Sul volo Filadelfia-Roma papa Francesco risponde alle domande dei giornalisti sulla visita negli Stati Uniti, abusi sui minori, divorziati risposati e nullità matrimoniali Le barriere di filo spinato, i muri per fermare i migranti «prima o poi crollano, crollano tutti, non sono la soluzione» e aumentano l’odio. Lo ha detto Papa Francesco nella conversazione con i giornalisti sul volo dell’American Airlines che da Filadelfia lo ha riportato a Roma. Bergoglio ha parlato degli abusi sui minori commessi dai chierici dicendo di comprendere le famiglie che non perdonano, ha parlato della comunione ai divorziati risposati e della sua recente riforma delle nullità matrimoniali spiegando che non si tratta di un «divorzio cattolico». Ha detto di amare il popolo cinese e di voler andare in Cina. A proposito della dipendente governativa americana rifiutatasi si mettere la firma sul documento che sanciva un’unione omosessuale, ha ricordato che l’obiezione di coscienza è un diritto umano. Francesco ha anche dato una stoccata al sindaco di Roma: «Non ho invitato io Marino a Filadelfia, chiaro?».
Che cosa l’ha sorpresa degli Stati Uniti e che cosa è stato diverso da quello che si aspettava? Quali sfide deve affrontare la Chiesa negli States?
«È la prima visita, non ero mai stato qui. Mi ha sorpreso il calore della gente, tanto amabile, una cosa bella, e anche le differenze tra Washington, con un’accoglienza calorosa, ma un po’ più formale, e New York, un po’ straripante, e Filadelfia, molto espressiva. Tre modalità diverse di accoglienza. Sono molto colpito dalla bontà e dall’accoglienza e nelle cerimonie religiose anche dalla pietà, si vedeva pregare la gente. Grazie a Dio è andato tutto bene, nessuna provocazione, nessun insulto, nessuna cosa brutta. La sfida: dobbiamo continuare a lavorare con questo popolo credente come abbiamo lavorato fino adesso, accompagnando il popolo nella crescita, nelle sue cose belle e nelle sue difficoltà, nella gioia e nei momenti brutti, quando non c’è lavoro, nella malattia. La sfida della Chiesa di oggi è quella di sempre: essere vicina al popolo degli Stati Uniti, non staccata dal popolo, ma vicina. E questa è una sfida che la Chiesa degli Stati Uniti ha capito bene».
Filadelfia ha avuto molte difficoltà per gli abusi sessuali. Ha sorpreso il fatto che parlando ai vescovi a Washington lei abbia offerto consolazione alla Chiesa. Perché ha sentito bisogno di offrire compassione ai vescovi?
«A Washington ho parlato a tutti i vescovi degli Stati Uniti. Ho sentito il bisogno di esprimere la compassione perché è accaduta una cosa bruttissima, e tanti di loro hanno sofferto, perché non sapevano e quando la cosa è scoppiata hanno sofferto tanto: sono uomini di Chiesa, di preghiera, veri pastori. Usando una parola dell’Apocalisse ho detto loro: so che state venendo dalla grande tribolazione. Quello che è accaduto è una grande tribolazione. Poi c’è quello che ho detto al gruppo di persone abusate: è stato quasi un sacrilegio! Gli abusi avvengono dappertutto: in famiglia, nel vicinato, nelle scuole, nelle palestre. Ma quando un sacerdote commette un abuso, è gravissimo perché la vocazione del sacerdote è di far crescere quel bambino o quella ragazza verso l’amore di Dio, verso la maturità affettiva verso il bene. Invece di fare questo, lo ha schiacciato con il male e ha tradito la vocazione, la chiamata del Signore. Nella Chiesa sono colpevoli anche quelli che hanno coperto, anche alcuni vescovi che hanno coperto. È una cosa bruttissima e le parole di conforto ai vescovi non significano: state tranquilli non è niente. Ma è dire invece: è stato molto brutto, mi immagino che abbiate pianto tanto».
