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Concilio Vaticano II, ecco il «Diario» del segretario generale Felici

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Andrea Tornielli - Vatican Insider - pubblicato il 13/10/15
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Un volume di quasi seicento pagine pubblicato dalla Libreria Editrice VaticanaÈ un volume di quasi seicento pagine pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana: «Il “Diario” conciliare di Mons. Pericle Felici, Segretario generale del Concilio Ecumenico Vaticano II» (L.E.V. pp. 589) di Vincenzo Carbone, curato dall’arcivescovo Agostino Marchetto. Un volume che aiuta a rileggere la storia del Concilio Ecumenico Vaticano II attraverso la figura chiave del suo segretario generale Pericle Felici (1911-1982). Quest’ultimo, cardinale dal 1967, aveva affidato al suo collaboratore monsignor Carbone, in caso di morte improvvisa, i suoi «segreti», indicandogli il «nascondiglio» che per essi aveva escogitato: il fondo di un inginocchiatoio, chiuso nella parte inferiore. E così infatti Carbone li trovò e cominciò a studiarne il contenuto. Il libro vede la luce un anno e mezzo dopo la scomparsa del prelato, per tantissimi anni incaricato dell’Archivio del Concilio Vaticano II.

Monsignor Marchetto ha presentato l’opera da lui curata con un’intervista pubblicata su «Editoria Vaticana». Se Felici «non avesse affrontato con perseveranza, a fine giornata, la scrittura del suo Diario, ci mancherebbe questa bella storia di un’amicizia con Dio in Cristo, nello Spirito Santo, e allo stesso tempo di vicende sinodali vissute dal di dentro, in un posto di straordinario servizio e di visione complessiva delle cose». Una raccolta che riunisce gli scritti del segretario generale del Concilio e «permette di conoscere finalmente, dopo 50 anni dalla chiusura del Concilio, una fonte per me decisiva, sebbene non ufficiale, che acquista un posto particolarissimo di rilievo fra i molti Diari finora pubblicati».

Felici, spiega Marchetto, ebbe un ruolo chiave nel Concilio, «la lettura del suo “Diario” poi ce lo conferma ampiamente suscitando meraviglia per la vastità, laboriosità, profondità e delicatezza del suo impegno. Da ciò l’importanza della funzione e il suo contributo nella soluzione delle questioni, sempre secondo l’indirizzo papale… Ricorderò soltanto la sua proposta che la direzione del magno Sinodo fosse affidata a 4 o 5 Eminentissimi, il suo schierarsi per la questione famosa dei quesiti circa la collegialità e il diaconato da sottoporre ai Padri, con la distruzione delle prime schede preparate dai Moderatori. Inoltre tutto il prodigarsi per una collegialità che non ferisse il Primato del Successore di Pietro».

Ancora, «per quanto riguarda la questione della condanna del comunismo e del relativo ricorso di Mons. Carli, è la proposta di soluzione del Segretario generale a essere accettata dal Pontefice e da tutti. Significativo è pure quanto Felici suggerisce a Paolo VI, il 05/05/1965, cioè di “lasciare gli organi direttivi del Concilio già come sono; solo si dovrebbe raccomandare ai Moderatori di essere veramente tali; non dovrebbero prendere posizione per questa o quell’altra tendenza, né esprimere opinioni personali. E il Santo Padre è d’accordo; è il suo pensiero”».

Dal «Diario», afferma Marchetto, «emerge chiarissima la soddisfazione di Papa Giovanni per il lavoro di preparazione al Concilio compiuto dal Segretariato guidato da Mons. Felici.

