Nel suo ultimo romanzo lo scrittore e magistrato napoletano parla di matrimonio omosessuale e del suo concetto di famiglia
Un amore omosessuale vissuto con disagio e fatica connessi ad una condizione che, al di là di certa propaganda, rimane difficile. A raccontarla è Eduardo Savarese, magistrato napoletano, impegnato nella sua comunità in varie opere di volontariato, uomo di fede – come lui stesso si definisce (Avvenire, 16 settembre).
Lo fa attraverso il suo nuovo romanzo “Lettera di un omosessuale alla Chiesa di Roma” (Edizioni e/o, in libreria dal 24 settembre), che non è solo sfogo, come scrive Luciano Mola sul quotidiano dei vescovi, ma è anche denuncia, richiesta di aiuto, voglia di dialogo. Perché, occorre ammetterlo, nella Chiesa troppo spesso si è preferito non vedere, non discutere, non affrontare il problema.
IL MATRIMONIO OMOSESSUALE
La lettura del libro oscilla come come una sorta di percorso sulle montagne russe: varie sfaccettature anche molto diverse tra loro. Sul matrimonio omosessuale, prima, senza troppi entusiasmi, ne difende l’opportunità, ma solo «per chi desideri la discesa dello Spirito, in aggiunta alla consacrazione civile». Poi arriva a chiedersi: «Sono tentato di pensare che molti omosessuali, solitari e sessualmente onnivori, indipendenti e libertari, di questo matrimonio non saprebbero che farsene».
LA FAMIGLIA
Stesso discorso sulla famiglia. Giustifica la naturale diversità delle figure educative materna e quella paterna, e la definisce «fondamentale, proprio per quel gioco di pesi e contrappesi, di azioni e reazioni, di silenzi e di parole che, intessuti, rivestono ciò che chiamiamo famiglia». Però poi auspica che la Chiesa possa un giorno benedire le famiglie formate da due madri o due padri. «E non stabilisca l’orientamento della coscienza sulla base del pre-giudizio». Dove la preoccupazione per l’affermazione della propria dignità di omosessuale, evidenzia ancora Avvenire, sembra oscurare completamente ogni problema educativo.
LA CHIESA
In un articolo su cinemagay.it (2014) Savarese sosteneva che la Chiesa sta dando segnali di apertura al mondo omosessuale: «Ho incontrato tanti preti e suore disponibili al dialogo, ma il vertice dà indicazioni respingenti. Però c’è un cambiamento in atto. Non pretendo certo che la Chiesa accetti il matrimonio gay, però se è vero che ci sono verità di fede non negoziabili, è anche vero che la moralità sessuale va ridiscussa, e parlo anche del divorzio. Non si possono stabilire regole troppo rigide».
RISPETTO PER IL MONDO OMOSESSUALE
In realtà, Savarese dovrebbe sapere che la Chiesa ha un’idea molto chiara (e di certo non da ieri) sul tipo di accompagnamento e accoglienza che le persone omosessuali devono ricevere e probabilmente ne discuterà ancora nel corso del Sinodo sulla famiglia, fissato da papa Francesco per dal 4 al 25 ottobre. L’ «Instrumentum Laboris», documento elaborato con le risposte dei fedeli di tutto il mondo al secondo questionario voluto da Papa Francesco, ha evidenziato una rispettosa concezione del mondo omosessuale: «Ogni persona, indipendentemente dalla propria tendenza sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con sensibilità e delicatezza, sia nella Chiesa che nella società. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione», si legge nel documento.
“CHI SONO IO PER GIUDICARE?”
D’altro canto, Papa Francesco, di ritorno da Rio De Janeiro (Corriere.it, 29 luglio 2013), già si era pronunciato in termini altrettanto chiari: «Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla? Il catechismo della Chiesa cattolica dice che queste persone non devono essere discriminate ma accolte».
MA SULLE NOZZE NON SI TRATTA
Se il rispetto, la dignità, il dialogo è evidente in questi pronunciamenti delle sue più alte gerarchie, è altrettanto evidente che sulle nozze gay, la Chiesa viaggia su un binario non orientato ad accoglierle: «Non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia», si legge sempre nell’Instrumentum Laboris.
“BAMBINO CRESCA CON PADRE E MADRE”
Così come sulle adozioni gay è stato netto monsignor Vincenzo Paglia, presidente del dicastero vaticano per la famiglia (Radio Vaticana, 12 gennaio 2013): «Il bambino deve nascere e crescere all’interno di quella che – da che mondo è mondo – è la via ordinaria, cioè con un padre e una madre. Il bambino deve crescere in questo contesto. Ora, purtroppo, accade in effetti che a volte ci siano situazioni drammatiche, ma attenzione: la patologia è una cosa, e inficiare questo principio è pericolosissimo, per il bambino anzitutto, ma per l’intera società».