Lei ha parlato molto del perdono. Ci sono tanti sacerdoti che non hanno chiesto perdono per gli abusi commessi. Lei li perdona? E che cosa pensa delle famiglie che non vogliono perdonare?
«Se una persona ha fatto il male, è cosciente di ciò che ha fatto e non chiede perdono, io chiedo a Dio che lo tenga in conto, lo perdoni, ma lui non riceve il perdono perché è chiuso. Tutti siamo obbligati a perdonare, perché tutti siamo stati perdonati. Un’altra cosa è ricevere il perdono. Se questo sacerdote rimane chiuso, non lo riceve, perché ha chiuso la porta dal di dentro. Si può solo pregare perché il Signore apra la porta. Non tutti possono riceverlo, non tutti lo sanno ricevere o sono disposti a riceverlo. E così si spiega perché c’è gente che finisce male la propria vita e non può sentire la carezza di Dio. Comprendo che le famiglie possano non perdonare: prego per loro, non le giudico. Le comprendo. Una volta una donna mi ha detto: quando mia madre capì che mi avevano abusato, ha bestemmiato contro Dio, ha perso la fede ed è morta atea. Io la comprendo questa donna. E Dio, che è più buono di me, la comprende. Sono sicuro che questa donna Dio l’ha accolta, perché quello che è stato distrutto era la sua stessa carne, la carne di sua figlia. Non giudico qualcuno che non può perdonare. Ma Dio è un campione per trovare vie di perdono».
Abbiamo sentito parlare tanto del processo di pace in Colombia. Adesso c’è un accordo storico tra il governo colombiano e le Farc. Lei si sente un po’ parte di questo accordo?
«Quando ho avuto la notizia che a marzo sarebbe stato firmato l’accordo ho detto al Signore: fa che arriviamo a marzo con questa bella intenzione perché mancano piccole cose ma la volontà c’è, da ambedue le parti. Dobbiamo arrivare all’accordo definitivo. Mi sono sentito parte nel senso che ho sempre voluto questo: ho parlato due volte col presidente Santos e la Santa Sede – non solo io – era tanto aperta per aiutare in ciò che si poteva fare».
Che cosa prova quando l’aereo se ne va da un Paese e lei lascia un Paese che ha visitato?
«Devo essere sincero, quando l’aereo parte dopo una visita, mi vengono alla mente gli sguardi di tanta gente e mi viene una voglia di pregare per loro e dire al Signore: io sono venuto qui per fare del bene, forse ho fatto del male, perdonami. Ma custodisci tutta quella gente che mi ha guardato, che ha sentito ciò che ho detto, anche quelli che mi hanno criticato».
Volevo fare una domanda sulla crisi migratoria in Europa: molti Paesi stanno costruendo barriere di filo spianto. Che cosa dice di questo?
«Lei ha usato una parola, “crisi”. Si arriva a uno stato di crisi dopo un processo lungo, e questo è durato anni, perché le guerre dalle quali quella gente fugge sono combattute da anni. La fame è fame da anni. Quando penso all’Africa – forse è un po’ semplicistico – mi viene da pensarla come il Continente sfruttato. Gli schiavi andavano a prenderli là; poi hanno preso le grandi risorse, e adesso ci sono le guerre, tribali o no, che nascondono interessi economici. Invece di sfruttare un Continente o un Paese o una terra, bisogna fare degli investimenti perché quella gente abbia lavoro. Così si eviterebbe questa crisi. Sulle barriere: lei sa come finiscono i muri, tutti. Tutti i muri crollano: oggi, domani o dopo cent’anni. Il muro non è una soluzione. In questo momento l’Europa è in difficoltà, dobbiamo essere intelligenti, non è facile trovare soluzioni. Ma con i dialoghi fra Paesi bisogna trovarle. I muri mai sono la soluzione, i ponti sì. Le barriere durano poco o molto tempo, ma non sono una soluzione. Il problema rimane e rimane con più odio».
