Alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, gli domandavano se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla». Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall’inizio della creazione li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto». A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio». Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso». E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro (Mc 10,2-16)
Di recente ho visto Into the wild, un film di qualche anno fa, in cui si racconta l’avventura reale di un giovane che, alla fine del college, si allontana dalla famiglia e da tutto il suo mondo borghese, in cerca della felicità, pensando di poterla trovare in un totale isolamento dalla civiltà. E così, dopo un lungo viaggio in solitudine – ma durante il quale, paradossalmente, fa una serie di incontri estremamente significativi e profondi – si ritira nelle terre deserte dell’Alaska. In quella solitudine, Chris, che ha persino cambiato il suo nome in Alexander al fine di tagliare anche con il proprio passato, sente di aver trovato l’essenziale, ma nel momento in cui vuole tornare a raccontare la sua scoperta non può più riattraversare il fiume ormai di nuovo in piena. Costretto a rimanere nella solitudine selvaggia dell’Alaska, scopre che quelle terre non sono fatte per l’uomo, perché «la felicità è reale solo secondivisa». Sono le sue ultime parole, la vera scoperta.
Ho l’impressione che il mito di Into the wild abiti nel profondo di ognuno di noi, la pretesa cioè che la vita sia solo nostra e che sia un nostro diritto riappropriarci della nostra autonomia originale che la società ha nascosto e alterato. Ci pensiamo un po’ come individui separati gli uni dagli altri, sostanzialmente in lotta gli uni con gli altri nella rivendicazione del diritto al proprio spazio. Tutt’al più decidiamo graziosamente di concedere a qualcuno un po’ della nostra attenzione, ma sempre per un mero guadagno personale. Il vecchio codice di Diritto canonico e anche la Casti connubi parlavano persino di remedium concupiscentiae a proposito del matrimonio, come se anche la relazione coniugale potesse essere letta fondamentalmente come qualcosa che faccio per me, per il mio interesse, per evitare di sbagliare e di trovarmi nei guai.
Questo Io messo continuamente al centro tradisce la realtà, e per arrivare a capirlo il protagonista di Into the wild deve arrivare a morire.
Davanti alla domanda dei Farisei, che sono esattamente il prototipo dell’uomo moderno che si mette al centro e vuole rileggere tutto in funzione del proprio esclusivo interesse, Gesù rimanda all’Inizio, al Principio: una parola che nel linguaggio biblico indica ciò che è a fondamento delle cose, ciò che avviene sempre, ciò che è alla base.
A fondamento dunque c’è una relazione, siamo stati pensati già in relazione. L’uomo si porta dentro un vuoto, uno spazio che ha dato origine all’altra, alla donna, simbolo di ogni alterità, di ogni differenza. L’uomo è costituito con un vuoto originario che può essere colmato solo dalla relazione. Anzi, prima di questa relazione umana, c’è una relazione più originaria di cui l’uomo non può fare a meno: è la relazione con Dio, che come primo atto generoso e gratuito nei confronti dell’uomo, gli ha offerto la sua amicizia, lo ha accolto dentro un giardino pensato appositamente per lui. Certo l’uomo può decidere di andarsene da quel giardino, così come può decidere di tenersi quel vuoto dentro senza che qualcuno lo occupi, ma non può negare né che ci sia quel giardino né che ci sia quel vuoto dentro di lui. Possiamo anche decidere di tagliare con il mondo e di rifugiarci in Alaska, ma nulla cancellerà la nostra identità di esseri per gli altri.
L’uomo che si mette la centro è proprio come il Fariseo che cerca garanzie: i Farisei mettono Gesù alla prova (il verbo è proprio quello delle tentazioni), pretendono che Gesù prenda posizione, vogliono sapere da che parte sta, ma vogliono soprattutto garantirsi, vogliono che le cose siano chiare, pretendono di curare legittimamente i propri interessi. Il Fariseo è colui che mette al centro il proprio interesse e vuole legittimare la sua pretesa.
Quando le relazioni cominciano a non funzionare, diventiamo tutti farisei, cerchiamo tutti di precisare i confini, di mettere in chiaro le cose, di stabilire le responsabilità. Ma quando le relazioni funzionano, dice Gesù, non c’è bisogno di fare appello alla legge, basta il cuore. È l’amore che ti dice come stare nella relazione.
La relazione, anche quella coniugale, per Gesù non può essere questione di legge: tutelare il più debole nella relazione, non è una questione formale, ma è una questione di cuore. Ma il cuore è incerto e ingannevole, perciò il fariseo che è dentro di noi cerca rassicurazioni e chiarimenti. A quel punto vuol dire che la relazione già non funziona più!
Sembra paradossale che improvvisamente la scena evangelica abbandoni il contesto della disputa e si sposti su un gruppo di bambini rimproverati dai discepoli, dagli adulti, eppure è esattamente quella la chiave delle parole di Gesù: il bambino è il debole che rimproveriamo e che invece chiede di essere accolto e tutelato. Il regno di Dio non appartiene a coloro che cercano di tutelare il proprio interesse, ma a coloro che, riconoscendo la propria debolezza, chiedono di essere abbracciati da un padre. I bambini, a differenza del protagonista di Into the wild, non scappano dal mondo, ma hanno l’innocenza e la spregiudicatezza di gridare il loro bisogno di essere voluti bene, proprio quello che Chris non è riuscito a fare.