È il “rispetto reciproco” la “condizione” e il “fine” del dialogo interreligioso. Un rispetto che dà sostanza al dialogo che “non può che essere aperto e rispettoso”. Lo ha affermato Papa Francesco all’udienza generale presieduta in Piazza San Pietro, nel giorno esatto in cui – 50 anni fa – Paolo VI firmava la “Nostra aetate”, il documento conciliare sul dialogo con le religioni non cristiane. L’udienza, cui hanno preso parte esponenti di varie fedi, è stata introdotta da due saluti dei cardinali Kurt Koch e Jean-Louis Tauran, a capo rispettivamente dei dicasteri dell’Unità dei Cristiani e del Dialogo Interreligioso.
Qualche minuto di una preghiera silenziosa e comune, gli abiti di varia foggia a testimoniare la prossimità tra fedi diverse accanto al Papa. Questo silenzio finale è stato forse la parola più forte di una udienza generale dall’andamento leggermente diverso dal solito.
Siamo diventati amici
Per alcuni istanti, lo “Spirito di Assisi”, evocato da Francesco e suscitato quasi 30 anni fa da Giovanni Paolo II – ha spirato in modo tangibile tra la folla di Piazza San Pietro, alla quale il Papa ha voluto spiegare in modo semplice e diretto perché quel testo conciliare firmato da Paolo VI il 28 ottobre 1965, la “Nostra aetate”, abbia cambiato per sempre l’approccio della Chiesa con le altre fedi. In particolare ha parlato della trasformazione del rapporto tra cristiani ed ebrei:
“Da nemici ed estranei, siamo diventati amici e fratelli. Il Concilio, con la Dichiarazione Nostra ætate, ha tracciato la via: ‘sì’ alla riscoperta delle radici ebraiche del cristianesimo; “no” ad ogni forma di antisemitismo e condanna di ogni ingiuria, discriminazione e persecuzione che ne derivano”.
Chi crede, prega
“La Chiesa – assicura Francesco – guarda con stima i credenti di tutte le religioni” e ne apprezza “l’impegno spirituale e morale”. Un impegno che il Papa intende come una collaborazione a tutto campo – dal lavoro comune per la pace alla lotta contro la miseria, la corruzione, il degrado ambientale e soprattutto contro la violenza che si fa scudo di Dio e così facendo suscita, riconosce Francesco, il “sospetto” o addirittura la “condanna delle religioni”:
“Noi credenti non abbiamo ricette per questi problemi, ma abbiamo una grande risorsa: la preghiera. E noi credenti preghiamo. Dobbiamo pregare. La preghiera è il nostro tesoro, a cui attingiamo secondo le rispettive tradizioni, per chiedere i doni ai quali anela l’umanità”.
Cura reciproca
Certo, ammette il Papa, nessuna religione “è immune dal rischio di deviazioni fondamentalistiche o estremistiche”, ma si tratta “di alzare lo sguardo e di andare avanti” verso un tipo di dialogo – afferma – che sia “aperto e rispettoso”:
“Il rispetto reciproco è condizione e, nello stesso tempo, fine del dialogo interreligioso (…) Il dialogo basato sul fiducioso rispetto può portare semi di bene che a loro volta diventano germogli di amicizia e di collaborazione in tanti campi, e soprattutto nel servizio ai poveri, ai piccoli, agli anziani, nell’accoglienza dei migranti, nell’attenzione a chi è escluso. Possiamo camminare insieme prendendoci cura gli uni degli altri e del creato. Tutti i credenti di ogni religione”.
“Armonia delle diversità”
Questa attenzione specie alle fasce più deboli, suggerisce il Papa, avrà un’“occasione propizia” per essere praticata durante l’ormai vicino Anno Santo. Ma la “misericordia alla quale siamo chiamati – chiarisce Francesco – abbraccia tutto il creato, che Dio ci ha affidato perché ne siamo custodi, e non sfruttatori o, peggio ancora, distruttori. Dovremmo sempre proporci di lasciare il mondo migliore di come l’abbiamo trovato”, lavorando di comune accordo:
“Siamo fratelli! Senza il Signore, nulla è possibile; con Lui, tutto lo diventa! Possa la nostra preghiera – ognuno secondo la propria tradizione – possa aderire pienamente alla volontà di Dio, il quale desidera che tutti gli uomini si riconoscano fratelli e vivano come tali, formando la grande famiglia umana nell’armonia delle diversità”.
Francesco, che aveva aperto l’udienza generale con il consueto saluto ai malati ospitati per via del maltempo in Aula Paolo VI, l’ha conclusa salutando e abbracciando i rappresentanti religiosi assieme a lui sul sagrato della Piazza.