La Chiesa continentale, in vista dell’assise di ottobre sulla famiglia è prevalentemente schierata su posizioni tradizionali. Ma alcuni prelati aprono alla flessibilità, dal Ghana al Sudafrica“Al Sinodo l’Africa parlerà con una voce sola”. Lo aveva affermato mons. Gabriel Mbilingi, arcivescovo di Lubango, in Angola, e presidente del Simposio delle Conferenze episcopali d’Africa e Madagascar (Secam) chiudendo l’11 giugno scorso ad Accra un incontro dedicato dai vescovi del continente alla prossima assise della Chiesa sui temi della famiglia.
Immaginare come monolitica la posizione dei presuli africani in vista del Sinodo ordinario di ottobre, però, rischia di essere semplicistico. Indubbiamente lo scorso anno dal continente sono arrivate alcune delle voci più nette del campo rigorista, prima tra tutte quella del cardinale arcivescovo di Durban, in Sudafrica, Wilfrid Fox Napier, che ad ottobre sarà tra i quattro presidenti delegati dell’assemblea. Una linea ribadita nel corso dell’incontro di Accra anche dal cardinale Robert Sarah, che ha invitato i partecipanti a “non aver paura di reiterare” l’insegnamento ricevuto su matrimonio e temi della famiglia. Nella stessa capitale ghanese, tuttavia erano presenti prelati le cui prese di posizione recenti hanno fatto pensare alla possibilità di un dibattito più animato su almeno una questione aperta: il possibile accesso all’Eucarestia per i divorziati risposati.
Se altri tre dei cinque cardinali intervenuti ad Accra (gli arcivescovi John Njue di Nairobi, Polycarp Pengo di Dar Es Salaam e Christian Tumi, emerito di Douala) sembrano porsi sostanzialmente sulla stessa linea del guineano Sarah, parzialmente diverso è in effetti il discorso per Berhaneyesus Souraphiel. Il porporato etiope, che ha ricevuto la berretta da papa Francesco nel corso dell’ultimo concistoro, ha spiegato infatti recentemente di attendersi “una nuova flessibilità” dopo il Sinodo. Utilizzando un termine caro ai fautori delle tesi dell’apertura (anche definita “della misericordia”), di cui il cardinale Walter Kasper è considerato l’ispiratore.
Sulla stessa linea, passando dall’estremo orientale a quello occidentale del continente, è mons. Charles Palmer-Buckle, che di Accra è arcivescovo e che, a differenza di Souraphiel, sarà presente come delegato al Sinodo(mentre il cardinale vi siederà d’ufficio). Il prelato ghanese, infatti, ha sostenuto che la vera questione in ballo non sia quella “di fare dichiarazioni onnicomprensive”, ma “quando una persona viene da me, sedere con lui, con lei o con la famiglia per esaminare la situazione e dare soluzioni a casi individuali”.
Chiari segnali in questa direzione arrivano, infine, proprio dalla Chiesa del Sudafrica, dove le posizioni del cardinale Napier non sono le stesse dei delegati scelti dalla conferenza episcopale (Sacbc, che comprende anche i presuli di Swaziland e Botswana). Questi ultimi – l’arcivescovo Stephen Brislin di Città del Capo e il vescovo Zolile Mpambani di Kokstad – hanno ricevuto esplicitamente un mandato incentrato “sulla posizione della ‘misericordia’ e della virtù che sta nel mezzo, non troppo rigida né relativa”, riporta l’agenzia cattolica panafricana Canaa. Da ricordare, in più, come ad agosto proprio mons. Mpambani, in un messaggio scritto in qualità di responsabile della Sacbc per l’Apostolato familiare abbia fatto cenno a uomini e donne che “hanno perso un coniuge per morte o per divorzio, ma il matrimonio resta per loro un valore”.
Al Sudafrica si guarda anche in relazione alla terza questione lasciata aperta dal Sinodo straordinario del 2014, quella relativa all’accoglienza degli omosessuali: un tema, questo, su cui anche presuli come Souraphiel e Palmer-Buckle risultano allineati con la maggioranza della Chiesa continentale, sospettosa verso quella che viene considerata una tendenza “non africana”. Già a gennaio dell’anno scorso, tuttavia, il settimanale cattolico ‘The Southern Cross’ (di cui la Sacbc è azionista di maggioranza) aveva definito questa considerazione ‘fiction’, una fantasia.
“Il pregiudizio e la persecuzione degli omosessuali contravvengono alla dottrina cattolica”, si leggeva nell’editoriale di ‘The Southern Cross’, dedicato in particolare alle cosiddette “leggi anti-gay” votate dai parlamenti di Nigeria e Uganda. Poche righe più in là veniva ricordato esplicitamente il passo del Catechismo che raccomanda di evitare “ogni marchio d’ingiusta discriminazione” verso le persone omosessuali. Lo stesso testo richiamato da uno dei tre paragrafi della relazione finale del Sinodo straordinario che non avevano raggiunto i due terzi dei voti.