Quale ruolo ha avuto la Chiesa nello sviluppo dell’impegno politico dei cattolici e con quali esiti? Un libro che verrà presentato alla Camera lo raccontaVenerdì 23 nell’ambito di una iniziativa culturale alla Camera dei Deputati “Il volume della Democrazia” , giornata dedicata al “libro politico” a Montecitorio, verrà presentato il volume edito da Città Nuova “La politica dei cattolici. Dal Risorgimento ad oggi” degli storici Paolo Pombeni e Michele Marchi. In occasione di questo evento Aleteia ha rivolto alcune domande circa il ruolo dei cattolici in Italia agli autori del volume.
Professor Pombeni, la storia della politica e del cattolicesimo è una storia travagliata sin dall’Unità d’Italia, come si è evoluto il Magistero nei confronti della democrazia, come è nata e come è stata superata questa sfiducia?
Pombeni: L’origine della sfiducia nella democrazia deriva dal giudizio errato che il papato e le gerarchie diedero all’inizio dell’Ottocento: la convinzione che la democrazia significasse automaticamente ripudio di una visione gerarchica nel governo delle verità rivelate così come gestito da parte del papato romano. Liberarsi da questo pre-giudizio non fu facile, anche perché va ricordato che una parte del pensiero liberale era fortemente ostile alla chiesa. La svolta avviene, in maniera silenziosa e senza aperta dissociazione da quanto era stato erroneamente sostenuto, con Leone XIII, il quale capisce che fra la democrazia come sistema politico e il governo della sfera religiosa non c’è connessione necessaria. La democrazia diventa così un sistema tollerato, sebbene la cultura tradizionale di gran parte delle gerarchie e del clero continui a vederla con ostilità. Il definitivo cambio di passo avviene con Pio XII fra il 1943 e il 1945. E’ a fronte del ruolo liberatorio che le democrazie assumono contro le dittature nazista e fascista, il cui carattere anticristiano era divenuto evidente con il modo di gestione della guerra, che il papato assume che la democrazia sia il modo più aderente all’insegnamento cattolico per gestire la sfera politica. Naturalmente deve trattarsi di una democrazia che, se solo possibile, si definisca “cristiana”, cioè accetti di farsi inquadrare nell’insegnamento sociale della chiesa.
Il Papato si era convinto di poter ricostruire una società cristiana appoggiandosi al Fascismo, una nuova edizione dell’alleanza tra “trono ed altare”? Una prospettiva che la Chiesa insegue ancora secondo lei? Come hanno inciso il Vaticano II e un pontefice come Paolo VI su queste questioni?
Pombeni: Dopo le tensioni che avevano caratterizzato il primo dopoguerra e a fronte della instaurazione del comunismo in Russia che così minacciava di espandersi in occidente, il Papato guardò con una qualche benevolenza non tanto al fascismo movimento, quanto al fascismo regime, il quale del resto era formalmente prodigo di riconoscimenti verso la chiesa cattolica. Non si tratta in senso proprio di una riedizione dell’alleanza fra trono ed altare, perché questa volta la Chiesa continuava a mantenere, sia pure senza dirlo, una consapevolezza che quel regime non era proprio il meglio che ci si potesse aspettare e infatti questo spiega perché poi il fascismo fu abbandonato al suo destino senza problemi.
La Chiesa poi non ha mai smesso di sperare di poter essere una forza che dava un apporto ad un governo “positivo” dell’evoluzione storica. In sé non si tratta di una prospettiva negativa, purché non scivoli nella presunzione di poter guidare direttamente i processi politici mettendo i cattolici attivi in politica in situazione di minorità. Purtroppo questo è accaduto spesso nel secondo dopoguerra e solo quando c’è stata una maturità del laicato cattolico capace di resistere a queste esorbitanti pretese si è riusciti ad evitare guai.
Il Vaticano II poi ha inciso in maniera positiva sull’accettazione del riconoscimento di una indipendenza della storia politica da pretese di ingerenza clericale. Naturalmente c’è voluto del tempo perché questa dottrina diventasse moneta corrente per una gerarchia che faceva fatica a rinunciare ad un ruolo dirigente anche nella sfera politica e sociale. Paolo VI per tanti punti di vista era pienamente consapevole di questa necessità, ma poi ogni tanto nella pratica fu limitato dal timore che questo favorisse uno sviluppo della secolarizzazione a discapito della tenuta della presenza sociale della chiesa.
Statisti di chiarissima fede cristiana e di grandissima levatura politica come De Gasperi o Moro si sono anche spesso distinti per la loro autonomia dalla Chiesa e perfino dalle indicazioni del Papa. La Democrazia Cristiana svolgeva così il suo ruolo democratico, ma tradiva la sua ispirazione di fondo? Ma le due cose possono camminare insieme?
Pombeni: De Gasperi, Moro ed altri ebbero un ruolo di primo piano nel testimoniare che la fede cattolica in politica è un lievito per migliorare la qualità della “pasta” della vita sociale e istituzionale. Essi si limitarono a non tenere conto di indicazioni che venivano da una gerarchia che non esercitava il suo carisma di interprete del Vangelo e di guida verso la salvezza, ma soggiaceva alla tentazione di fare essa stessa “politica” senza accettare che nel momento in cui scendeva su quel terreno doveva rassegnarsi ad essere trattata alla stregua di qualsiasi altro militante politico (incluso il fatto di essere sconfessata per i suoi errori).
