L’epurazione delle fiabe classiche dalla scuola elementare francese è solo l’ultimo attacco del politicamente corretto ad un bene essenziale: la cultura critica.E’ probabilmente doveroso prendere sul serio l’affermazione della ministra francese dell’Istruzione Najat Vallaud-Belkacem, che ha deciso di dare battaglia – in nome della parità di genere – anche a favole ormai entrante nell’immaginario collettivo, come Cenerentola e Cappuccetto Rosso. La ministra – secondo quanto riportato da Le Figaro – ha sottolineato che la stesura dei nuovi programmi delle elementari “sono un’occasione importante per migliorare i libri di scuola e prevenire stereotipi e discriminazioni che alimentano l’ineguaglianza tra gli alunni”.
La ministra ha citato uno studio del centro Hubertine Auclert secondo cui molte favole sono spesso “imbottite di rappresentazioni sessiste” e in cui si sostiene che in quasi tutte le fiabe i personaggi femminili sono vittime di stereotipi e bambine e donne vengono spesso rappresentate in cucina o mentre svolgono faccende domestiche (AdnKronos, 12 ottobre).
Quasi contestualmente veniamo a sapere – in realtà già da alcuni mesi – che alla Columbia University (New York) il comitato che vigila sul multiculturalismo dell’istituto ha chiesto di segnalare il “trigger warning” sulle opere letterarie, ovvero la presenza di una vasta gamma di argomenti giudicati offensivi (razzismo, sessismo, colonialismo, classismo, stupri, rappresentazioni di guerra). Al centro della discussione le Metamorfosi di Ovidio, con i miti di Dafne e Proserpina. La colpa? Aver infranto il senso di sicurezza di una studentessa che era stata violentata.
Su un tema come questo si è espressa con grande chiarezza la professoressa Ombretta Frau, Ordinaria di Lingua e Letteratura Italiana, al Mount Holyoke College (in Massachussets) sul suo blog sull’Huffington Post nel quale ricorda come: “Ho avuto modo di insegnare la Dafne di Ovidio nell’ambito di un corso sullo stupro e l’ho discussa in modo franco con i miei studenti. Non ho cercato di diminuire o trivializzare l’orrore descritto da Ovidio. Ho cercato di sensibilizzare i miei studenti alla situazione storica e culturale descritta. Sebbene si tratti di letture non sempre facili, perché dovremmo voltare la schiena a millenni di cultura da cui possiamo ancora imparare tanto?” (Huffington Post, 18 maggio).
Questa stessa notizia va letta in quadro più ampio di ulteriori tentativi di riscrivere la letteratura mondiale in modo da renderla “inoffensiva”. Elenco al quale aggiungiamo una edizione “corretta” uscita in America nel 2011: una nuova edizione di Huckleberry Finn del celebre Mark Twain privata delle parole “negro” e “indiano”. Al loro posto “schiavo” e “injun”. Per inciso basta leggere anche poco della biografia di Mark Twain per sapere che era un progressista antischiavista e che quindi il suo intento non era denigratorio…
Quella della censura – difficile chiamarla diversamente – è la stessa sorte subita in Germania nel 2013 anche dal racconto “Pippi Calzelunghe” quando la ministra tedesca della Famiglia, delle donne e dei giovani, Kristina Schröder, ha attaccato la storia di Pippi – come riporta il Foglio – in quanto “libro razzista”, perché il padre di Pippi viene definito “Negerkönig” (cioé “re dei negri”). Schröder ha proposto di trasformare “il re dei negri” in “il re dei Mari del sud”. Poi è toccato alla “Piccola strega”, la storia di Otfried Preussler e uno dei libri per l’infanzia più amato in Germania. La casa editrice Thienemann ha appena pubblicato una versione buonista senza le parole “negretto” e “negro”. “Chiunque creda che l’arte debba essere cambiata per non contraddire la morale prevalente – ha scritto Jacques Schuster sulla Welt – deve essere stato felice quando nel 2001 i talebani hanno distrutto i Buddha di Bamiyan” (Il Foglio, 13 luglio 2013).
Tutto questo per dire cosa? Per difendere la parola “negro”? Affatto. Oggi non la usiamo e giustamente ci scandalizziamo quando qualcuno lo fa. Ma la storia della cultura occidentale è fatta di stereotipi, di morale che cambia nel tempo. Schiavitù, razzismo, sessismo e via dicendo sono concetti e concezioni complessi che hanno bisogno di essere spiegati e a cui i bambini, gli adolescenti e i giovani adulti hanno bisogno di essere guidati nella loro comprensione, e collocazione in precisi contesti socio-culturali. L’idea che la cultura sia “disturbante” è proprio il concetto di cultura che dobbiamo coltivare di più, altrimenti il conformismo e la conservazione dello status quo saranno sempre il nostro unico orizzonte. Ai giovani americani, francesi e tedeschi vanno lette tutte le fiabe anche con il loro carico di parole “imbarazzanti”, sarà l’occasione per confrontarsi con loro, ma soprattutto di prepararli ad una realtà che è spesso molto dura e che non tratta nessuno con i guanti. E’ qualcosa che – in modo diverso – abbiamo o stiamo vedendo anche in Italia, ed è bene capire che una cultura “spigolosa” è la migliore alleata della libertà di pensiero e di parola. Perfino i controversi libretti dell’Unar richiamano ad un confronto con – ad esempio – le fiabe più “tradizionali”, magari per piegarne il significato, ma conoscere il testo originale è sempre uno strumento in più e non uno in meno, per chi volesse contestare la lettura “ortodossa”.
E’ bene ricordare che anche idee come “italiani brava gente”, sono pericolosi stereotipi culturali, specie quando si parla del nostro passato colonialista in Africa. Non tutti sanno infatti che ci sono voluti più di trent’anni per vedere un film sulla resistenza libica all’invasione fascista della regione come “Il leone del deserto”. Film che nel 1982 ricevette il veto alla distribuzione in Italia perché “lesivo dell’onore dell’Esercito italiano”. Una situazione grottesca che procede di pari passo con la nostra ignoranza dei crimini di guerra perpetrati dal Fascismo in Africa e con la quasi totale assenza di studi storici su questo argomento da parte di studiosi italiani. Ecco che l’atto di rimuovere – dai testi, dalla memoria, dal dibattito pubblico – è sempre l’anticamera di una ingiustizia…