A proposito del Sinodo, vogliamo sapere se nel suo cuore di pastore vuole veramente una soluzione per i divorziati risposati e se il suo «motu proprio» sulla facilitazione dei processi di nullità matrimoniali ha chiuso questo dibattito. E come risponde a quelli che temono che questa riforma porti a un «divorzio cattolico»?
«Nella riforma dei processi di nullità matrimoniale ho chiuso la porta alla via amministrativa attraverso la quale poteva entrare il divorzio. Chi pensa al divorzio cattolico, sbaglia, perché quest’ultimo documento ha chiuso la porta al divorzio, che sarebbe potuto venire per via amministrativa. Ci sarà invece sempre la via giudiziaria. Questo è stato chiesto dalla maggioranza di padri del Sinodo dell’anno scorso: snellire i processi. Ci sono processi che duravano dieci anni, e una sentenza, e un’altra… La doppia sentenza conforme era stata introdotta da Papa Lambertini, Benedetto XIV, perché in centro Europa c’erano stati alcuni abusi e lui aveva voluto fermarli. Ma non è essenziale nel processo, la giurisprudenza cambia. Il motu proprio facilita i processi nei loro tempi, ma non introduce divorzio, perché il matrimonio quando è sacramento, è indissolubile e questo la Chiesa non lo può cambiare, è dottrina, è un sacramento indissolubile. Il procedimento giudiziario serve per provare che quello che sembrava sacramento non era sacramento, per mancanza di maturità, per malattia mentale… etc. Ci sono tanti motivi, per esempio perché la persona non era libera. Adesso non è tanto comune, ma in certi settori della società sì, per esempio a Buenos Aires, che si faccia il matrimonio con la fidanzata incinta. Io ai sacerdoti consigliavo con forza, quasi proibivo, di celebrare il matrimonio in queste condizioni. Li chiamiamo matrimoni «di fretta» per salvare le apparenze. Alcuni di questi vanno bene, ma non c’è la libertà. Altri vanno male, si separano, dicono: siamo stati costretti a sposarci per coprire questa situazione. Per quanto riguarda il problema delle seconde nozze, i divorziati in seconda unione: leggete l’Instrumentm laboris, il documento che si presenta alla discussione del Sinodo. A me sembra un po’ semplicistico dire che per queste persone la soluzione sia la possibilità di fare la comunione. Non è l’unica soluzione, l’Instrumentum propone tante cose. E non ci sono solo i divorziati risposati, c’è anche il problema delle nuove unioni. Ci sono i giovani che non vogliono sposarsi, un altro problema. La maturità affettiva, un altro problema: la fede, ci credo che questo sia per sempre? Per diventare prete c’è una preparazione di otto anni, per sposarsi per tutta la vita si fanno quattro incontri di corso prematrimoniale… Pensare come fare la preparazione è una cosa difficile. Ma il divorzio cattolico non esiste, la nullità viene riconosciuta se il matrimonio non c’è stato. Ma se c’è stato, è indissolubile».
Sappiamo che lei ha visitato le piccole sorelle dei poveri e che voleva così sostenere la loro causa anche giudiziaria contro la riforma sanitaria di Obama. Sosterrebbe anche i funzionari governativi che per obiezione di coscienza non portassero avanti le pratiche per i matrimoni gay?
«Non posso avere in mente tutti i casi specifici, ma posso dire che l’obiezione di coscienza è un diritto. E se a una persona non si permette di fare l’obiezione di coscienza, gli si nega un diritto. In ogni struttura giudiziaria deve entrare l’obiezione di coscienza, perché è un diritto umano. Altrimenti, finiamo nella selezione dei diritti: questo è un diritto di qualità, questo no. Sempre mi ha commosso quando da ragazzo ho letto parecchie volte la Chanson de Roland, che descrive la scena dei maomettani in fila davanti al fonte battesimale o alla spada. Dovevano scegliere, non era loro permessa l’obiezione di coscienza. È un diritto umano: un funzionario di governo è una persona umana e ha quel diritto».
