Nel mirino della stampa Romeo e Deodato, i membri del collegio del Consiglio di Stato che ha confermato la nullità delle trascrizione delle nozze gay in ComuneSi può essere giudici e cattolici contemporaneamente? Il “si” sembrerebbe una risposta piuttosto scontata. Come sarebbe normalissimo essere magistrati non credenti oppure avere fedi differenti da quella cattolica.
Eppure è stata sufficiente una sentenza, quella del Consiglio di Stato, che ha dato ragione ai prefetti nell’annullamento delle trascrizioni delle nozze gay in Comune, che un’ovvietà si trasformasse in un terremoto mediatico.
ROMEO E L’OPUS DEI
Il Corriere della Sera (28 ottobre) ha addirittura evocato un complotto. «Il sospetto di una sentenza “di parte” si rafforza con il trascorrere delle ore». Il problema, secondo il Corriere, è che il collegio dei cinque giudici del Consiglio di Stato «è guidato da un numerario dell’Opus Dei, la società fondata da Josemaría Escrivá de Balaguer che promuove la militanza religiosa anche attraverso severi esercizi spirituali. Si tratta di Giuseppe Romeo, ex presidente del Centro Studi Torrescalla di Milano dell’Opus Dei».
DEODATO, “GIURISTA CATTOLICO”
Mentre estensore della sentenza è l’ormai famoso «Carlo Deodato, che nella bio su Twitter si definisce “Giurista, cattolico, sposato e padre di due figli. Uomo libero e osservatore indipendente di politica, giurisdizione, costumi, società”».
Secondo il Corriere sono questi due indizi a stabilire una prova: cioè che la sentenza dell’annullamento delle nozze gay potrebbe essere «pilotata».
IL “REATO” DEI RETWEET
L’indice è puntato sopratutto sul profilo twitter di Deodato. Come scrive Il Foglio (28 ottobre), «in un paese in cui le opinioni dovrebbero essere libere, è uscito un titolo come quello del sito di Repubblica: “Nozze gay, i retweet anti-gender del magistrato del Consiglio di stato”, per inchiodare all’infamia morale via gogna mediatica».
L’IRONIA DE IL FOGLIO
Che poi questi tweet, di così omofobo, cosa avrebbero? Il giornale ne cita alcuni: «@matteomatzuzzi: “Mentre i cristiani vengono perseguitati, in Francia si discute di neutralità”»; «@ProVita–Tweet: “Perché il #Dono più #Grande è la #Vita”». Nei retweet del giudice anche messaggi di Sentinelle in Piedi e Papa Francesco che Aleteia vi mostra qui.
Per i siti più giornalisticamente illibati, conclude Il Foglio, «che Deodato potesse anche solo far parte di un collegio della Consulta è cosa che “fa discutere”. Per tutti gli altri, e per gli odiatori seriali da social media è semplicemente cosa che grida vendetta».
“HO APPLICATO LA LEGGE”
Le accuse sono state smontate anche dallo stesso Deodato, in maniera peraltro logica. «Ho solo applicato la legge in modo a-ideologico e rigoroso, lasciando fuori le convinzioni personali che non hanno avuto alcuna influenza», ha detto il giudice all’Ansa (27 ottobre).
“NESSUN INQUINAMENTO IDEOLOGICO”
Il giudice aggiunge a La Repubblica (28 ottobre): «Ritengo che la decisione assunta sia tecnicamente e giuridicamente corretta, senza alcun inquinamento ideologico. Le accuse che mi sono state indirizzate sono tutte riferite a un mio presunto pregiudizio ideologico, ma non al merito della decisione, che invito tutti a leggere con animo sereno e distaccato». Il Consiglio di Stato non ha fatto altro che «confermare quanto aveva già stabilito il Tar del Lazio, nei confronti del quale non mi ricordo che siano state formulate le medesime critiche…».
“OPINIONI GIUDICE NON INCIDONO SU FUNZIONE”
Deodato evidenzia: «Le opinioni personali e la formazione culturale che appartengono a ogni giudice, e che possono essere espresse in diverse forme, non incidono in alcun modo sull’esercizio della funzione giurisdizionale. Un buon giudice è quello che applica la legge assumendo decisioni coerenti con essa, senza farsi in alcun modo condizionare dai propri convincimenti di ordine politico, morale, o religioso».