Nella Chiesa del III secolodi Manlio Simonetti
«Quanti sono stati già illuminati, hanno gustato i doni celesti e sono diventati partecipi dello Spirito santo, se incorrono nel peccato, è impossibile rinnovarli a pentimento». Così recita la Lettera agli Ebrei (6, 4-6), vietando che potesse essere perdonato e riammesso nella comunione della Chiesa chi, purificato dei precedenti peccati in forza del battesimo, fosse incorso successivamente in una grave colpa; il divieto viene ribadito anche altrove nella lettera.
Nell’ambito della cristianità delle origini è questa pressoché l’unica testimonianza di una presa di coscienza del problema posto dal seguace di Cristo che fosse incorso in un grave peccato dopo il battesimo. In effetti la consapevolezza che il battesimo aveva fatto rinascere il neofita a nuova vita difficilmente permetteva che si potesse comunque prendere in considerazione l’eventualità che chi fosse stato purificato dei peccati della vita precedente in grazia del lavacro battesimale, potesse di nuovo ricadere nell’abominio della vita precedente.
Ma l’uomo è costituzionalmente fragile e quell’eventualità si realizza. Forse già l’autore della Lettera agli Ebrei non si limitava a teorizzare ma aveva di mira qualche fatto concreto di questo genere, e comunque questa possibilità diventa certezza nella Roma cristiana di Erma, autore del Pastore, parecchi anni dopo quella testimonianza, intorno al 140. Nel suo scritto Erma si rivolge ai peccatori post-battesimali della comunità romana, ripetendo instancabilmente: Vi è ora offerta eccezionalmente la possibilità di pentirvi dei vostri peccati ed essere riammessi nella Chiesa; affrettatevi perciò a pentirvi sinceramente, perché il tempo sta per scadere.
Per molto tempo, sulla traccia della proibizione sancita dalla Lettera agli Ebrei, si era creduto che i peccatori ai quali Erma si rivolge fossero stati estromessi dalla comunità, ma una considerazione più attenta della complessa problematica che emerge dal Pastore ci convince che nella comunità cristiana di Roma intorno alla metà del II secolo non era ancora in vigore una normativa precisa e vincolante riguardo ai peccatori post-battesimali. Quello che è certo è che Erma invita i peccatori a cogliere in fretta la possibilità straordinaria, offerta loro per una sola volta, di pentirsi dei loro peccati, senza che da lui venga avvertita l’esigenza che il problema derivante dalla presenza, nella comunità, di questi peccatori fosse proposto e discusso in modo esplicito.
Era per altro una questione importante, e nella Storia della Chiesa di Eusebio leggiamo (IV 23) che, intorno al 160, Dionigi, vescovo di Corinto, ebbe a polemizzare con alcuni colleghi di comunità orientali, che gli facevano carico di essere troppo propenso a riammettere i peccatori post-battesimali nella comunità. Sono solo pochi accenni, mentre è ben altrimenti consistente la nostra documentazione riguardo alla polemica che si ebbe a Roma, intorno al 220, tra il vescovo Callisto e un ignoto personaggio, autore di uno scritto, giunto a noi sotto il nome evidentemente falso di Origene, riguardante le eresie (Èlenchos), intorno al quale si è molto e male almanaccato e che per comodità definiamo come Autore dell’Èlenchos. È proprio il suo racconto che, per quanto tutt’altro che obiettivo, ci informa su questi fatti.
A capo di una conventicola di non molti seguaci, egli polemizza aspramente con Callisto per motivi di argomento sia dottrinale sia disciplinare. Quanto ai primi, basterà accennare che egli professava, riguardo a Cristo, una dottrina che ne accentuava, in quanto Parola (Logos) di Dio Padre, il carattere personale e compiutamente divino, e che perciò Callisto considera vera e propria forma di diteismo. Qui ci interessa invece soprattutto la polemica d’ordine disciplinare: egli fa carico (ix 12) a Callisto di accogliere nella comunità fedeli che erano incorsi, dopo il battesimo, in peccati anche molto gravi, al che il vescovo replica che Noè nell’arca aveva accolto animali puri e impuri senza distinzione, e che nella semina descritta nel vangelo di Matteo (13, 24-30) insieme col grano cresceva anche la zizania, e solo dopo che la crescita si fosse completata la zizania sarebbe stata separata dal grano.