Il cardiologo romano, cresciuto con i salesiani, era noto per aver fondato l’ambulatorio popolare e perché girava nelle periferie a “cercare” pazienti per poterli curare
Era il medico dei poveri, dei clochard, degli sfrattati, dei migranti, degli ultimi. Un “eroe minimo” e molto amato, Antonio Calabrò, cardiologo del Fatebenefratelli, di Roma, dove si è spento dopo alcuni mesi di ricovero il 18 ottobre. Una vita spesa tra il grande ospedale e il suo quartiere, quello che sorge attorno alla chiesa di Don Bosco, periferia sud-est della Capitale (La Repubblica, 21 ottobre).
STUDIAVA LA TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE
Calabrò è infatti cresciuto nell’oratorio dei Salesiani. Una formazione cattolica e cristiana, coltivata studiando i libri dei teologi della liberazione ma poi portata in strada, al servizio dei poveri. Fervente militante pacifista, tra le sue sciarpette ne aveva una con i colori dell’arcobaleno e con quella, e una borsa da dottore, andava in giro.
L’AMBULATORIO POPOLARE
A Cinecittà era diventato amico, tra gli altri, di Sandro Medici, ex presidente del X Municipio. Si erano conosciuti nel 2008, quando insieme promossero l’ambulatorio popolare in un container installato in piazza dei Decemviri. «Lo facemmo e basta – racconta Medici – senza mettersi in fila a chiedere autorizzazioni che mai sarebbero arrivate, finanziamenti né sostegni che mai avremmo ottenuto».
«VISITAVA CHIUNQUE LO CHIEDEVA»
Lì Calabrò passava due pomeriggi a settimana a visitare chiunque ne avesse bisogno, a misurare la pressione e fare elettrocardiogrammi, a prescrivere farmaci e rimedi. «Sempre a star dietro a chi aveva bisogno di essere aiutato e curato. Non ti bastava lavorare in ospedale, dovevi per forza fare di più», ricorda ancora Medici (Il Manifesto, 20 ottobre).
COME SAN FRANCESCO
«Eri un po’ come San Francesco; e ora possiamo anche dircelo che in fondo ti piaceva sentirtelo dire. Per quanto privo di terrene vanità, qualche piccolo narcisismo – sorride l’amico – te lo concedevi: se non altro, perché indossavi spesso sciarpette civettuole e amavi andartene in giro soavemente spettinato».
QUELLA “CACCIA” ALLA DONNA PARTORIENTE
Tra i flash più commoventi, il supporto di Calabrò ad una ragazza africana: quando si era presentata nel suo container, era sul punto di partorire. E poi era sparita. Allora Antonio si mise a cercarla e la trovò, finalmente, in una baracca sull’Aniene. La portò al Fatebenefratelli, e le permise di partorire al sicuro».
IL RAPPORTO “CONFLITTUALE” CON LA CHIESA
Calabrò faceva ambulatorio anche nel centro di accoglienza per persone sfrattate, inaugurato durante la giunta Veltroni e ancora operativo, alle spalle dell’ippodromo Capannelle. «Avevamo adibito un locale al pianterreno ad ambulatorio e Antonio veniva spesso anche lì. Riusciva a dialogare con tutti: dai ragazzi dei centri sociali ai salesiani della parrocchia: era molto cattolico, ma con la chiesa aveva un rapporto dialogico, a volte conflittuale» (Redattore Sociale, 20 ottobre).