Il discorso sulla “democrazia cristiana” è più complesso. Su questo tema c’è un bel discorso di Giuseppe Dossetti del 1962 recentemente pubblicato dal Mulino: se la democrazia cristiana deve venire intesa come una via per instaurare il regno di Dio in terra questa è una prospettiva persino blasfema (nessun uomo o forza umana può pensare di riuscire a farlo). Se invece la DC accetta di essere una forza politica che, con il rischio di tutta la sua dialettica interna, propugna una politica orientata al bene dell’uomo e delle comunità in cui questo vive, essa fa quanto il messaggio cristiano chiede ad ogni “uomo pubblico”. Poi ovviamente non è detto che sempre le cose riescano: si può essere animati da sincere buone intenzioni e non essere capaci di capire fino in fondo cosa Dio si aspetta da noi. Si deve poi essere coscienti che essendo tutto azione di uomini fallibili va accettato che ogni realizzazione sia anche nel migliore dei casi un risultato parziale ed intermedio.
Per questo io davvero penso che un’azione dei cattolici possa senza problemi essere un servizio alla democrazia in piena aderenza coi valori di fondo del messaggio cristiano.
Dottor Marchi, con la dissoluzione della DC, l’area cattolica e il suo personale politico si è sparso tra destra e sinistra, andando a costituire quelle aree definite appunto “centrodestra” e “centrosinistra”, categorie che sono vissute per circa un ventennio. Con l’avvento di Renzi e del “Partito della Nazione” siamo ad una ricostituzione di quell’area politica o è qualcosa di completamente diverso? Il Renzi-scout è un frutto del movimentismo cattolico oppure è qualcosa di completamente differente sul piano culturale?
Marchi: La dissoluzione della Democrazia Cristiana di inizio anni Novanta è il frutto del concatenarsi di una serie di fattori interni al mondo cattolico italiano, ma anche esogeni rispetto ad esso, maggiormente legati all’evoluzione politico-istituzionale del Paese e alle dinamiche di uscita dalla contrapposizione tra i due blocchi della cosiddetta Guerra fredda. Cerco di spiegarmi meglio e di semplificare un nodo problematico che necessiterebbe di ben altro spazio per essere sviluppato. Esauritasi la fase della ricostruzione e della collocazione del Paese nel solco dell’europeismo e dell’atlantismo, Fanfani e Moro sono i due leader democristiani che tentano di adattare il Paese e il partito dei cattolici alla trasformazione più complessiva della società italiana in una società del benessere, con tutte le ricadute del caso sul fronte della secolarizzazione. L’apertura a sinistra e il processo di laicizzazione della Dc degli anni Sessanta sono l’altra faccia della medaglia di quella grandissima operazione di autoriforma e ingresso nel mondo moderno che la Chiesa cattolica compie con il Concilio Vaticano II. Il punto però è che, quando si liberano energie, in particolare se giovanili, gli esiti non sono facilmente controllabili. Se a questo si unisce la grande crisi della società occidentale capitalistica e industriale di inizio anni Settanta, ecco la vera radice della crisi della DC. La tragica morte di Aldo Moro può essere letta allora come “la fine della DC”, intesa come partito di cattolici, anche se le avvisaglie si erano già avute alcuni anni prima con la fine del collateralismo di Acli, Fuci ecc. e con la vicenda del referendum sul divorzio. La Dc avrebbe retto il sistema per quasi un altro ventennio? Certamente sì, ma lo avrebbe fatto come un “moderno” catch all party, per di più “costretto” a governare in un sistema dominato dalla conventio ad excludendum. Infine su questa evoluzione è piombata come un ciclone la cosiddetta “questione morale” o la mannaia di Tangentopoli che dir si voglia, che ha falcidiato una classe dirigente che però, ci tengo a sottolinearlo, anche da un punto di vista ideale e di proposta politico-intellettuale non era certo paragonabile alla generazione fanfaniana e morotea. Tutto ciò per dire che i richiami alla “vocazione cattolica” di personaggi di primo o secondo piano delle coalizioni di centro-destra e centro-sinistra del post 1994 non erano altro che il tentativo di accreditare un sistema fintamente bipolare, nel quale normalmente si possono trovare politici spinti ad agire all’interno della polis in quanto credenti nello schieramento conservatore o in quello progressista (per utilizzare due categorie non del tutto adeguate, ma un po’ meno inadatte di quelle di destra e sinistra). Insomma se il mio discorso non è risultato troppo confuso, mi pare chiaro che dalla metà degli anni Settanta in poi se la DC è “sempre meno cattolica”, si apre uno spazio importante per l’altro attore che non si deve mai trascurare quando si riflette di ruolo dei cattolici nello spazio politico nazionale, appunto la Chiesa cattolica italiana. Ma di questo accennerò nella prossima risposta. E a proposito del Renzi-scout, spero di aver dato risposta…..