Lei all’Onu ha usato parole molto forti per denunciare il silenzio del mondo di fronte alle persecuzione dei cristiani. Hollande ha cominciato i bombardamenti contro l’Isis in Siria. Che cosa ne pensa?
«Ho avuto la notizia l’altro ieri, non conosco ancora bene la situazione. Quando sento la parola bombardamento, morte, sangue, ripeto quello che ho detto al Congresso americano: bisogna evitare queste cose. Ma la situazione politica non la giudico perché non la conosco».
Ignazio Marino, il sindaco di Roma, città del Giubileo, ha detto di essere venuto all’incontro delle famiglie di Filadelfia perché invitato da lei…
«Io non ho invitato il sindaco Marino, chiaro? E neppure gli organizzatori, ai quali l’ho chiesto, lo hanno invitato. Si professa cattolico, è venuto spontaneamente».
Volevo farle una domanda sulle relazioni tra la Santa Sede e Cina e sulla situazione in questo Paese che è abbastanza difficile anche per la Chiesa cattolica. Lei che cosa ne pensa?
«La Cina è una grande nazione che apporta al mondo una grande cultura e tante cose buone. Io ho detto una volta sull’aereo, quando eravamo sopra la Cina tornando dalla Corea, che mi piacerebbe tanto andare in Cina. Amo il popolo cinese, gli voglio bene e mi auguro che ci siano le possibilità di avere buoni rapporti. Abbiamo contatti, ne parliamo. Per me visitare un paese amico come la Cina che ha tanta cultura e tanta possibilità di fare del bene sarebbe una gioia».
Hanno colpito le sue parole sulle suore degli Stati Uniti, alcune di loro chiedono il sacerdozio femminile, vedremo donne sacerdoti nella Chiesa cattolica come in altre Chiesa cristiane?
«Le suore degli Stati Uniti hanno fatto meraviglie nel campo dell’educazione, nel campo della salute, il popolo americano ama le suore – non so quanto ami i preti – ma le suore le ama, tanto, e sono donne brave! Per questo ho sentito l’obbligo di ringraziarle per quello che hanno fatto. Una persona importante del governo statunitense mi ha detto in questi giorni: la cultura che ho, la devo prima di tutto alle suore. Hanno scuole in tutti i quartieri, ricchi, poveri, lavorano con i poveri. Sulle donne prete: non si può fare, san Giovanni Paolo II lo ha detto chiaramente, non perché le donne non abbiamo la capacità: nella Chiesa sono più importanti le donne che gli uomini. La Chiesa è donna, è la sposa di Cristo, e la Madonna è più importante dei Papi, dei vescovi, dei preti. Devo riconoscere che noi siamo in ritardo nell’elaborazione della teologia della donna, dobbiamo andare più avanti quello sì, è vero».
Lei ha avuto successo negli Stati Uniti. Si sente più «potente» dopo questi bagni di folla?
«Io non so se ho avuto successo o no, ma ho paura di me stesso, perché se ho paura di me stesso mi sento sempre debole nel senso di non avere potere. Il potere è una cosa passeggera, oggi c’è, domani non c’è. È importante se tu col potere puoi fare bene. Gesù ha definito il potere: il vero potere è servire, fare i servizi più umili. Io devo ancora andare avanti in questo cammino del sevizio perché sento che non faccio tutto quello che dovrei fare».
Negli Usa lei è diventata una star. È bene per la Chiesa che il Papa sia una star?
«Lo sa qual è il titolo del Papa? Servo dei servi di Dio. È un po’ differente dalla star. Le stelle sono belle da guardare, a me piace guardarle quando il cielo è sereno, ma il Papa deve essere il servo dei servi di Dio. C’è anche un’altra verità: quante star abbiamo visto che poi si spengono e cadono. Invece essere servo dei servi, questo è bello, non passa».