Il Progetto Marega tra Biblioteca vaticana ed istituzioni giapponesi per lo studio dei documenti sulle persecuzioni del XVI secolo I primi arrivarono alla Biblioteca apostolica vaticana nell’immediato dopoguerra in semplici cassette di latta: delicati rotoli di carta di riso risalenti al XVI secolo scritti da zelanti funzionari feudali per documentare le attività dei cristiani costretti ad abiurare la propria fede. A spedirli il sacerdote salesiano Mario Marega che accompagnava la sua attività missionaria nel sud del Giappone con la ricerca delle testimonianze del martirio di migliaia di cristiani avvenuto in quell’epoca dominata dai signori della guerra. Quei primi documenti erano solo la punta dell’iceberg: nel 1953, una nave salpata da Yokoama a Genova, ne portava altre migliaia in Vaticano dove rimasero per qualche decennio in attesa di essere riscoperti e valorizzati. Oggi il “Progetto Marega”, che vede la collaborazione tra Biblioteca vaticana e diverse istituzioni culturali giapponesi delle quali è capofila l’Istituto nazionale per gli studi umanistici, prevede la catalogazione, lo studio e la digitalizzazione degli oltre diecimila documenti del Fondo Marega, il più consistente di questo tipo esistente al mondo. Al progetto è stato dedicato negli scorsi giorni in Vaticano il simposio “Sulle tracce del cristianesimo nel Giappone del XVII e XIX secolo”. Aleteia ha chiesto lumi a Marco Del Bene, docente di Storia Giapponese all’Istituto italiano di Studi orientali dell’Università La Sapienza di Roma, che collabora al progetto.
Che cosa raccontano i documenti del Fondo Marega?
Del Bene: La storia di una persecuzione attraverso i documenti degli archivi pubblici del feudo di quella che è l’attuale prefettura di Oita, nell’isola di Kyushu, la più meridionale di quelle che compongono il paese. I documenti del Fondo Marega, prodotti tra il 1600 e il 1800, registrano i controlli molto rigorosi esercitati sui cristiani che avevano fatto apostasia, cioè rinnegato la propria fede: a quale villaggio appartenevano, con chi si sposavano, se avevano figli, se cambiavano villaggio. I controlli erano estesi anche ai loro discendenti fino alla quinta generazione. Presso i templi buddisti e shintoisti, inoltre, dove gli apostati erano costretti ad affiliarsi, esisteva un sistema simile ai nostri registri parrocchiali nei quali, insieme alle altre informazioni, venivano annotati i risultati di accertamenti come quello del fumi-e: “fumi” significa “calpestare” mentre “e” significa “immagini”. Una volta all’anno, dalla fine del ‘600, tutti gli abitanti dei villaggi che erano stati cristiani erano obbligati a calpestare delle immagini di metallo sacre per i cattolici per dimostrare la loro abiura. Chi si rifiutava veniva torturato e messo a morte. Molti cristiani nascosti accettarono questa abiura formale per avere salva la vita, ma in segreto continuarono a professare la fede cattolica, come si dimostrò alla metà dell’Ottocento.
Cosa avvenne?
Del Bene: Il periodo delle persecuzioni contro i cristiani coincide con la chiusura del Giappone a tutti gli stranieri. Il cristianesimo era arrivato in Giappone nel 1543, insieme agli esploratori e mercanti portoghesi con i quali, qualche anno più tardi, erano sbarcati i gesuiti e il grande evangelizzatore del Sol Levante, san Francesco Saverio. In quel periodo i signori feudali, i samurai, erano in continua guerra tra di loro e poiché i portoghesi avevano portato con sé la novità delle armi da fuoco, all’inizio fecero a gara nel ricercarne l’amicizia. Qualcuno scelse anche di convertirsi, insieme a tutti gli abitanti del suo feudo. La cristianizzazione fu un’operazione di “successo”: in 50 anno si registrano tra i 300 e i 350 mila convertiti su 15 milioni di abitanti. Quando, però, nel 1603 fu ricomposta l’unità nazionale e si ebbe un governo centrale forte dominato dalla famiglia Tokugawa, la persecuzione anticristiana iniziata nel 1624 fu anche uno strumento di ritorsione contro gli antichi signori della guerra. Il Giappone, inoltre, fu chiuso rigidamente a tutti gli stranieri per timore della colonizzazione. Solo alla metà dell’800 le frontiere vennero riaperte sotto la pressione dei paesi occidentali. I missionari arrivati ebbero la sorpresa di trovare nel sud del Giappone i discendenti dei cristiani nascosti che si rivelarono anch’essi credenti dopo due secoli e mezzo di silenzio.
Qual è l’importanza di questi documenti, oltre al grande valore che rivestono per gli studi storici?
Del Bene: Non ci sono al mondo altre raccolte così ampie di documenti di questo tipo relative a un territorio, nemmeno in Giappone. Non a caso, il Fondo Marega, dopo il completamento della catalogazione e dello studio, servirà da modello per altri studi simili. Sono registri dei funzionari, non ci permettono di ricostruire la vicenda storica della persecuzione dei cristiani come potrebbero fare, ad esempio, dei diari: è un po’ come evincere la storia dai verbali di polizia. Però ci dicono tutto il potere oppressivo e violento di una società in cui i samurai avevano potere di vita e di morte e un modello di controllo sociale che dai cristiani si era esteso a tutti gli abitanti, in modo analogo a qualsiasi regime totalitario. A fronte di questo abbiamo una struttura sociale di villaggio che, fondata sulla cooperazione quale sistema necessario alla coltivazione del riso, funzionò in qualche modo da sistema di protezione dei cristiani. Non mancarono, di certo, brutte vicende di delazione in cui si accusarono i vicini di essere cristiani, anche quando non lo erano, per impadronirsi dei loro terreni, ma nel complesso – purché si fosse membri attivi e positivi del villaggio – la fede professata in segreto non era considerata determinante. Alla fine, ne risulta un messaggio di convivenza pacifica nella società contadina contro l’ottusa violenza del potere.