“Atei devoti” e “Cattolici adulti” sono state due categorie che hanno caratterizzato il dibattito politico per diversi anni, ora anche quelle etichette sembrano superate dalla storia, cosa ne pensa
Marchi: Sì sono due categorie, lo premetto subito, che hanno a mio avviso scarso valore storico, ma che segnalano la difficoltà che la Chiesa italiana si è trovata ad affrontare nel momento in cui è entrato in crisi e poi è venuto meno il progetto storico della Dc. Anche in questo caso cerco di spiegarmi meglio. Se il Concilio Vaticano II, semplificando, segna l’ingresso della Chiesa universale nella modernità, l’arrivo al soglio di Pietro di Giovanni Paolo II da un lato è una svolta “geopolitica” di impatto mondiale (e qui si aprirebbe tutto il discorso, che in questo frangente non ci interessa, del ruolo svolto da Wojtyla nella fine dello scontro tra i due blocchi) ma dall’altro assorbe, almeno in parte, anche la cesura che si sta verificando nel contesto propriamente italiano. Giovanni Paolo II incarica la Cei di trasformare la società italiana nel “laboratorio privilegiato di lotta alla secolarizzazione”. Il progetto è già evidente a Roma nel 1976 (Primo Convegno Ecclesiale Evangelizzazione e promozione umana), si affina a Loreto nel 1985 (non a caso nel braccio di ferro tra “presenza” di Cl e “mediazione” di Ac, prevale la “Chiesa come forza sociale” della coppia pontefice-Ruini) e ha il suo acme a Palermo, nel 1995, quando esplicitamente si verifica la chiusura del cerchio e si esplicita la fine di qualsiasi opzione privilegiata nei confronti di uno specifico partito politico. Chiesa più libera? Chiesa trasformata in una sorta di “lobby” a difesa dei cosiddetti “valori non negoziabili”? Certamente, ma soprattutto Chiesa che si trova ad essere sostenuta dai cosiddetti “atei devoti” e criticata più o meno velatamente dai cosiddetti “cattolici adulti”. In realtà, e ritorno questa volta in maniera più diretta alla sua sollecitazione, “atei devoti” e “cattolici adulti” sono due spie del malessere e della difficoltà che la Chiesa italiana ha vissuto nel ventennio abbondante post 1992 caratterizzato dallo strano bipolarismo all’italiana e testimoniano di quanto nonostante il cosiddetto “progetto culturale”, anche la Chiesa italiana abbia sofferto della lunga crisi della DC. Se osserviamo bene le due espressioni certificano entrambe la crisi del laicato cattolico. La prima (“atei devoti”) vorrebbe rappresentare la sintesi di una gerarchia che per accreditare valori cattolici, incentiva la convergenza sulle proprie posizioni di “non cattolici”. La seconda (“cattolici adulti”) cela un desiderio di presa di distanza di una parte del laicato da ingerenze nel politico di natura clericale. Insomma in entrambi i casi l’impressione è quella di una Chiesa cattolica in affanno e non certo in posizione di forza.
Moro aveva intuito che la DC al potere permanentemente aveva compromesso la propria credibilità e perfino tradito se stessa: cosa rimane del pensiero democratico-cristiano oggi? Il popolarismo, il cattolicesimo democratico, hanno ancora spazio nella formazione dei giovani cristiani? Azione Cattolica, Fuci, Acli, hanno ancora un ruolo politico? E se non loro, chi?
Marchi: Del “pensiero democratico-cristiano” credo sinceramente che resti poco. Al contrario quella democristiana (in un’accezione larga e non esclusivamente limitata alle vicende politiche della DC) rimane una decisiva tradizione storica, fatta di credenti che hanno contribuito in maniera determinante a scrivere le regole istituzionali del nostro sistema repubblicano, che hanno condotto il Paese fuori dal secondo conflitto mondiale contribuendo in maniera decisiva a collocarlo nel fronte occidentale ed europeista. E quando parlo di “credenti” mi riferisco a chi ha scelto di testimoniare la propria fede con un impegno all’interno della Dc, ma anche di chi ha militato e operato nello spazio del politico e nelle sue articolazioni economiche e sociali del collateralismo democristiano. La profonda trasformazione delle nostre società europee ed occidentali, il prepotente processo di secolarizzazione e quello di individualizzazione hanno evidentemente contribuito al venire meno della centralità del richiamo religioso nello spazio politico. Questo non significa che da un lato la sfida dell’islam (che si tratti di una forma moderata o di espressioni potenzialmente totalitarie) e dall’altro i temi della bioetica così come quelli della rivisitazione del concetto di famiglia tradizionale o del fine vita, non abbiano addirittura dilatato gli spazi di confronto e di dialogo a proposito della dimensione religiosa. Quella della Dc, del collateralismo e delle filiere formative del laicato cattolico è però una storia conclusa e come tale dovrebbe essere studiata, rispettata e mai, assolutamente saccheggiata, per spingersi in parallelismi che a volte possono far arrossire, ma a volte addirittura, un po’ indignare.