprattutto nell’ambito socio-caritativo.

La Chiesa non solo agisce “mano nella mano” con lo Stato, ma arriva anche dove lo Stato non è presente, con qualità, generosità e impegno.

A volte nei mezzi di comunicazione circolano informazioni che contengono imprecisioni, incoerenze e anche falsità manifeste. Molti vogliono attaccare in modo tendenzioso la credibilità della Chiesa.

Altre volte, è vero, bisogna lamentare situazioni poco etiche messe in atto da alcuni membri della Chiesa.

La Chiesa come ente patrimoniale unico, però, non esiste. Quello che esiste sono istituzioni che godono della personalità data loro dalla legislazione canonica e da quella civile (diocesi, ordini religiosi, parrocchie, associazioni e fondazioni).

Tutte queste entità hanno la propria autonomia totale, di modo che risulta assurdo parlare della Chiesa nel suo insieme in termini finanziari, e ancor più assurdo pretendere che poche entità o persone concrete rappresentino la Chiesa nel suo insieme.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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