La fama, il successo e la gloria al di sopra di tuttoCome tutti gli anni si avvicina il gran giorno: il galà del Pallone d’Oro, la consacrazione del grande “messia” del dio calcio. Si conoscono già i nomi dei 23 candidati al premio, e ora inizieranno i dibattiti, le opinioni e le valutazioni. Tutti discutiamo del Pallone d’Oro, come se ne andasse della nostra vita. Non ci saranno cose più importanti con cui riempire i giornali? Puro nichilismo.
Malgrado tutto, c’è una questione relativa al Pallone d’Oro e a questo tipo di premi e riconoscimenti che richiama fortemente la mia attenzione: il premio, in questo caso il più importante del mondo del calcio (il grande affare-religione del XXI secolo), è la grande corsa all’onore, al successo e alla fama. Siamo di fronte al grande premio della mondanià, basato sull’immagine, sui trionfi terreni, sul merchandising: show-business allo stato puro.
Ritengo che non ci sia niente di più anticristiano del Pallone d’Oro, e non mi riferisco al fatto che Cristiano Ronaldo debba riceverlo o meno. Dio me ne scampi dall’entrare in questo tipo di discussioni! Sto parlando di cose molto più serie.
Durante la Messa di canonizzazione di quattro nuovi santi, questa domenica, papa Francesco ha affermato che c’è un’“incompatibilità tra onori, successo, fama, trionfi terreni e la logica di Cristo crocifisso”. Per questo, mi azzardo a dire che esiste un’incompatibilità tra premi come il Pallone d’Oro (e altri simili) e la logica di Cristo crocifisso.
Se il calcio a livello professionista è uno sport (cosa della quale dubito), perché non si premiano gli sforzi personali, le risposte eroiche? Perché il dibattito si basa sempre sul semplice rendimento sportivo o anche economico?
Se il calcio è uno “sport” di squadra, perché si premiano le singole persone? Perché si dovrebbe dare il premio a un unico giocatore? Forse il resto della squadra non partecipa al successo?
Il premio del Pallone d’Oro è al giorno d’oggi il grande esponente della mondanità. Si parla di fama e onore, si parla di successo e dell’applauso del mondo. Ancora peggio, stiamo promuovendo idoli di argilla. I nostri giovani finiscono per voler assomigliare ai loro grandi riferimenti calcistici, e senza rendercene conto mostriamo loro che la cosa più importante è il cammino dell’Oro: l’alloro dell’atleta, il sapore della gloria e il potere terreno.
Se esistesse un Pallone d’Oro cristiano (e non esisterà mai), dovrebbe essere tutto il contrario. Un premio al servizio. Al servizio di tutti coloro che tagliano l’erba per le grandi stelle; coloro che vegliano sulla loro sicurezza; quelli che li curano e li viziano nel vestiario; i loro medici, quelli che rinunciano alla propria vita per servire questi “idoli di argilla”.
Perché il cristianesimo è incompatibile con la fama, il successo e l’onore, ma non è incompatibile con il calcio. “C’è invece compatibilità tra Gesù ‘esperto nel patire’ e la nostra sofferenza”, ha affermato il papa nella stessa omelia.
Nel calcio, come in tutti gli ambiti della vita, ci sono dolore e sofferenza. Ci sono lesioni, ci sono storie di superamento, ci sono persone che servono nell’anonimato. Ma questi elementi non trovano spazio, non vendono: sono questioni evangeliche e cristiane molto lontane dall’apparato mediatico ed economico che circonda questi premi calcistici.
[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]