Il fenomeno di sequestri, conversioni e matrimoni forzati a cui sono costrette le donne delle minoranze religiose conta oltre 1000 casi documentati l’annodi Paolo Affatato
Aveva detto «no». Nella sua libertà, non voleva sposare quell’uomo musulmano che la pretendeva, tantomeno convertirsi all’islam. Per questo Sonia Bibi, ventenne cristiana di Multan, è stata cosparsa di benzina e arsa viva dal suo aguzzino. Oggi è in ospedale dove lotta tra la vita e la morte, con ustioni sull’80% del corpo. La brutale violenza di Latif Ahmed, ora in carcere, è scoppiata dopo l’ennesimo rifiuto della proposta di matrimonio.
L’episodio riporta all’attenzione nazionale e internazionale il radicato fenomeno di ragazze delle minoranze religiose (cristiane e indù) rapite, stuprate, vittime di abusi e violenze e costrette al matrimonio islamico.
La pratica è endemica in Pakistan e, secondo fonti dell’agenzia vaticana Fides, tocca circa mille ragazze ogni anno. Si inserisce nel quadro della condizione di subalternità della donna nella società pakistana, specie nelle aree rurali.Le donne appartenenti alle minoranze religiose, però, sono doppiamente vulnerabili dato che gli uomini musulmani si sentono garantiti dall’impunità nel commettere tali abusi e trovano spesso il sostegno della polizia e della magistratura.
«È molto difficile avere giustizia e arrivare a una punizione per i responsabili. Spesso in questi casi, la polizia non agisce o, peggio, si schiera con gli stupratori», osserva l’avvocato cristiano Sardar Mushtaq Gill, che ha seguito diversi casi. «Le famiglie cristiane o i testimoni subiscono pressioni per ritirare le denunce. La violenza su donne e bambini delle minoranze religiose spesso avviene in silenzio: le storie non emergono», spiega.
L’avvocato racconta un’altra vicenda esemplificativa che ha seguito: Fouzia, 25 anni, donna cristiana sposata e madre di tre figli è stata rapita da un uomo musulmano, Muhammad Nazir, 55 anni, nel luglio scorso. L’uomo l’ha convertita forzatamente all’islam e resa sua moglie. Nazir è un proprietario terriero e nei suoi terreni lavoravano Fouzia e tutta la sua famiglia, poveri braccianti, nell’area di Pattoki, in Punjab. Dopo la denuncia, Nazir ha avvertito che la donna è diventata musulmana, minacciando «gravi conseguenze» se la famiglia di Fouzia avesse protestato.
Le storie seguono un cliché: la famiglia della vittima presenta denuncia ma il rapitore presenta una contro-denuncia, affermando che la donna «ha compiuto una scelta volontaria». Nella maggior parte dei casi, le vittime sono adolescenti minorenni e sono sottoposte a violenza sessuale e abusi domestici. Se si arriva davanti al giudice, le ragazze, minacciate e sotto indicibili pressioni, confermano la libera scelta e depongono a favore dei loro aguzzini. Così il caso viene chiuso. Raramente, conclude l’avvocato Gill, tali casi si concludono con il ritorno delle ragazze alle loro famiglie di origine.
Il fenomeno trova conferma nelle ricerche di ong e centri studi indipendenti, come il rapporto pubblicato dall’organizzazione pakistana Aurat Foundation, con sede a Karachi. Nel suo rapporto titolato «Matrimoni forzati e privazione dell’eredità», la Fondazione racconta la difficile condizione delle donne in Pakistan, affrontando lo specifico tema della discriminazione religiosa.
«Il reato di conversione forzata all’islam è ampiamente diffuso ma non viene preso in adeguata considerazione dalla polizia e dalla autorità civili», nota il testo.
«Tali casi mancano di serie indagini che provino il meccanismo che si instaura», denuncia il rapporto. Un fatto appare determinante: «Nel momento in cui viene presentata la denuncia e nasce la controversia, le ragazze, fino all’udienza in tribunale, restano in custodia dei rapitori e subiscono traumi e violenze di ogni tipo». Si dice loro che «ormai sono musulmane e, se cambieranno religione, la punizione per gli apostati è la morte».
La Aurat Foundation, che ha presentato una proposta di legge per impedire le conversioni forzate, invita la polizia e le autorità civili a smascherare questa pratica e a salvare le ragazze delle minoranze religiose.
È vero che di recente il governo della provincia del Punjab pakistano, ha varato un progetto di legge per la tutela delle donne vittime di violenza, prevedendo l’istituzione di commissioni di vigilanza e istituendo «centri speciali» per l’accoglienza e la cura delle vittime che forniscono assistenza completa, incluso accompagnamento psicologico e assistenza legale. Il primo centro verrà aperto a proprio Multan.
Tuttavia in Pakistan, lo spazio e la libertà per le minoranze etniche e religiose si va continuamente restringendo: è quanto ha affermato di recente l’Istituto Jinnah, prestigioso centro studi con sede a Karachi, intitolato al fondatore del Pakistan, Ali Jinnah. L’istituto ha deplorato «la radicalizzazione della società».