Già il 3/1/62 infatti il Vescovo di Roma aveva annunciato a Felici che egli sarebbe stato il Segretario generale del Concilio. Comunque tutti i testi del ’60 rivelano un grande intendimento fra i due e la benevolenza e predilezione del Sommo Pontefice. Ma la nomina è resa pubblica solo contemporaneamente al Motu Proprio di indizione del Concilio. Da segnalare è il fatto che il Sommo Pontefice il 21/5/62 esprime chiaramente la sua volontà che gli schemi preparatori, sui quali porrà delle note a commento (25/7/62), siano pastorali. La data di inizio è decisa il 28/1/62, ma invero già l’11/4/61 il Papa aveva menzionato l’autunno ’62. Felici pensa di fatto a tre sessioni, mentre il Papa ne desidera due, auspicando la chiusura del Vaticano II in coincidenza con la celebrazione dell’anniversario del Concilio di Trento».

Dalla lettura del volume scritto da un prelato curiale qual era Felici, emerge una visione della Curia non idilliaca «poiché risultano evidenti – sostiene Marchetto – le sue “malattie”, indicate recentemente dallo stesso Papa Francesco. Esse sono spesso rilevate, con dolore, da Felici, cioè, ripetiamo, invidia, gelosia, corsa ai posti di “comando”, carrierismo insomma. Le difficoltà furono tali che sorse in lui perfino la tentazione di dimettersi (7/5/62). Il Papa gli rispose “Per carità no, non ci pensi neppure”. A completamento indicativo, ricordo un altro “sfogo” di Felici affidato al Diario per quanto concerne l’accusa a lui rivolta di essere “il manutengolo della Curia Romana”. “Se sapessero costoro – si lagna fra sé e sé – quanto ho dovuto soffrire per alcuni suoi Prelati”! E aggiunge “se la campagna [denigratoria] continuerà potranno cambiarmi mestiere e ne ringrazierei Iddio”».

Infine, dal «Diario» emerge anche la profonda spiritualità di Felici, «potrei aggiungere tradizionale spiritualità – afferma Marchetto – con aggettivo che nulla toglie a profondità e autenticità, anzi. Egli spesso si analizza per quanto riguarda la tentazione della superbia. Manifesta un proposito fermo: “Voglio vivere in umiltà: soggetto sempre al tuo volere, accettando fin d’ora la morte, quando e come tu la vorrai, in perfetto atto di amore; lavorando con tutto l’impegno dove tu vorrai. Per bocca del tuo Vicario mi hai assegnato il lavoro; lavorerò come meglio potrò”. Si badi bene che tutte queste felici disposizioni spirituali furono messe a dura prova durante il Concilio anche per le difficoltà di salute. Spiritualità tradizionale la sua? Egli stesso si esamina (21/6/64), osservando quasi con distacco: “Talora io penso come possa essere toccato a me l’ufficio di Segretario del Concilio Ecumenico. Un po’ per carattere, un po’ per formazione, un po’ per ministero esercitato con certi orientamenti, io mi trovo a condividere nella dottrina e nella pratica alcune posizioni che si è convenuto chiamare tradizionali, pur guardando con serenità – così mi sembra – a delle aperture, che possono migliorare gli spiriti e renderli più adatti alla diffusione del vero e del bene”».

«In ogni caso il Segretario generale ha coscienza d’aver “parlato con molta franchezza con tutti, con il Papa anzitutto, il quale penso abbia apprezzato molto il mio atteggiamento, che sicuramente non può procurare altro che tensione nervosa, fastidio ed inimicizie” (4/12/63). Comunque è certo il fatto che Paolo VI gli affida sempre più gravi incombenze. Ecco dunque l’uomo in croce.

Un ultimo tratto da rilevare viene dalla considerazione della pastoralità di Mons. Felici, lui che dimostra tenere così tanto alla dottrina. Scrisse: “Soprattutto devo pensare che sono qui sulla terra non per dormire, ma per trafficare con un’ampia e intelligente negoziazione i tesori che il Signore mi ha affidati. Il pensiero dell’inferno è salutare; devo meditarlo spesso e predicarlo” (06/10/60).

E ora che dire? Cinquant’anni dopo possiamo legittimamente domandarci: come ci troveremmo senza la bussola del Concilio nel periglioso mare di questo inizio di III millennio? Da ciò nasce in noi l’amore riconoscente al Concilio Ecumenico Vaticano II, quello vero, dei Padri».

 

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